Come diventare buoni

Come diventare buoni Book Cover Come diventare buoni
Nick Hornby
Guanda
2001
9788882463915

O, come, terrible anonymity / gently (very whiteness:absolute peace / never imaginable mistery) / descend”.

Cummings orna con i suoi versi queste mie povere righe su Nick Hornby. Sono parte di quel popolo di lettori che aveva apprezzato e gioito dello stile e del talento dell’Hornby di “Febbre a 90°”, della maniacalità e dell'ossessività del romanzo “Alta Fedeltà”, dello strano ibrido intitolato “Un Ragazzo”, primo tentativo (fallito) di liberarsi dalla trasfigurazione autobiografica; mi attendevo, come tutti voi, da questa nuova creazione narrativa la definitiva consacrazione di un autore che tanto da vicino mi aveva ricordato Dickens – se non per le trame, affermarlo parrebbe (angosciante) eresia, per lo stile accattivante e per il curatissimo celatissimo accademismo di fondo. Veniamo finalmente alle ragioni del mio rammarico e della scelta dell’incipit cummingsiano in ouverture.

Hornby deve aver compreso che per una totale e indiscutibile consacrazione era necessario distaccarsi dall'unico personaggio degli altri suoi romanzi: se stesso. Un ego, ammettiamolo, adorabile: anticonformista sino all’eccesso, coraggioso, artigliato ai suoi vizi, ai suoi tic, alle sue manie, tutto teso a presentarle eccessive e a giocarci sino a sfrondarle da qualsiasi parvenza di “normalità”. E allora cosa combina il nostro? Ma è ovvio: stavolta lascia che sia un personaggio femminile a parlare in prima persona; è la compagna di un critico letterario e dello spettacolo, fallito, feroce, estremista e perfettamente coerente, sino alla caricatura di se stesso.

Caricatura che puntualmente viene disegnata: subentra nella sua vita un personaggio assai fantasioso e immaginifico, una sorta di creatura frankensteiniana patchwork, post-hippy e pre-new age, dotata di poteri miracolosi(inebetisce i suoi “pazienti” ma cancella loro la memoria della nostalgia o del senso di colpa); costui lo convince della necessità di fare del bene a tutti i costi, a chiunque, privandolo della sua personalità e della sua capacità critica sino ad assorbirle; rimane la larva di questo accattivante personaggio, ormai rapito dal suo nuovo amico, BuoneNuove (nomen omen: triste presagio).

Il testo è fiacco, farsesco, ripetitivo; uno scrittore imbolsito e indebolito dalla fama e dal successo pigramente scribacchia un romanzetto ottimo per le letture in pausa pranzo o in attesa del barbiere; un giornaletto leggibile in poche ore con scarso impegno e poche suggestioni memorabili. Un fumettaccio, ecco, diciamolo pure; e della più bassa lega, perché pretenzioso e presuntuoso. L’esito della vicenda potete immaginarlo sin da quei pochi cenni di trama che vi ho dato; una situazione del genere è malata, sghemba, androide. Personalità risucchiate da un servilismo gentile e da una superficialità ributtante; l’eroica voce femminile tenta di riportare alla ragione l’ambiente afflitto dall’imbecillità in cui vive.

Se Hornby desiderava invitarci a riflettere sull’abbandonismo, o peggio sul pietismo o sulla pacifica aderenza alla realtà malfrancescana della comprensione di chiunque a qualsiasi prezzo, è riuscito nell'intento: questo libro è stucchevole e irritante, e prima di scatenare ondate di buonismo solleva nubi di fastidio e di lucida convinzione che la strada per l’equilibrio e l’armonia della società e delle comunità è altra.

Dimentichiamoci mestamente di quel personaggio virile e nevrotico dei primi romanzi di Hornby; quei suoi tic, quei vezzi gradevolissimi, scompaiono, o si riducono a ombra; il nostro ha annusato il mercato e ha annacquato lo stile, la trama, i personaggi. Finalmente allora un libro per tutti: bando agli amanti del rock, agli ossessi del calcio e delle b-side; a loro si strizza l’occhio ogni quaranta pagine. Hornby vuole fare letteratura, e cade nel melenso, nel grossier, nella noia più densa: adesso è alla portata del famoso grande pubblico.

Un cenno infine alla grafica della copertina; meditate sulle riflessioni espresse poco fa sul fumettone e sappiatemi dire. Caratteri enormi, lingua fluida come il miele, storia commestibilissima e commerciabilissima: quanto basta per sdoganare un ex autore di culto e smerciarlo senza pietà al pubblico delle gigantesche luminose librerie del centro.

Restituitemi Hornby. Stracciategli il contratto, rapitegli la moglie, levategli lo stipendio: che muoia di fame, che soffra, ma che torni a scrivere. Incontrare un autore dal talento così trasparente e dalla così immediata capacità narrativa e vederlo diluito e corretto per leggi editoriali è immorale e irritante. Da chi è in grado di creare arte il lettore pretende arte, e non artifici.
Al macero.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Nick Hornby (Maidenhead, England, 17 aprile 1957), ex insegnante di Letteratura. Narratore, sceneggiatore, giornalista e critico letterario inglese.

Nick Hornby, “Come diventare buoni”, Guanda, Parma, 2001. Traduzione di Stefano Viviani. Titolo originale: “How to be good”.

Gianfranco Franchi, febbraio 2002.

Prima pubblicazione: Ciao.com; a ruota, Lankelot.

Sin qua [2001], il peggior libro di Hornby. Da qui in avanti ho, sostanzialmente, smesso di leggerlo.