Alex Pietrogiacomi, ufficio stampa: karate, teatro, radio, Castelvecchi…

piano seppia

Alex Pietrogiacomi, letterato classe 1977, ufficio stampa di Castelvecchi dal 2006, è una figura assolutamente eclettica: musicista negli Ars Pagana (cantante e leader della band) pubblicista con collaborazioni di livello (“Il Mucchio Selvaggio”, “Gufetto”, “Il Paradiso degli Orchi”), karateka, autore radiofonico (direttore del palinsesto di “Back in Black” e conduttore in RCF 101.8, in Roma e Lazio), ex attore di teatro. Aggressivo, fantasioso, seducente, Alex incarna una nuova concezione del ruolo di ufficio stampa. Semplicemente postmoderna.

Credo nel gonzo journalism, alla Hunter Thompson. Adoro il suo stile. Ho cominciato a scoprirlo con il libro sugli Hell’s Angels e poi, naturalmente, ho amato Paura e disgusto a Las Vegas. Parlo sia del film che romanzo…  Credo che chi vive questo mestiere come fosse routine sia un impiegato, non un comunicatore: con tutto il rispetto per gli impiegati, s’intende. Noi siamo creatori, filtratori, fruitori; noi siamo gli epitaffi della comunicazione, siamo gli artefici del messaggio. Siamo dei demiurghi”.

Demiurghi. Bene. C’è qualche tuo collega che consideri, in qualche modo, un modello?

Un professionista che ammiro molto è l’ufficio stampa di Sergio Cammariere, Flavia. Nella musica il maestro è Riccardo Vitanza, e poi naturalmente… sì, ho un modello ideale. Quello del professionista a tutto tondo che riesce a interiorizzare, sintetizzare e condividere lo spirito d’un’opera: con arte – dev’essere capace di mimetismo! – e sincerità. Mi piace accorgermi di avere la capacità di relazionarmi con un altro sulla base di dettagli minimi: l’estetica, il tono della voce… tutto questo senza perdere di vista la mia personalità. Io trovo un canale ideale, non devo snaturarmi. C’è una cosa che va detta. L’ufficio stampa italiano ha il 10 percento delle potenzialità di un US in America. Qui c’è un approccio differente, si tende a impoverire certe risorse, a contenerle e non a sprigionarle… è un peccato, e un errore. Il modello di comunicazione cinematografico più interessante, in questo senso, rimane Thank You For Smoking: comunicazione e rischio, adrenalina… e poi, penso anche a Jerry Maguire. Il discorso è semplice: bisogna credere nel progetto e nei difetti del progetto: altrimenti si passa per visionari. Io adoro la follia lucida – quando conosci i limiti del libro o del prodotto che stai lanciando, e ti butti. E combatti”.

Combattere. È una delle parole chiave di Alex Pietrogiacomi. Parliamo della sua recente esperienza editoriale, adesso. Quali sono i libri Castelvecchi che hai più amato in questi anni?

Libri Castelvecchi… L’adorazione del piede e Sdraiami di Berarda Del Vecchio: perché comunque sono stati una scommessa dal punto di vista del personaggio, della comunicazione. Abbiamo dato vita a una comunicazione interdisciplinare: dai siti internet, generalisti, sino a quelli specifici e caratterizzati, puntando – che so – blog fetish o sadomaso, che prima non potevo conoscere a dovere… Prendere una totale esordiente e vederla crescere – tra radio, televisione, c’è stato di tutto – mi ha ricordato quando lavoravo nel mondo della musica, come ufficio stampa, pensando alla crescita e allo sviluppo della popolarità di un artista. Capire il potenziale che aveva, aiutarlo ad abbassare la soglia di debolezza e poi farlo volare… è tutto qui”.

Altri libri?

La ballata delle prugne secche di Pulsatilla, perché io ho cominciato da lì, da quel libro. Grande esperienza. Poi naturalmente Il Vangelo secondo Maria della Alberti e il Corso accelerato di ateismo di due intellettuali spagnoli, Campillo e Ferreras, e Il manuale del cattivo di Francesco Dimitri”.

