Come una bestia feroce

Come una bestia feroce Book Cover Come una bestia feroce
Edward Bunker
Einaudi
2015
9788806225155

Nelle settimane che seguirono la rapina alla banca accaddero molte cose; alcune belle, altre brutte, alcune che provocarono euforia, altre deprimenti o irritanti. Ma ora, distillando i ricordi, capisco quanto quel periodo mi abbia dato la sensazione più vicina alla felicità di tutta la mia vita; una sensazione minata soltanto dalla consapevolezza della precarietà” (Bunker, “Come una bestia feroce”, parte seconda, capitolo 23).

È estremamente difficile avventurarsi in una recensione come questa. Fondamentalmente perché stavolta l’argomento, pur con tutte le legittime diffidenze per il significato della parola che si sta per pronunciare, è autobiografico. Ed è l’autobiografismo inatteso di un ex criminale, Edward Bunker, trasfigurato nel suo alter ego letterario Max Dembo. “Come una bestia feroce” non è quindi il consueto noir partorito dalla fertile (vivida, provocatoria, morbosa: decida la sensibilità del lettore, caso per caso) immaginazione di un signore che si diletta di scrittura creativa: è una confessione, lucida e cruda, di un uomo che (si era trovato a vivere da fuorilegge? S’era rivolto alla criminalità? S’era rifugiato nella criminalità? S’era votato alla criminalità? S’era abbandonato alla criminalità?) aveva vissuto ai margini della società, violando come e quando possibile le leggi. Pericoloso accostarsi a qualsiasi interpretazione etica. Un’opera letteraria deve, o dovrebbe, rimanere, per così dire, confinata su un piano estetico, avulso sia da letture ideologiche, sia da letture moraleggianti. La questione è che si può essere onesti lettori openminded, e trovare bellezza nelle confessioni di un delinquente; ma personalmente dubito che avrei dedicato più di dieci secondi, in un incontro dal vivo, ai racconti terribili di questo signore. Che Hollywood premia, regalandogli ruoli da attore (Mr. Blue ne “Le iene” di Tarantino) o da sceneggiatore, e certi autori osannano accostandolo a Dostoevskij (così scrive il solito Ammaniti).

Non so se sia autentico apprezzamento per le capacità artistiche di Bunker, o astuzia odiosetta; se sia filantropia o carità pelosa, ostentazione d’apertura mentale o titanica operazione editoriale. Sta di fatto che mi trovo adesso a giustificarmi per quanto di buono potrò scrivere nella recensione di questo libro, e dunque qualche noioso avamposto etico sta filtrando la mia scrittura. Chiedo, sin d’ora, perdono per i miei limiti morali: io posso ammirare il Truman Capote de “A sangue freddo”, ma non avrei probabilmente la forza spirituale di vivere, come lui ha fatto, per anni fianco a fianco di due assassini, e non potrei mai raccontare la loro storia con il giusto equilibrio. In maniera forse analoga, posso leggere Bunker che racconta – con qualche neppure troppo velato slancio narcisistico – della sua passata(?) (fatti suoi) vita da criminale, tuttavia avrei notevoli resistenze a sentire un uomo parlarmi, dal vivo, di spaccio di droga, violenze, furti, rapine e via dicendo, senza soffrire d’una nausea micidiale. Uomo limitato, allora, e fortemente: ma lettore aperto e coraggioso.

Proviamo a considerare che si parla soltanto di un libro, e che questo Bunker potrebbe essere figlio d’una creazione editoriale artefatta e morbosetta; e ci sostenga il pensiero che ladruncoli fanfaroni sempre sono esistiti; a volte finiscono addirittura in Parlamento, in Italia, non c’è da stupirsi delle loro fortune letterarie. Capita di rado, ma può avvenire.

Storia di Max Dembo, a partire dagli ultimi momenti vissuti nel carcere dove ha scontato otto anni di reclusione, e dei suoi (falliti) tentativi di reintegrarsi (integrarsi?) nella società; e del ritorno alla vita dopo l’inferno della prigione, e della lenta, angosciata e angosciante operazione di riconoscimento delle nuove consuetudini, delle nuove norme e dei nuovi vezzi della società. Storia di un uomo che sembra riconoscere d’aver commesso errori, e pare propenso a cambiare vita; non è propriamente una conversione, la sua, quanto piuttosto una sommessa accettazione delle leggi del sistema. È il lupo indipendente e rabbioso che s’avvicina, sospettoso, alle case degli uomini per capire come convivere con loro; è il lupo stanco dell’isolamento e dell’odio, che sembra guardarsi attorno per trovare non un compromesso, ma una nuova soluzione esistenziale.

