Boy A

Boy A Book Cover Boy A
Jonathan Trigell
ISBN Edizioni
2009
9788876381416

Ha un nuovo nome, ma il passato non lo dimentica e del passato non si dimentica. Sogna un futuro diverso, con la ragazza di cui si è innamorato, Michelle-Shell, “conchiglia”, in “un posto dove nessuno ha mai sentito il suo nome. Il suo vero nome, quello che tiene nascosto nell'oscurità. Quello che gli sembra un estraneo, ora. No, non un estraneo, un vecchio nemico. Uno che gli ha fottuto la vita, una volta, tanto tempo fa, per sempre” (p. 150).

In principio era “A sangue freddo” di Truman Capote, “non fiction novel” dolorosa, assurda, tragica, umanissima: un capolavoro che non faticherà ad attraversare il tempo. Capote è riuscito in un'impresa: avvicinarci alla psiche di chi ha sbagliato. E sbagliando ha assassinato. È riuscito a insegnarci non la pietà – troppo semplice – ma la comprensione delle dinamiche di vite difficili, dolorose, ferite, insensate, e delle terribili cose che possono derivarne. Era difficile simpatizzare per due assassini: più ancora, sentire desiderio di conoscere le loro storie, e di orientarsi nelle loro esistenze. Capote è stato capace di mostrarci come si fa, senza macchiarsi l'anima e senza sporcarsi la coscienza; semplicemente, ci ha ripulito dalla rabbia e dal risentimento nei confronti degli assassini, ricordandoci che esiste la legge, che esiste una giustizia, e che assassinare gli assassini non ha senso. Era un'impresa difficile, e chissà quanto davvero è costata all'artista americano.

Mentre lo spiazzante esordiente Jonathan Trigell, giornalista e insegnante di sci, uomo dai molti mestieri, cosa ha voluto raccontare? Ha voluto raccontare, prendendo il via da un vero episodio di cronaca nera, cosa accade a un ragazzino che han ammazzato una sua coetanea, quando torna ad affacciarsi alla vita da libero cittadino. Ab origine, non puoi non sentire il più assoluto disprezzo per questo ragazzo che ha ucciso e si ritrova in libertà; e senti un pizzico di compiacimento quando leggi che il suo socio s'è impiccato in carcere. È atroce, ma ti sembra che sia un giusto epilogo. Ab origine, non puoi non sentire fastidio e repulsione al solo pensiero che “Jack” - questo è il nuovo nome del ragazzino che prima si chiamava“A” - stia riconquistando il suo diritto ad amare, a lavorare, ad avere una vita sociale, fingendo d'essere un altro; un ladro di macchine, non un assassino. È ancora giovanissimo, ventenne o giù di lì, e allora come si può tollerare una cosa del genere? Chi restituisce la ragazzina che ha ucciso ai suoi genitori? Perché questo ragazzo deve vivere una vita che ad altri ha strappato? Che crepi in carcere, pensi.

Ma Trigell fa una magia. Riesce a farci dimenticare tutto o quasi, perché ci mostra quanto Jack si stia impegnando per riconquistarsi una vita, per migliorarsi, per essere diverso dalla persona che era. Ci mostra tutte le sue paure, le sue insicurezze, le sue angosce, le sue frustrazioni: tutta l'ingenuità che uno non può credere che lui conosca – o che gli sia rimasta – e così ci si ritrova a parteggiare per lui. Perché possa vivere questa vita nuova con un altro nome e cognome, in un'altra città; adesso è morta anche sua madre, suo padre è tornato a lavorare in Kuwait, e lui non ha più nessuno. Non è più niente. È questo altro nome, è questa città – Manchester – proletaria e povera che lo accoglie come niente fosse, è quella ragazza che gli piace, è tutta questa incredibile serie di prime volte che lui vive da mezzo adulto. Da non più ragazzo. Da ex assassino che sogna, ogni notte, la sua vittima, e la chiama per nome; e intanto si sforza di cambiare, di essere diverso. Salva una vita, anche. Di una ragazzina, guarda un po', dopo un incidente. E rischia la pelle, pure. Scazzottandosi con uno per difendere un (nuovo) amico. È generoso, sembra cambiato. È cambiato – questo è il problema – e accidenti se ci si rende conto che merita questa chance, merita questa vita, merita di costruirsi un ruolo e un'identità nuove. Ecco: ho detto questa cosa terribile ma mi sembra sacrosanta, in questo è riuscito Trigell, scrivendo “Boy A” a trent'anni. A farmi andare contro me stesso. Come potrò ringraziarlo? Scrivendone. Qui. Adesso.