Hai esordito come attore. Raccontaci.

Ho avuto esperienze di recitazione sin dai tempi del Liceo. Vennero dei ragazzi che partecipavano a un concorso dell’UNICEF, serviva un’opera inedita… Io sono stato scelto come protagonista. Mi sono avvicinato al teatro così – con un concorso vinto – anni dopo sono stato chiamato a interpretare un recital sulla Passione di Cristo – interpretavo Giuda: ho riscritto e reinventato un monologo. La cosa è piaciuta e ho lavorato in un altro progetto dedicato a San Francesco… sono stato notato dal direttore del teatro stabile di Fiuggi e mi ha fatto partecipare a questo laboratorio della Silvia D’Amico, del Bellini di Napoli… ha avuto inizio un excursus teatrale durato 3 anni. Ho lavorato con Donato Castellaneta, quindi con l’Associazione Donne in Musica dedicandomi a un progetto teatrale altro: “Il dialogo nella palude” della Yourcenar. Mi sono ritrovato dalle esperienze liceali a quelle al fianco di artisti d’accademia. Professionisti autentici. Ho declinato l’invito a entrare alla Silvia D’Amico per amore, e per errore – ero folle: è stato un autogol… se ci avessi provato… da allora ho deciso che non si devono avere rimpianti, per avere una vecchiaia serena. In ogni caso, anni dopo c’è stata un’ultima esperienza teatrale, un musical su Torquato Tasso. Per un divoratore di mondi come me, l’esperienza a quel punto era esaurita”.

Cosa significa per un ufficio stampa poter poggiare su una formazione e un’esperienza da attore?

Significa riuscire a guardare e a leggere con altra intensità. Io ora leggo in profondità… grazie a Strasberg, a Stanislavksij… gli insegnamenti di questi maestri mi hanno insegnato a essere figura, maschera, toccando nel bene e nel male il mio fondo, e sapendolo comunicare. Camuffando, anche. Da ufficio stampa, così, colgo aspetti emozionali nuovi, altri: l’identificazione diventa un’arma vincente. Ti permette di ENTRARE NEL LIBRO. Ti permette di ESSERE IL LIBRO”.

Altra esperienza fondamentale: musicista negli Ars Pagana. Raccontaci.

Il progetto nasce nel 1995 come “Cultura Orientale”. Venivo da un’esperienza con altri amici musicisti – suonavo la batteria negli Aasgard; la formazione si separò, senza attriti, e nacquero gli Ars Pagana. Ideati in una notte insonne, prima d’un compito di Latino… guardavo un documentario sui Celti. Sogno era quello di dare vita a una band metal e suonare bene, cose di qualità: divertirci e divertire. L’obbiettivo era questo, la qualità – come in tutto – era un’ossessione. Abbiamo fatto pochissimo metal, in realtà; cambiavamo spesso musicisti e influenze. Pensa, all’inizio c’era una donna batterista… io sono stato, per un breve periodo, bassista. Ora facciamo cover, abbiamo inciso due pezzi che sono andati molto bene. Io sono un divoratore di mondi e non potevo fare soltanto questo, avevo bisogno di dare vita a qualcosa di differente… diciamo che ora il mood è blues, funky jazz, rock. La formazione attualmente è composta da due chitarre, batteria, basso, io come tastiera e voce – siamo in cinque”.

Facciamo un gioco. Pensa all’esperienza dei concerti dal vivo: trasliamola nelle presentazioni dei libri…

L’esperienza dei concerti – in assenza di roadies, services, eccetera – è formativa: suoni in palchi così piccoli che devi inventare line up che consentano movimento, libertà, visibilità, evitare rischi… (di ogni genere) così è per le presentazioni librarie. Mantieni un sangue freddo pazzesco. Capisci cosa manca e vai a sistemarlo al volo, in un attimo. Penso a quanto è successo pochi giorni fa a Milano, per l’evento di Dorfles… sistemare l’amplificatore in poco, miscelando i volumi come dio comanda, pensando a risolvere a un tempo l’aspetto tecnico e organizzativo… diciamo che l’esperienza mi veniva da lontano”.

