C’era una volta il telefonino

C'era una volta il telefonino Book Cover C'era una volta il telefonino
Gianfranco Marrone
Meltemi
2004
9788869161032

1999, 2004. “C'era una volta il telefonino” - scrive il Professor Marrone dell'Università di Palermo: non nel senso che la terrificante moda della comunicazione mobile, costosa e tendenzialmente superflua ha abbandonato la nostra società, ma nel senso che un oggetto che andava facendo notizia (nei giornali; nelle pubblicità) come status symbol e come veicolo di risparmio (eh?) e di abbattimento dei costi, come comfort necessario, è diventato normale. La favola della nuova, grande evoluzione tecnologica è stata interiorizzata: le opere letterarie (Camilleri, De Carlo, Lucarelli) o cinematografiche (Tarantino) che per un breve tratto avevano ribadito perplessità o estraneità o fastidio o sorpresa nei confronti della prigione mobile (“cellulare”, osservava Pontiggia, richiama alla memoria un furgone blindato dei carabinieri) hanno finito per considerarlo oggetto di uso comune; i giornali hanno smesso di pubblicare notizie stravaganti (cfr. salvato e/o incastrato dal cellulare) o di domandarsi che cosa potesse essere e cosa potesse implicare l'elettrosmog. Questa “indagine sociosemiotica” (“settore della scienza della significazione (…) per il quale l'analisi di un qualsiasi oggetto non può e non deve prescindere dalla rete traduttiva di testi che, parlandone, lo mettono in condizioni di significare”), curata dallo studioso in collaborazione con Nicola Dusi e Federico Montanari, si concentra sul periodo 1996-1999: nella premessa alla seconda edizione (2004), l'autore avverte che nel frattempo gli apparecchi sono diventati molto diversi, la tecnologia più sofisticata, le operazioni più complesse (MMS); addirittura, la prassi sociale è (inspiegabilmente, considerando i costi) mutata. “All'inizio il numero di telefonino era un bene da difendere (e da donare), mentre quello di casa era sempre a disposizione; oggi è il contrario: guai disturbare qualcuno fra le mura domestiche” (p. 7).

Se la soluzione semplicemente fosse, come civiltà ed educazione insegnano, concertare le telefonate, evitando incursioni nella vita privata, nel lavoro e nella concentrazione dell'interlocutore? Basterebbe un sms o una email per prendere civili e gentili accordi, restituendo le telefonate “a tradimento”, mentula canis e magari (orrore) ripetute, alla loro natura di sgarbo e invasione della vita privata, mantenendo le telefonate “funzionali” e “necessarie”, rapide e sintetiche, come (rara e ultrarapida) prassi. Ribadendo che spesso chi telefona è un individuo che smania per monologare costringendo almeno una persona all'ascolto (spesso, grazie ai telefonini, il numero può aumentare: c'è chi chiama dagli autobus, dagli uffici, dallo stadio, dalla sala da pranzo, etc), dimenticando che l'ascoltatore coatto poteva e doveva essere in altre faccende impegnato, e che il disturbo arrecato può essere irreparabile. È così.

Marrone sintetizza i progressi tecnologici accennando a dimensioni, peso e copertura del territorio nazionale; ribadisce che curiosamente le nuove possibilità comunicative si sono trasformate, in certi individui e in certe professioni, in necessità, diventando “esigenze da soddisfare”. Allude alla trasformazione dell'accrocchio in gadget pieno di accessori; da servizio a bene di consumo, presente con prepotenza sul mercato.

La conversazione telefonica è cambiata: è spesso intervallata da inchieste sulla capacità e sull'opportunità di ascolto (“dove sei? Mi senti?”, “hai campo?”) o da interruzioni legate a disturbi del segnale, che costringono alle ripetizioni e accompagnano ai fraintendimenti. La conversazione si frammenta – magari, scrive Marrone, per l'ipertrofia dei rumori di fondo. Molti elementi vanno a raccontare gli spostamenti sul territorio o servono a sincerarsi di prossime telefonate, una volta recuperato “campo”. Nessuno domanda più “Con chi parlo?” perché tendenzialmente tutti sappiamo con chi stiamo per parlare o chi sta chiamando (eccetto quei buontemponi che mascherano il numero, credendo sia un artificio indovinato: chissà, magari così mi risponde).

