A tutto campo. Intervista precaria sugli interessi in comune

Gli interessi in comune Book Cover Gli interessi in comune
Vanni Santoni
Feltrinelli
2008
9788807017629

Incontriamo Vanni Santoni, scrittore toscano classe 1978, giornalista e narratore. Vive e lavora a Firenze. Scrive per il Corriere Fiorentino e ha collaborato con “Mucchio”, con “Repubblica”, “Il Manifesto” e “Nazione Indiana”. Ha co-fondato il progetto SIC: scrittura industriale collettiva. Ha pubblicato “Personaggi Precari” (RGB, 2007) e “Gli interessi in comune” (Feltrinelli, 2008).

GF: Vanni, com'è nato “Personaggi Precari”? Qual è stato l'iter di questo tuo esperimento letterario? Leggo che ti sei ritrovato sulle pagine del Corsera... Raccontaci tutto.

VS: Il progetto “Personaggi Precari” nasce alla fine del 2004 con altri intenti. Avevo da poco cominciato a scrivere, e uno dei primi problemi che avevo riscontrato era quello della continuità, della disciplina. Avevo bisogno di un pretesto per scrivere tutti i giorni; in quel periodo il fenomeno dei blog era in piena esplosione e così mi venne naturale aprire un account su Splinder e utilizzare la piattaforma – ottima per chi come me non sa costruire un sito web vero e proprio – per un progetto letterario, piuttosto che per un diario online. Cominciai a scrivere profili di personaggi, all’inizio in modo del tutto casuale, tanto che saltavo tra i generi, tra le epoche… In un certo senso mi ha permesso di fare un corso accelerato di scrittura a me stesso, e ne avevo ben bisogno visto che avevo cominciato a scrivere all’eta non verdissima di ventisei anni. Il blog continuò per qualche mese, riscuotendo un discreto successo, fino a quando arrivò la svolta nella mail di un professore universitario di Bari, che si complimentava e diceva che era contento che qualcuno avesse inquadrato il problema della “letteratura del precariato” come un fatto esistenziale, prima ancora che giuslavorista. Quella mail mi fece riflettere molto su cosa fosse e potesse diventare “Personaggi precari” e il progetto iniziò a prendere una strada più coerente e vicina a quello che è adesso. Tra il 2005 e il 2006 arrivarono i riconoscimenti, prima la pubblicazione di una selezione su GAMMM (in questo senso si può dire che Gherardo Bortolotti sia il mio “scopritore letterario”), poi la vittoria del concorso Scrittomisto e la conseguente uscita in volume. Ci sono state anche brevi incursioni dei “PP” nel mondo radiofonico, teatrale e del fumetto. L’ultima incarnazione del progetto, dopo le tre raccolte, continuazione ideale del libro, pubblicate su Nazione Indiana, è stata la pubblicazione come rubrica quotidiana sull’inserto toscano del Corriere della Sera. E naturalmente “Personaggi precari” continua ogni giorno sul blog, che nel frattempo si è spostato da Splinder a WordPress.

GF: Scrivevo di “Personaggi Precari”: “Santoni sceglie la strada del bozzetto, dello sketch, del 'ritratto-bonsai': ecco una legione di personaggi flessibili, atipici, precari, adulti e ragazzini, italiani e stranieri; Spoon River vivente, grottesca, divertente e spiazzante. Si direbbero esercizi di stile di un futuro romanziere di qualità; oppure, in un certo senso, la sintesi degli “anni di apprendistato” di un grande osservatore, un grande ascoltatore e un grande giudice. Di tutto”. Ti riconosci in questo passo? Ti sembra un'adeguata lettura dell'opera? Qual è – secondo te – il punto di forza principe di questo tuo lavoro, e quale il limite?