Karate: la tua disciplina.

Tutto ciò che sono nasce e finisce dal Karate. È la mia disciplina dal 1986. Non so per quale assurdo motivo – sicuramente la fascinazione per il mondo dei samurai – io sono stato rapito dalle arti marziali; soprattutto da quelle giapponesi… ho scelto lo stile Shotokan. Io all’epoca ero un nerd. Grasso, fuori posto. Il karate ha cambiato il mio fisico. Ho cominciato a fare gare dal 2000… il Karate mi ha insegnato a prendere le cose di petto. Magari anche con eccessivo coinvolgimento. Quando devi allenarti per raggiungere un risultato, l’obbiettivo è sempre preciso e ben chiaro davanti a te. Il nostro pugno – nel nostro stile – deve andare al di là dell’avversario. Il karate ti insegna a guardare l’avversario negli occhi. A prenderti la responsabilità del combattimento. Il combattimento è una disciplina sportiva. Non è vincere o perdere, è fare un buon combattimento. Ho iniziato col karate tradizionale, ci insegnavano a colpire il legno con le nocche, etc… l’approccio è stato brutale e concreto, anche col dolore. Ma ho imparato a gestire il dolore e la sconfitta. Come insegna Confucio, ‘Vincere è un’abitudine. Fortunatamente, lo è anche perdere’. Una volta che sei entrato in questo circuito mentale, sopporti il dolore con altra dignità. Il karate mi ha costruito mentalmente e fisicamente. Il concetto di unione, di compagine, di squadra – e ovviamente il mio individualismo – nascono allora. Vedere passare un ragazzo da 102 chili a 87, vederlo gareggiare – terzo ai regionali, a testa alta contro i campioni europei… ti rinforza. Come ti rinforza essere sconfitto da un lituano che ti passa sopra come un treno, a Milano… e così si riesce ad affrontare la caduta con ben altro stile. Non cadi per prendere una botta… cadi per rialzarti. Non si cade per restare a terra… se non da morti. E forse nemmeno da morti”.

Perfetto. Allora, ufficio stampa come karateka…

“… significa ‘mano vuota’. È proprio il concetto dell’onestà che c’è nella mano vuota a essere vincente. Anche professionalmente ti accorgi – con onestà – degli amici, dei nemici: a volte sei tu a forgiare una squadra, altre volte si condivide l’energia. E si guardano negli occhi con serenità e chiarezza vittoria e sconfitta. Quando fai tutto, quando dai tutto – pensando al buon combattimento: dando tutto, tutto te stesso – ti rimane un’altra sensazione addosso. Sai che non devi cedere: devi solo combattere. Combatti, martelli, cercando un punto debole anche quando le cose stanno andando male. Non importa come andrà. Importa essersi battuti. Lealmente”.

Alex e la scrittura.

Consapevolmente, ho cominciato a scrivere da poco. Ho capito perfettamente che la strada della scrittura mi appartiene. Comunicazione è scrittura. Scrivo da sempre; ho fatto artigianalmente – disegnato, scritto, impaginato – un libro in quarta elementare. Diciamo che ho cominciato allora… Reinventavo, a modo mio, E.T. – ho venduto quel libro a una fiera scolastica. Ho sempre scribacchiato – mi sentivo portato. Dal Liceo è arrivata la consapevolezza, le prime sperimentazioni coi MOLESKINE. Versi sciolti, estranei alle gabbie della metrica. Col tempo ti rendi conto di mondi interi che hai sfiorato e amato senza sapere che esistessero… come gli haiku. Che mi appartenevano, e mi appartengono.  Prosa? Niente fino a due anni fa, quando ho scritto il primo racconto, spedito e pubblicato dal PARADISO DEGLI ORCHI. Da lì ne sono nati altri sei… chissà per via di quale energia. Quindi, mi sono ritrovato in promozione con la Del Vecchio e in quel momento ho dato vita al progetto d’un romanzo. È nata un’idea, importante, e ora sto cercando uno spazio mentale per dedicarmici. Comunque mi sento poeta…

