Da Zero a Zero

Da Zero a Zero Book Cover Da Zero a Zero
Tommaso Labranca
Arcana
2009
9788862310505

Per uno nato nel 1978, bambino a Roma negli anni Ottanta, Renato Zero significa il cantante che certi ragazzi di dieci, quindici anni più grandi ascoltavano con amore: l'artista romano più amato dai figli del popolo alternativi e sensibili – erano loro, qualche pomeriggio, a insegnarmi canzoni come “Hanno arrestato Paperino” (ero piccolo e rimasi sconvolto), mostrandomi ritagli di vecchi giornali o foto dei concerti. Tutto confusamente registrato in memoria, assieme alle battute popolane della palude borghese sui suoi travestimenti, sulla sua ostentata omosessualità, sul suo trucco. Per uno nato nel 1978, la prima memoria “presente” e consapevole di Renato Zero è “Spalle al muro”, una bellissima e triste canzone del 1991: a tredici anni mi sembrava di aver capito cosa significasse crescere troppo, cosa ci fosse al di là del diventare “grandi”, cosa volesse dire rifiutare il presente. E poi c'è stato qualche lento che piaceva a una donna, che so: “Spiagge”, per esempio. “Spiagge... immense ed assolate / spiagge già vissute / amate e poi perdute...”. E poi pezzi che si ballavano a distanza di tanto tempo dall'uscita: “Mi vendo”, “Il triangolo”, alle feste o nei locali. Ogni tanto sono spuntate fuori mezze leggende urbane, tra gli anni Novanta e questi anni Zero, raccontate da comuni conoscenze; ne derivava sempre il quadro di un Renato gentile, umanissimo, stravagante ma cuore d'oro, felice dei contatti umani più strampalati, paziente con tutti. Zero è un pezzo di storia artistica e popolare di questa città: una maschera.

Troppo piccolo quando esplodeva, non ho potuto capire la portata delle sue provocazioni, ricostruendola nel tempo e non senza difficoltà – la prima, quella di riconoscere quanto e dove fosse stato originale. Vecchio di trentun anni, so che rappresenta un pezzo di storia romana moderna e di storia della musica pop italiana; musica che forse non ho mai sentito particolarmente vicina, ma rispetto e riconosco. Tutto questo per raccontare le mie deboli basi di partenza: non sono un sorcino e non ho letto questa biografia romanzata da fan di Renato Zero; l'ho letta da fan di Tommaso Labranca. L'artista lombardo ha saputo restituirmi e spiegarmi cosa Zero ha significato per la sua generazione e per la nostra società, senza mai piombare nell'agiografia e ricostruendo una divertente e personale cartina geografica pop della scena romana; da Baglioni a Ramazzotti, da Venditti a Claudio Villa. Allora, ai lettori di Labranca posso assicurare che stile e carattere del nostro artista sono intatti, e che non ha ceduto ai dettami del genere biografico. S'è fortunatamente preso tutte le licenze del caso, e mi è piaciuto, tendenzialmente, individuarle e apprezzarle.

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Si firma Zero, per ripicca verso il mondo, e perché questo numero non esiste ma è alla base di tutto: non ha inizio, non ha fine. A inizio carriera, i detrattori dicevano: “Sei uno zero!”. Gruppo sanguigno, Zero rh negativo: rarissimo, e fu una trasfusione miracolosa a salvarlo, neonato, dalle complicanze post partum.

Labranca racconta e omaggia l'artista capitolino, raccontando con classe e personalità la sua esistenza e la sua attività artistica: dagli esordi come comparsa televisiva ai primi musical, dal periodo del Piper all'amicizia con Gianni Boncompagni in avanti: nominando le rarità (il primo 45 giri: “Non basta”, 20 copie vendute; il promo “Nell'archivio della mia coscienza” del 1973 e il mix di “Voyeur”, 1989), e decifrando l'orientamento politico (non qualunquista: antipolitico, ante litteram), ricordando vecchi articoli (Gente, 1974) e accennando all'estrazione famigliare (Fiacchini sfrattati da via Ripetta, giovane cresciuto nella periferica Montagnola): non manca niente. Non manca la mitica nascita dei “sorcini” (p. 124). Non manca Roma.

Secondo Labranca, “Zero non è fruibile all'estero perché è troppo stretto il suo rapporto con il proprio luogo d'origine. Ecco: Ramazzotti è un non-luogo, è un'Italia immaginaria a uso dei turisti che un tempo venivano a comprare qui gondole con carillon e sanpietri illuminati e oggi scaricano da iTunes i suoi pezzi e quelli di Bocelli. Renato è Roma. Una Roma reale, fisica e umana, anche quando egli stesso non si riconosce più in questa città” (p. 43).