Le comunicazioni hanno perduto la caratteristica plausibile dell'esclusività; ascoltatori involontari o volontari possono essere vari e molteplici, a seconda dei contesti. La quantità di messaggi e di parole aumenta, per forza di cose (“non ho capito!”, “come dici?”, “ma dove sei?”, “eh?”), la qualità della conversazione crolla rasoterra. I tradizionali limiti di spazio e tempo – spiega Marrone – sono stati abbattuti (p. 16). Potenzialmente non esistono più “tempi morti”, per dirla col professore (preferiremmo: momenti di pace, di silenzio, di concentrazione, di meditazione) né “non-luoghi” (ebbene sì: sei in montagna, stai con la tua donna, camminate tra gli alberi e vi arriva la telefonata di un conoscente degli anni Novanta, numero coperto, che vuole proprio sapere che fine avete fatto. Una mail no, eh?). Famiglia e lavoro possono andare di pari passo. Un ambiente invade l'altro (agghiacciante) a qualsiasi ora e in qualsiasi momento. Siete raggiungibili ovunque, e a volte siete costretti (genitori, figli, mariti/mogli, amante) a dover rispondere e a dover ascoltare la comunicazione del cazzo (non funzionale) di turno, magari mentre state perfezionando un documento. L'ambito innovativo, nella cultura, diventa a questo punto la creazione di una “etichetta” telefonica. Serve cautela, perché c'è chi già ritiene che l'orrendo cellulare sia non una “protesi”, uno strumento funzionale e necessario proprio come la maniglia di una porta, e dallo stesso scarso appeal: ma che dia piuttosto vita a un “ibrido”, un essere metà macchina e metà uomo, che funziona soltanto nel momento in cui l'individuo perde la sua umanità e la macchina la sua strumentalità (Fabbri; Marrone, p. 17). L'abominio del cyborg che parla del niente domandando spesso “hai capito?”, e incoraggiando l'interlocutore: “ti richiamo dai!”. Marrone lo chiama “uomo-telefonino”. Io lo chiamo mostro stupido.

Certo: aver confuso l'umano bisogno di comunicare con un apparecchio che suona a qualsiasi ora e in qualsiasi contesto è abbastanza grave. Le compagnie telefoniche hanno giocato su una necessità delle specie imponendole costi, apparecchi e accessori. Ricordatevi sempre un aspetto molto semplice: il nostro tempo è così idiota che a volte dobbiamo pagare per poter parlare. Ripeto: il nostro tempo è così idiota che a volte dobbiamo pagare per poter parlare. Ripeto: il nostro tempo è così idiota che a volte dobbiamo pagare per poter parlare. Meno se chiamiamo da un telefono fisso a un telefono fisso, molto di più se chiamiamo da un fisso a un mobile e viceversa (e poi dipende dalle ore...). Capito? Lo sciacallaggio delle compagnie telefoniche s'è spinto sino a questo. Vi hanno convinti che fosse necessario essere raggiunti ovunque per poter finalmente dire “Mamma, butta la pasta!” giusto dieci minuti prima, ma pagando molto più delle vecchie 200 lire nelle cabine telefoniche per strada. Assieme, vi potete aggiudicare schermi, suonerie, connessioni al web (su schermi magari illeggibili, e a costi assurdi e soverchianti) e potete scattare foto e girare filmati. Proprio come un cronista di Novella2000, siete dei guardoni autorizzati. Quando vi sarete stufati di scattare foto inutili ai concerti o allo stadio o al pub o in vacanza con gli amici, potrete finalmente fotografarvi il culo e spedirlo – via MMS – a tutti i vostri amici. Pagando caro (a differenza che via email, ma serve ricordarlo? Forse sì).

Platone polemizzava sulla scrittura, ricorda Marrone, nostalgico com'era di quell'epoca felice in cui la conoscenza si tramandava per via orale. Ma tra la scrittura e la telefonia c'è un abisso abbastanza mostruoso; questo abisso niente lo colma. Il telefono è un oggetto estraneo all'umanità, che dovrebbe essere presente in misura cauta e in numero razionale (uno per quattro abitanti) in ogni casa, come strumento di comunicazione con chi abita distante o all'estero, per dialoghi privati e concordati. Il cellulare è un mostro che va tenuto a bada: utile veicolo di comunicazioni scritte (e quindi: differite, non immediate) a costi contenuti, pessimo strumento di controllo della vita privata dei cittadini e di interruzione del loro lavoro e della loro concentrazione. Restituire questo strumento di tortura e di frammentazione dell'intelligenza e del pensiero alla sua natura originaria – funzionale – sarà la vittoria di una nuova civiltà. Umana, e umanista.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gianfranco Marrone, professore di Semiotica nell'Università di Palermo, saggista e scrittore italiano.

Gianfranco Marrone, “C'era una volta il telefonino. Un'indagine sociosemiotica”, Meltemi, Roma 1999. Nuova edizione, 2004. Con due saggi di Nicola Dusi e Federico Montanari.

Gianfranco Franchi, aprile 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.