VS: L’accostamento a “Spoon River” è frequente, così come quello a “Centuria” di Giorgio Manganelli – opera che però non conoscevo ai tempi dell’inizio del progetto – e sono paragoni che mi onorano... Se mi ci riconoscessi in pieno sarei un povero esaltato! Credo che il punto di forza del progetto sia l’aver trovato una delle possibili chiavi dell’annoso problema come-mettere-in-prosa-la-realtà-esplosa-propria-della-postmodernità in una narrazione frammentaria, che si può avvalere di un gran numero di registri e gioca con un sistema amplissimo di riferimenti. Il punto debole è sicuramente il non poter essere romanzo; io ci credo ancora, nel romanzo.

GF: Progetto SIC: scrittura industriale collettiva. Genesi e struttura del progetto; raccontaci tutto. Che esperienza è stata, e che esperienza sarà?

VS: Il progetto SIC nasce per iniziativa mia e di Gregorio Magini all'inizio del 2007, anche se la data ufficiale di debutto coincide con la presentazione alla Fiera del Libro di Torino, nel maggio 2007. Il progetto nasce dalla consapevolezza che, finora, tutte le opere cosiddette "collettive" sono state in realtà scritte con un metodo "a staffetta", che a nostro avviso non costituisce un vero e proprio processo collettivo. Da lì, e forti delle nostre esperienze nei giochi di ruolo e nel teatro (io) e nel software open source e nei wiki (Gregorio), siamo partiti per creare un metodo di scrittura collettiva in cui tutti scrivano tutto, e non più "ognuno un pezzetto", e soprattutto praticabile anche da gruppi di persone che non si conoscono tra loro.

Il metodo SIC prevede la presenza di un gruppo di scrittori e un direttore artistico, che non partecipa alla scrittura ma si occupa solo di coordinare - per capirci possiamo considerarlo simile ad un regista - e si fonda sulla scomposizione del testo nei vari elementi narrativi (personaggi, luoghi, situazioni e tutto quello che può servire a seconda del tipo di testo che si vuole produrre). Ogni elemento (ad esempio, il personaggio "Adele") viene scritto sotto forma di scheda da ciascuno degli autori, dopodiché il direttore artistico, selezionando le parti migliori o più utili dalle varie schede individuali, "monta" una scheda definitiva, che viene riconsegnata agli scrittori. A quel punto si passa alla scheda successiva, con un nuovo bagaglio condiviso, e così via. Una volta definiti tutti gli elementi della narrazione, si passa a lavorare sul testo vero e proprio: a partire dal soggetto si effettua la stesura, con lo stesso metodo e usando come "fonte" solo le schede definitive.

Ad oggi la Scrittura Industriale Collettiva ha prodotto cinque racconti ed ha ricevuto una certa attenzione da parte del mondo accademico; in questo momento siamo nel pieno dei lavori del Grande Romanzo Aperto, un romanzo a 200 mani ambientato nel periodo dell’occupazione tedesca in Italia.

GF: Passiamo al tuo ultimo libro, “Gli interessi in comune” (Feltrinelli, 2008). Ti domando – prima di tutto, e come sempre – notizie sull'ideazione e sulla stesura dell'opera. Quando hai cominciato a pensare a questo libro, e con quale titolo? Come hai ideato la struttura, e a cosa hai pensato ideandola? Infine: cosa ha significato per te uscire con Feltrinelli?

VS: Ci sono stati due stimoli fondamentali che hanno portato a “Gli interessi in comune”: il primo veniva dal possedere un enorme corpus di aneddoti di paese, che sapevo avere delle grosse potenzialità narrative; da questa vera e propria “tradizione orale da bar’” che spesso assume contorni tipici del mito, vengono molti dei comprimari e alcune delle situazioni più paradossali in cui si trovano coinvolti i protagonisti. Il secondo era l'esigenza che sentivo di scrivere qualcosa incentrato sui giovani che non fosse giovanilista, che trattasse il tema delle sostanze innanzitutto con realismo, senza perdersi in immondi moralismi o, dall'altro lato, in anacronistiche mitizzazioni di stampo beatnik; sentivo il bisogno di rendere giustizia a un tema - chiamiamolo "giovani e sostanze" - che viene trattato da giornali e TV in modo vergognoso, tra il moralista/oscurantista e l’allarmistico/spettacolarizzato.