Voglio fare del buon giornalismo – comunicare di opere importanti con la giusta ironia, con la giusta verve: voglio pensare a grandissimi pezzi, di attualità o di cultura, con uno stile accattivante, tagliente. Ecco, questi gli auspici espressi dalle collaborazioni con “Il Paradiso degli Orchi”, con “Gufetto” – da caporedattore della cultura – e infine… ecco l’emozione potentissima di essere collaboratore del MUCCHIO, un giornale che amavo da anni. Quando mi sono ritrovato su quelle pagine mi sono messo a piangere. Niente mi ha fatto l’effetto della pubblicazione di un articolo sul MUCCHIO: la mia idea di scrittura, di stile… sul mio giornale. Consapevolezza, adesso, c’è. Da divoratore di mondi, dico che questa – LA SCRITTURA – è l’unica cosa che non voglio perdere, accostandola a grafica, musica, teatro, web. Se non scrivo sto male”.

Futuro in Castelvecchi?

Continuo a collaborare come ufficio stampa e da pochi giorni ho avuto l’incarico di supervisionare tutta l’area web CASTELVECCHI: sto progettando il restyling del sito, l’utilizzo di nuove piattaforme – già siamo su FACEBOOK, MYSPACE – e intanto ci stiamo orientando alla creazione di una grande community di lettori di Castelvecchi. Un giorno, è nelle nostre intenzioni, sarà la community del gruppo VIVALIBRI”.

Il tuo grande sogno, in questo momento?

Come ufficio stampa?… Non è un sogno concretizzabile. Non nell’immediato. È legato al mio animo un po’ irrequieto. Il sogno che lega il mio lavoro alla mia anima è quello di arrivare a una certa età dicendo ‘posso fare ancora di più’: voglio uno status… in cui penso di avere fatto tutto, professionalmente, ma che posso ancora crescere. Sono ossessionato dal marciare, dalla crescita continua… dal dire, ok: dieci minuti fa ero una persona diversa…Ho iniziato questo mestiere partendo da un corso: un corso che ha cambiato la mia storia. Sono risultato essere il più aggressivo, il più diretto, quello sempre sul pezzo… e mi sono dato dei tempi. Entro 3 anni dovevo essere un ufficio stampa riconosciuto e apprezzato. Dopo 1 anno e mezzo affiancavo Graziani in Castelvecchi, e poi ecco le fiere, i primi riconoscimenti… ho bruciato le tappe. Ho cominciato a scrivere pensando a tutta la gavetta sacrosanta, e m’ero detto… mi do 3 anni, e vediamo dove arrivo. Quando ho cominciato a scrivere su queste riviste on line mi sono accorto di essere pronto per un grande mensile. Ho mandato le mie bozze, mi sono candidato, sono stato preso…Ti dico. Se vuoi qualcosa, nella vita, allunga un braccio. Non sono sogni. Se vogliamo bere andiamo a prenderci dell’acqua, senza tante storie. Vuoi fare il giornalista? Datti da fare”.