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Jack del vecchio nome s'è liberato, come fosse una pelle di serpente, scaraventandolo nel buio del suo passato. Un buio che torna a pretendere centralità e spazio, periodicamente. Terry lo sta aiutando a vivere una vita nuova, come ha già fatto con altri ragazzini usciti dal riformatorio che erano ormai adulti, senza esserlo potuti diventare; senza essere mai cresciuti. Lui, Terry, lo conosce da quando ancora si chiamava “A”. “A” era in cella con “B”, il suo compare, morto suicida in cella. Ha assistito al suo recupero. Il recupero è pienamente riuscito.

Adesso Jack può ricominciare. È a Manchester, ospite di una signora, Kelly, e del suo gatto, Marble. Deve solo mostrare “buon senso e cortesia”. Deve ricordarsi che ha un nuovo nome, e un passato di “furti di auto” alle spalle. Una cosetta, non un omicidio. Trigell, intanto, racconta chi era, ci spiega il suo passato. Infanzia difficile – tartassato dai bulli, complessato, presto fuori dalla scuola – e un'amicizia eccezionalmente sbagliata. Teppismo, furtarelli, infine una violenza. Omicida. E tutta l'Inghilterra che gridava al mostro, che domandava una pena infinita, che rifiutava pietà e comprensione, che raccoglieva firme perché marcisse in galera. E in galera lui c'era andato, morto di paura per tutto quel che potete immaginare, violenza, sodomia, volgarità, infamia, solidarietà animalesca; e ne era uscito, sulle sue gambe, con una sua personalità, con una gran fame di vita, di redenzione, di rigenerazione. E sognando il mare. “Jack non è mai stato al mare, ma sa che se ne innamorerebbe subito. In doccia invece non ci sta tanto. Si sente ancora vulnerabile, nelle docce” (p. 31).

Donne diverse dalle insegnanti, in prigione, non ne ha viste. Quando scopre Michelle non sa da che parte cominciare. “Jack è disorientato, impietrito; la sua ignoranza delle cose del mondo è come una carcassa di albatro avvolta sul collo. Le sue ali immense rovesciano i mobili” (p. 26), racconta Trigell. Non ha neanche mai ballato. Niente balli a scuola, niente feste, niente discoteche, niente matrimoni. Non sa neanche da che parte cominciare. Non sa niente, sa quel che ha studiato sui libri di scuola, in carcere, o ha ascoltato alla radio. Lentamente, sta configurando un mondo. E accidenti quanto è credibile la ricostruzione tratteggiata da Trigell, quanto è difficile e complessa e contrassegnata da sacrifici e scelte importanti, quotidiane. Gran bel lavoro.

E così, si parteggia per chi ha ucciso da ragazzino, incosciente, stupido, pazzo. Si parteggia perché quel ragazzino non esiste più. Non del tutto. Non del tutto. Trigell non è satirico, non è tragicomico, non è irrealistico. È molto crudo e realistico. Con dolcezza, ma non con leggerezza. E l'epilogo, straziante, allucinante, idiota – come la nostra società, certe volte, e i suoi media – è qualcosa che ti obbliga a chiederti se davvero c'è qualcosa che si possa fare per reintegrare nel tessuto sociale i nostri concittadini che hanno sbagliato. Addirittura gli assassini? Che risposta posso dare... l'istinto e lo stomaco e il sangue dicono no. L'intelligenza, la speranza, la pietà, l'umanità, invece, mi smentiscono.

Trigell ha saputo addomesticare il male. Un esordio, questo “Boy A”, semplicemente memorabile. Che dire: remarkable.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Jonathan Trigell (Welwyn, Londra, 1974), giornalista, istruttore di sci e scrittore inglese. Ha esordito pubblicando questo romanzo. Ha vissuto a Manchester, adesso sta a Chamonix.

Jonathan Trigell, “Boy A”, ISBN, Milano 2009. 255 pp, 16 euro. Traduzione di Tomaso Biancardi. In appendice, Nota del Traduttore.

Prima edizione: “Boy A”, Serpent's Tail, 2004.

Adattamento cinematografico: “Boy A”, di John Crowley, con Andrew Garfield e Peter Mullan, 2007.

Gianfranco Franchi, luglio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.