Allora, chi prima voleva condannarsi, o almeno non voleva esimersi dall’autoemarginazione, adesso vaga in cerca di una sommaria integrazione. I vecchi amici sono rimasti pressoché ancorati alle vecchie abitudini, non sembra siano riusciti a liberarsi dagli antichi vizi; lavoro è difficile trovarlo, con quel curriculum che sembra affermare che, a parte la nursery, Max è campato tra una gabbia e l’altra. La situazione è complicata: denaro ne circola poco, la tentazione di accumularlo con i vecchi mezzi è fortissima; nonostante lo spauracchio d’una nuova carcerazione, nonostante la guida di un assistente sociale, nonostante la sensazione di poter cercare di vivere altrimenti e altrove, Max Dembo ricade nelle antiche abitudini. Il lupo si è avvicinato alle case, e ha pensato che quelle case fossero altre gabbie. Oppure, che gli uomini non fossero compatibili con la sua specie. Nessuna coesistenza, nessuna condivisione. Distanza, e unione soltanto nella finzione. Nessun compromesso. Si torna all’antico sentiero. È difficile riprendere un sentiero quando si è coscienti che sia sbagliato, e tuttavia si è convinti che sia l’unico possibile. Il lupo non si volta indietro e non recrimina. Torna, senza pentimento e senza rimorso, a tormentarsi nell’ombra della sua privata dannazione; tra un amore che sembra assurdo e impossibile e sempre nuovi progetti di fuga, nell’amarezza e nello sconforto di chi si è riconosciuto sbagliato e non sa risolversi al cambiamento.

Precarietà, angoscia, illusione di libertà e interrogazione su quale sia davvero la libertà: queste le colonne portanti dell’opera. “Come una bestia feroce” non adotta una lingua letteraria “alta”, nonostante qualche episodico sprazzo descrittivo che sembra perfino lirico; è un romanzo di genere, ed è ambientato nei bassifondi delle metropoli californiane, tra carceri e ghetti: non si può pretendere che i dialoghi non riflettano la rapidità e la volgarità del parlato della malavita.

C’è qualche riflessione dal sapore di puro esistenzialismo; nulla di sconvolgente o di particolarmente commovente, tuttavia è di certo letterariamente apprezzabile. Non è un libro memorabile, non passerà alla storia, ma è un romanzo noir che ha il merito di ridiscutere, in parte, i limiti strutturali del genere. È decisamente ben scritto, e può risultare appassionante. Non è un fumettone, e non è una balbettante sceneggiatura cinematografica. È ideato come opera di narrativa, e l’autore ha confidenza con l’arte letteraria. Peccato che non sappia liberarsi dal proprio vissuto, e che la trasfigurazione delle sue memorie si traduca in una piccola epica della criminalità. Che, pur eticamente mostruosa, esteticamente può essere interessante. Forse è già soltanto in onore a questo paradosso che il libro merita d’essere sfogliato.

Il libro è suddiviso in tre parti più un epilogo: la prima consta di dieci capitoli, la seconda di tredici, la terza di sei. L’edizione Einaudi si fregia d’una rapidissima prefazione di James Ellroy e di una appassionata introduzione di Niccolò Ammaniti, contraddistinta da una morbosa attenzione alla biografia dello scrittore americano: non si risparmia nessun dettaglio, neppure il più tetro, della caotica esistenza dell’ex criminale californiano. “Non provavo esattamente pentimento, e nemmeno rimorso: solo un gran tormento nei confronti del groviglio dell’esperienza umana. Quel che maledicevo in special modo era il fatto che il crimine fosse la mia sola via d’uscita” (Bunker, “Come una bestia feroce”, parte seconda, capitolo 13).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Edward Bunker (Hollywood, California, 1933 – Burbank, California, 2005), narratore, attore e sceneggiatore americano.

Edward Bunker, “Come una bestia feroce”, Einaudi, Torino, 2001. Traduzione di Stefano Bortolussi. Prefazione di James Ellroy. Introduzione di Niccolò Ammaniti.

Prima edizione: “No Beast so Fierce”, 1973. Prima edizione italiana: Mondadori, Milano, 1978.

Gianfranco Franchi, maggio 2003

Prima pubblicazione: Lankelot.