DREAM TEAM. Immagina lo staff della casa editrice dei tuoi sogni, tra 3 anni…

Elisa Passacantilli come caporedattrice. Nella maniera più assoluta. Lei, e lei soltanto. È una persona che vive per i libri, per la creazione dei libri. Non crea prodotti: i libri sono suoi figli… lei è cura, entusiasmo, carisma… lei crea una squadra. Ha la capacità di aggregare persone. La sua è una leadership dolce. Non c’è bisogno di chiedere chi è il capo, in redazione, qui da noi. È lei. È una persona incredibile, da tutti i punti di vista. Maddalena Cazzaniga come ufficio stampa. Giovanissima, rampante, una che dal nulla crea eventi enormi a Milano, sempre sul pezzo. Nel gruppo dell’UFFICIO STAMPA, la vorrei assieme ad Elena Giacchino, grandissima professionista, una donna che non si perde mai d’animo, una che combatte fino alla fine e porta a casa bei risultati. E Alessandra Izzo, una macchina da guerra comunicativa. Lorenzo Ait come pierre, nato come autore Castelvecchi è il protagonista di Thank You for Smoking. Il muro di gomma che occorre nel pierraggio. Crea sinergia dal niente. Da carta e ciotola. Stefano Scalich come direttore di una collana. È la persona che più vedo al fianco della Passacantilli, per la cultura del libro vasta, pura, e per l’amore che porta alla letteratura. Di te non posso parlare… Poi: come area commerciale, Francesco Pedicini di Fazi. Per la sua purezza, e per empatia. Il suo lavoro non è semplice. Per niente. Art Director, Maurizio Ceccato. Lui è un’istituzione. Sa essere quello che il momento – il libro, il mercato – richiede di essere, senza perdere la sua cifra stilistica. Mai. Grande”.

Dal Dream Team al 26 LUGLIO, ore 22… CIRCOLO DEGLI ARTISTI: i Cialtrons presentano LA NOTTE DELLA SCIMMIA. Cosa attenderci?

La notte della scimmia è un piccolo passo per l’uomo e un grande passo per l’umanità. Il mio primo grande passo di appartenenza a un collettivo vero e proprio – i Cialtrons – un collettivo che non si perde in vuote elucubrazioni… che crede nella goliardia, goliardia che l’ha fatto nascere e crescere, ma è mosso dal fuoco sacro della letteratura, della cultura vera, della socialità. È la cultura di questo è il mio pane, condividiamolo: noi siamo la cultura della condivisione, la propensione per la diversità… siamo un collettivo che mostra propensione per la diversità. In ogni sua forma”.

Guarda fuori dal vetro, si accende una sigaretta. Pensa.

Sempre per goliardia è nato anche BACK IN BLACK. Un giorno ho pensato che a Fiuggi dovevamo ascoltare altro, rock e metal. Prima odiavo la radio, il concetto di dover ascoltare musica che non avevo scelto, a forza… e poi io e un amico abbiamo cambiato approccio… scelto nome e programma, andando in onda dalla mezzanotte in avanti, all’inizio, due ore di deliri e assurdità… a braccio, sempre o quasi. Ci trovavamo come per incanto. Sono nati slogan, motti, personaggi. E un’altra lingua: non estranea allo slang. Alle parole che non si possono dire… Oggi i nostri ascoltatori vanno dai 16 ai 50 anni… e noi non ci accontentiamo. Questo programma è il fiore all’occhiello di una nuova generazione di speaker… e adesso ha dato l’imprinting al palinsesto. Abbiamo una settimana intera totalmente autogestita”.

Influenze di questa esperienza nella tua professione?

Mi ha permesso di comprendere i meccanismi che muovono la recensione libraria: la tempistica che muove un determinato prodotto, da tutti i punti di vista. Decidi tu come parlare, in radio, scegli quali termini tecnici adottare, quando spezzare… bella esperienza. Attualmente i conduttori che più ammiro sono i ragazzi del TRIO MEDUSA. Pazzeschi. E il regista, Troiani, è un grande. Ogni volta che penso al mio mondo ho la consapevolezza di… di aver vissuto radio, televisione, teatro… riesco a condividere stress e problemi di molti altri professionisti, perché conosco i loro linguaggi. Mi sento una specie di TORRE DI BABELE COMUNICATIVA. E so mettere a loro agio le persone. È una cosa naturale”.

Infine. Dici di essere un DIVORATORE DI MONDI… e quale è quello che non vorresti divorare mai?

Quello dell’amore che alcune persone hanno avuto e hanno per me”.

A posto. E avanti così.

Gianfranco Franchi, Luglio 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.