La Roma delle borgate, che non ha mai rinnegato né fuggito. La Roma che sogna di omaggiare con il suo antico sogno: Fonopoli, la città della musica. La Roma che, se non ricordo male, naturalmente tifa. Tra i migliori aneddoti, il ricordo dei sedici anni di Zero (gallina al guinzaglio, truccato, a volte pestato dagli altri maschi) e dei giorni milanesi, giovanotto pieno di speranze, a dividere la stanza con la Bertè; il cenno alle comparsate cinematografiche dell'artista capitolino (col sostegno di imdb) e all'unico film; le prime recensioni (“show abbastanza folle per un personaggio altrettanto folle”; “un mostro d'avanguardia”), la storica battuta sull'ambiguità (Carrà: p. 109) e il carro trionfale alla fine di certi concerti (p. 129). Non manca l'elenco dei dischi più amati da Labranca: “Trapezio” (1976), “Zerofobia” (1977) e “Zerolandia” (1978). Giudizio? “Un equilibrio che rasenta la perfezione tra fantasia e pragmatismo, bambino e adulto, ambiguità sessuali e fiaba, volgarità e poesia” (p. 88). In generale, Labranca evidenzia la capacità dei testi di Zero di essere a volte poetici, a volte narrativi, a volte nulli: “Le sue canzoni spaziano dall'aulicità mistico-religiosa di un'Ave Maria alla grevità dei figli della topa. Nessun altro artista italiano – pur limitato a un preciso numero di temi – ha una tale varietà d'espressione” (p. 174)

Quanto all'estetica... “Sono in tanti gli ottusi che ridono di come certi artisti si vestivano nei Settanta. Io non ne rido mai. Sono abbigliamenti esagerati, atteggiamenti esasperati, ma hanno un loro motivo. Oggi siamo abituati a vedere cantanti addomesticati da MTV (quando la chiudono?) con striminzite magliette a righe o squallidi capi neri pieni di grinze, a disagio anche sul palcoscenico di un teatrino oratoriale. Allora dovevi fare i conti con veri e propri mostri globali, che inventavano universi alieni, personaggi dallo spessore quasi letterario” (p. 138). Zero si sentiva nato “da uno scherzo di trucco e di paillette”: non ci avrebbe mai rinunciato. Il trucco è diventato una cifra stilistica.

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2000. Labranca intervista Renato Zero: argomento, la sua amata Playstation. Zero è appena tornato sulla cresta dell'onda, dopo la crisi dei tardi anni Ottanta; Labranca lo ascoltava da ragazzino, fa uno strano effetto sentire quella voce al telefono. Otto anni dopo, gli dedicherà una monografia. Scrive Labranca, nel suo sito ufficiale: “Non ve l'aspettavate, vero? Nemmeno io. Anzi, quando Arcana mi ha chiesto di scriverlo ho pensato: 'Ma perché proprio io? E cosa potrei scrivere su Renato Zero? Lo conosco così poco!' Che cosa sapevo di lui? Che cosa si sa di lui? Limitarsi a uno sterile elenco di date e dischi? Mai. Intevistare chi lo ha conosciuto per cavarne pettegolezzi tanto piccanti quanto falsi e stupidi? Nemmeno. Allora meglio qualcosa di simile a una monografia artistica. Ma sì, come Maurizio Calvesi che scrive di Caravaggio. O Arturo Schwartz che scrive di Marcel Duchamp. Si prende spunto dalla vita e dalle opere e poi si teorizza, si ardiscono paralleli inattesi, si mette l’artista al centro di un affresco che è il momento storico in cui è stato attivo. Se ne calcolano il dare e l’avere, quanto ha preso dagli ispiratori e quanto ha dato agli emulatori. Così ho iniziato con perplessità e ho terminato con coinvolgimento. L'ho seguito dagli esordi nella Roma delle avanguardie di Angeli-Festa-Schifano all'ultima incarnazione ai limiti del misticismo. Sempre sconfessando l'agiografia sorcina e cercando di non limitare il giudizio a poche frasi estrapolate male”.

C'è qualche refusetto (“Villa Giulia” per Valle Giulia, p. 96; “Jack Skeltron” per “Jack Skeletron”, p. 183) che il redattore avrebbe dovuto correggere: non inficia la qualità della scrittura di un grande artista come Labranca, non ci piove, ma al lettore sta il compito di manifestare un minimo di contrarietà per certe negligenze. Qualche stravaganza in sede di reminiscenze (Palazzeschi, p. 114: davvero forzata) e di astrusi “giochi” (un po' al limite quello con le date: p. 185, wikipedia balorda) rallenta e lascia un po' basiti – ma a Labranca tutto si concede volentieri. Altrettanto a Renato Zero, per romana simpatia. Il 20 marzo dovrebbe uscire il suo nuovo album. Io lo festeggio leggendo Labranca. E questo è quanto.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Tommaso Labranca (Milano, 1962 - Pantigliate, 2016), scrittore, autore radiofonico e televisivo, agitatore culturale.

Tommaso Labranca, “Da Zero a Zero”, Arcana, Roma 2009. In appendice, discografia (aggiornata al febbraio 2009) completa di singoli, album, antologie, duetti e brani donati ad altri autori; tour e sintetica videografia.

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.