Autunno tedesco

Autunno tedesco Book Cover Autunno tedesco
Stig Dagerman
Lindau
2014
9788867082971

Lo spirito nobile del letterato di razza, l’anima gentile e sensibile dell’artista: questo era Stig Dagerman, intellettuale estraneo alle ideologie dominanti, anarchico ed empatico, uomo pulito. Per queste ragioni, non solo per il suo talento, pur non essendo giornalista il giornale ‘Expressen’ gli commissionò dei reportage in terra tedesca, perché testimoniasse, con la sua intelligenza e la sua capacità d’ascolto e d’osservazione, la tragedia della Germania sconfitta, e della sofferenza del suo popolo vinto e umiliato.

1946. Tra il 15 ottobre e il 10 dicembre Stig visita le rovine del Reich, passando, tra le altre, per Hannover, Monaco, Norimberga, Berlino, Colonia, Francoforte: ne derivano articoli pubblicati tra il 26 dicembre 1946 e il 28 aprile 1947, raccolti quindi in volume – Ferrari, il curatore dell’opera, assicura: con tagli e integrazioni rilevanti. L’opera, tradotta in tedesco nel 1979, in francese nel 1980, appare finalmente in italiano nel 2007, per i tipi delle edizioni Lindau di Torino, che contribuiscono – dopo il meritevole lavoro delle edizioni Iperborea – a offrirci una visione più completa della produzione del narratore svedese.

Ferrari spiega: “Antinazista fin dall’adolescenza, aveva sposato un’esule anarchica tedesca (…), si sentiva fraternamente legato a tutti i compagni di fede che erano rimasti in Germania e condividevano la fame e la miseria dei loro connazionali che non avevano osato, saputo o voluto opporsi a Hitler” (p. 130). Ma non è tutto qui. Stig Dagerman interiorizza il dolore e la disperazione di un popolo piagato dal freddo, dalla fame, dalla miseria: scosso dal continuo arrivo di profughi dall’Est, e da sempre nuove partenze di cittadini per l’America, racconta d’un’alimentazione ridotta ai minimi termini (carne di dubbia provenienza, verdure sporche, battaglia tra cittadini per strappare qualche patata di un carico smarrito), di bambini costretti a crescere e vivere per la strada (p. 11), di una crudeltà abnorme esercitata nei confronti di una collettività che era già abbondantemente piagata dai milioni di morti in guerra e dalla distruzione delle città.

Sembra logico – sembra umano. Ma scrivere cose come queste nel 1946 significava sfidare l’opinione pubblica di larga parte dell’Occidente, dei nuovi Stati egemoni e delle ideologie vincitrici e dominanti, che sembravano assistere alle disgrazie dei tedeschi senza nascondere soddisfazione. La tragedia della guerra non era abbastanza, sembrava necessaria l’umiliazione della miseria, della fame, del contrabbando e della decadenza di tutto per mettere in ginocchio quel che restava del Reich. Molti giornalisti – racconta il coraggioso Dagerman – inorridivano quando sentivano raccontare dai sopravvissuti che sotto il nazionalsocialismo non pativano una miseria simile: subito davano dei nazisti agli intervistati, e li fuggivano come appestati. Ma l’approccio giusto era ricordare che chi di fame stava morendo non poteva non ricordare che una volta era povero, ma non a questo livello. Stig semplicemente evidenzia che non si può andare da chi campa con qualche fetta di pane e domandargli se preferiva averne una decina in più ma essere nazista: bisogna compatire, condividere la loro sorte, capirla e non giudicare. No.

La fame è pessima maestra: “Chi ha davvero fame ed è completamente privo di mezzi non accusa se stesso per la sua fame, bensì quelli da cui crede di potersi aspettare aiuto” (p. 17): la fame non favorisce la ricerca delle cause.

Dagerman ribadisce: rispettate la sofferenza. Ma rimane inascoltato. Le truppe alleate non esitano a sgombrare case e ad appropriarsi dei beni dei tedeschi; indifferenti al loro dolore, prevaricano e dominano. La Germania è occupata e presto sarà divisa, parte in mano agli assassini comunisti sovietici, parte “libera” sotto l’egida angloamericana. Sotto l’egida di quelli che hanno amputato i campanili di Berlino, distrutto edifici, case e bombardato cimiteri dappertutto. Devastato Essen e Hannover, umiliato e cancellato Dresda, ridotto in macerie Colonia. Amburgo, più desolata di un deserto, è come un incubo (p. 24). I cittadini vanno in cerca di carbone tra le rovine, rischiando la pelle. Gli antinazisti cominciano a essere delusi: altro che liberazione, questa è occupazione (ne sappiamo qualcosa anche noi, che sessant’anni dopo ospitiamo circa 100 basi angloamericane in casa nostra, testate nucleari incluse).

