American Ground

American Ground Book Cover American Ground
William Langewiesche
Adelphi
2003
9788845918056

Tre reportage, originariamente apparsi su “The Atlantic Monthly” nel 2002, nati per «elaborare una qualche risposta agli attacchi terroristici dell’11 settembre». La prima difficoltà si presenta al momento di catalogare questo volume. Non si tratta certamente di fiction, come vorrebbero i (non pochi) detrattori dell’autore negli States: l’ambizione di Langewiesche era quella di scrivere una «storia del presente», scevra da quel «sentimentalismo malsano» sobillato dai media e dalle forze politiche e, per quanto possibile, «neutra».

Il risultato è davvero difficilmente definibile: “American Ground” è un ibrido. Quando si ha l’impressione che si rimanga fedeli al reportage, l’insistenza nel tratteggiare e connotare temperamento, biografia e spirito di alcuni dei protagonisti e il ritmo della narrazione fanno pensare più facilmente a una sceneggiatura cinematografica; quando si sta per scivolare pericolosamente nel vissuto di alcuni uomini, Langewiesche torna, per quanto possibile, a raccontare con tono “asettico” e freddo. L’unica impressione nitida nel lettore è che l’autore sia riuscito nella difficoltosa impresa di esorcizzare retorica e “sentimentalismo malsano”, sostenendosi con una quantità di dati e di misure che riescono addirittura a illudere a proposito del suo essere “sguardo” “neutro” dei lettori. Del resto, lo stesso Langewiesche ammette e, in un certo senso, rivendica i propri limiti: «Nel bene e nel male, i protagonisti della mia storia sono soprattutto i responsabili delle imprese edili. (…) Fin dall’inizio ho pensato che sarebbero stati loro a recitare la parte più importante, perché avrebbero dovuto affrontare sfide di ogni genere. Ho scelto quest’angolazione e l’ho sempre mantenuta. Il libro parla esplicitamente della rimozione delle macerie».

Leggiamo tra le righe: Langewiesche mira almeno a ridiscutere, se non a ridurre e diffamare, il ruolo giocato dai Vigili del Fuoco e dalle forze dell’ordine sulle rovine delle Twin Towers. Nell’immaginario collettivo, l’eroismo dei pompieri caduti in azione (343 dei 14mila effettivi, specifica l’autore) è la prima icona dei giorni dell’attentato: Langewiesche aggiunge due elementi volti a screditare il loro operato (e quello della polizia e degli operai).

Il primo, il più aberrante, è quello legato ai saccheggi: «A dire la verità, bastava osservare le impronte lasciate dai computer portatili e tutte le borse aperte per capire che la stanza era stata perquisita a fondo in cerca di oggetti di valore, magari da un vigile del fuoco o da un poliziotto o da un operaio. Rappresentanti di tutti e tre i gruppi sono stati effettivamente implicati nei numerosi episodi di saccheggio, cominciati ancora prima del crollo delle torri e culminati durante la settimana di Natale, con la clamorosa sparizione dagli uffici di quello stesso palazzo» (pp. 30-31).

Si veda, a questo proposito, più avanti, pp. 190-191: «I saccheggi avvenivano in sordina, ma con una certa continuità. Nulla di sorprendente, perché il Trade Center era già stato oggetto di furti da parte di poliziotti e pompieri dopo l’attentato del 1993. Questa volta gli episodi sono stato meno gravi, ma si sono protratti più a lungo». Poche righe più avanti, si dimostra particolarmente informato: «A quanto pare, l’appartenenza alle diverse tribù influenzava gli orientamenti merceologici. Si dice che i pompieri preferissero gli orologi di Tourneau e i poliziotti i piccoli elettrodomestici da cucina, mentre gli operai (che partivano svantaggiati) si accontentavano di arraffare quel che capitava: per esempio, le bottiglie di vino sotto le rovine dell’hotel Marriott, oppure le casse di sigarette di contrabbando che traboccavano dalle camere di sicurezza della Dogana nell’edificio numero sei». Curioso che un discorso che si fonda su un «a quanto pare» e un «si dice» risulti tanto informato: questo è un paragrafo particolarmente odioso, e chiarisce l’estrazione sociale e l’atteggiamento “neutro” del giornalista.

Dopo aver ampiamente macchiato l’operato dei Vigili del Fuoco, degli operai (ovviamente: in maggioranza, italiani e irlandesi) e delle forze di polizia, si spinge in più circostanze a parlare di «solidarietà tribale» o «per uniforme»: l’intento dell’autore, credo, è chiarissimo. Meno limpido il tono.

Quando si afferma che la zona da risanare aveva l’atmosfera di un «quartiere proletario italo-irlandese» si cade nel solito, infame razzismo wasp. Non mi sembra perdonabile. Non lo trovo «neutro».

Il secondo elemento volto a screditare i giorni della «rimozione delle macerie» è più sottile ma non meno efficace: l’insistenza sull’emotività e sull’isteria derivata da questa «solidarietà tribale», che prevedeva e comportava, secondo quanto riportato dall’autore, una autentica «selezione dei cadaveri».

I Vigili del Fuoco andavano, per così dire, trattando diversamente i morti civili rispetto ai morti “fratelli”. Animati, come gli altri soccorritori, da un «fervore quasi estatico», vengono dipinti da Langewiesche come una sorta di implacabile e fanatica massoneria, regolarmente tra i piedi degli ingegneri e degli operai edili nei mesi della rimozione delle macerie. Non manca il ricordo della rissa tra Vigili (del resto, p. 194, «la mancanza di disciplina fa notoriamente parte della cultura dei Vigili del Fuoco») e poliziotti, il 2 novembre 2001: giudicata «guerra tra bande» dal cronista snob, che parla di «forte senso di territorialità», come se discutesse di gruppi di animali della savana.

Nell’area, di quattro ettari di ampiezza e venti metri di profondità, le rovine, alte anche quindici metri più del livello della strada, hanno bruciato per mesi. Si è lavorato per nove mesi, ventiquattro ore al giorno, rimuovendo oltre un milione e mezzo di tonnellate di metallo e di macerie. Sono stati ritrovati soltanto diciotto sopravvissuti. Circa tremila le vittime. Quindicimila gli scampati al massacro. L’esercito controllava il perimetro dell’area.

Questi i dati, ospitati nel libro, che meritano d’essere ricordati. Il resto dovrebbe essere accuratamente revisionato e ridiscusso. Enfasi sui «responsabili delle imprese edili» e acrimonia contro «le tribù in uniforme» e gli operai in primis. Langewiesche è rimasto per sei mesi nel cantiere: per cinque mesi ha poi scritto. Il libro è strutturato in tre parti: “Un mondo infero”, “La terapia intensiva”, “La danza dei dinosauri”. È stato l’unico giornalista autorizzato a rimanere all’interno dell’area. Avremmo preferito fosse stato in compagnia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

William Langewiesche (1955), giornalista e scrittore americano.

William Langewiesche, “American Ground”, Adelphi, Milano, 2003. Traduzione di Roberto Serrai.

American Ground” è originariamente apparso in tre parti su “The Atlantic Monthly” nel 2002.

Gianfranco Franchi, gennaio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.