Esiste infatti in Germania un certo numero di sinceri antinazisti che sono più delusi, più disorientati e più sconfitti di quanto lo siano i simpatizzanti nazisti: delusi perché la liberazione non è stata radicale come si erano aspettati; disorientati perché non vogliono solidarizzare con il malcontento dei tedeschi – in cui riconoscono troppo nazismo nascosto – né con la politica degli alleati, di cui osservano con costernazione l’indulgenza nei confronti dei vecchi nazisti; e infine sconfitti, perché in quanto tedeschi dubitano di poter fare valere la loro quota di partecipazione alla vittoria alleata, e allo stesso tempo, in quanto antinazisti, non sono altrettanto convinti di non avere alcuna responsabilità nella sconfitta tedesca” (p. 28). Questo il quadro tracciato dal grande Dagerman. Indifferenti alle elezioni tenute in un Paese occupato e martoriato dalla povertà, puniti sin oltre il lecito, i tedeschi vivono in un cimitero a cielo aperto: tutto è in rovina. Ci si sente sabotati dagli inglesi (p. 42) per la loro indifferenza, e si raccontano amarissime boutade sul loro cinismo (cfr. storiella dei quattro occupanti, p. 53). È una generazione perduta, quella che deve provare a restituire forza alla Nazione. A 18 anni hanno avuto il mondo ai loro piedi, a 22 hanno perso tutto, affetti e case e futuro.

Mentre Dagerman è martire – in senso etimologico – della disfatta di un popolo, che dovrà attendere circa 50 anni per ritrovare almeno l’unità della nazione e liberarsi dal morbo del comunismo, in Europa c’è chi gongola per la sconfitta di un popolo che veniva fatto coincidere in toto con l’ideologia che lo aveva dominato. Che oltraggio, e che ingiustizia. Infine, per concludere, vorrei evidenziare un passo che giudico toccante per i nostri simili. Dagerman racconta le condizioni di vita dei nostri fratelli letterati tedeschi nel dopoguerra. Ben sappiamo che già, di norma, lo status dei letterati e degli artisti è infelice e povero: sentite cosa accadeva allora, e pensateci, pensateci bene quando ci capita di lamentarci per la corruzione e la mediocrità del nostro tempo. Perché si può andare oltre, può finire peggio. Stig scrive: “Gli scrittori tedeschi, che non pubblicano libri se non in casi fortuiti ed eccezionali, vivono principalmente delle lezioni e delle conferenze che tengono viaggiando di qua e di là. Si tratta di viaggi lunghi, gelidi e deprimenti, dai quali tornano raffreddati, stanchi e incapaci di scrivere. E certo non è un’attività che arricchisca, o che almeno renda sazi. Se si posseggono dei libri bisogna venderli per avere tè, zucchero o sigarette. Se si hanno più macchine da scrivere del necessario le si può scambiare con un po’ di carta, e se lo scrittore vuole delle penne con cui scrivere le può avere in cambio della carta acquistata a così caro prezzo” (p. 117).

Ecco. Solo per questo avrei voluto essere tedesco allora. Per battermi per la rinascita del mio popolo, affiancandolo nella miseria e nella disperazione, sognando riscatto, e rigenerazione. Danke Stig.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Stig Dagerman (Älvkarleby, 1923 – Stoccolma, 1954), scrittore, poeta, saggista, sceneggiatore svedese. Diresse “Storm”, giornale della gioventù anarchica. Debuttò pubblicando il romanzo “Il serpente” nel 1945.

Stig Dagerman, “Autunno tedesco. Viaggio tra le rovine del Reich millenario”, Lindau, Torino 2007. Collana I Leoni – collana di saggi di storia. Traduzione di Massimo Ciaravolo. Postfazione di Fulvio Ferrari.

Prima edizione: “Tysk Höst!”, 1947.

Gianfranco Franchi, maggio 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Ad Angela. Grazie.