I primi testi che poi hanno dato origine a Gli interessi in comune li ho scritti alla fine del 2005, infatti qualche lettore attentissimo ha trovato nell’ultimo numero di Mostro uscito prima della chiusura della rivista un racconto che è un po’ un primo embrione del romanzo. Il grosso del testo comunque l’ho scritto nel 2007, all’inizio avevo in mente un libro di racconti con personaggi ricorrenti, ma ho capito quasi subito che avrebbe funzionato molto meglio come romanzo. La struttura è frutto di molte stesure, volevo che il libro si reggesse sui sottotemi, sulle linee narrative nascoste, più che su una vicenda portante; all’inizio non c’erano i capitoletti “individuali”, ma solo i ventitré capitoli corali, poi, grazie alle osservazioni di un’amica, capii che serviva una finestra anche nel mondo interiore dei singoli protagonisti, così, forte dell’esperienza con Personaggi precari, realizzai quei quadretti introspettivi o dialogati che intervallano i capitoli nella versione finale de Gli interessi in comune. Come si può ben immaginare, uscire per Feltrinelli ha cambiato molte cose, oltre ovviamente a darmi una visibilità che con un piccolo editore è impensabile, mi ha permesso di pensarmi come scrittore, che è una cosa che responsabilizza molto e dà grandi energie, necessarie se si hanno in mente progetti ancora più ambiziosi.

GF: Provincia toscana, provincia italiana. Mi nomini qualche romanzo che senti particolarmente vicino a “Gli interessi in comune”, almeno idealmente? Chi, tra i narratori italiani del Novecento, ha saputo interpretare con sensibilità e onestà la provincia nostrana? Perché?

VS: Il mio punto di riferimento in questo senso è un regista, più che uno scrittore: parlo di Mario Monicelli, sia per come ha raccontato la provincia (anche medievale: si pensi a Brancaleone da Norcia), sia per la sua capacità di raccontare la tragedia che è la vita con il registro della commedia, un approccio in cui mi riconosco. Come “narratori della provincia” ammiro Pratolini e Landolfi, ma sono autori che ho approfondito dopo l’uscita de Gli interessi in comune. Forse alla fine dei conti il riferimento letterario più forte è il Pazienza di Zanardi e Pompeo.

GF: Prossimi progetti narrativi? Cosa bolle in pentola? Dai, qualche anticipazione...

VS: Sto lavorando duramente a un nuovo romanzo. Le aspettative sono alte da parte di tutti e ho preso molto sul serio l’impresa; “Gli interessi in comune” ha funzionato, ma era ancora l’opera di un autore molto acerbo, spero con questo nuovo libro, che sarà ambientato tra Firenze e venti diverse città europee, e incentrato su una famiglia con due figli, di fare un ulteriore salto di qualità. Ho per le mani diverse centinaia di pagine più o meno sparse, ma il difficile viene ora, col lavoro sulla struttura.

GF: Letteratura Italiana contemporanea: ti andrebbe di nominare dieci artisti che ammiri, tra i narratori viventi, e cinque che proprio non sopporti? Assieme, sarebbe bello se segnalassi un romanzo o una raccolta di riferimenti per ciascuno.

VS: Non leggo moltissima letteratura italiana contemporanea perché so di avere moltissimi “buchi” nella mia formazione letteraria, e da un paio d’anni sto facendo un tour de force notevole con i classici che mi mancano, inoltre ogni tanto mi impelago in imprese deliranti, ad esempio ora sto leggendo “Infinite Jest” per la seconda volta e imparando a memoria la Bhagavad Gītā.

Tra quelli usciti di recente ho apprezzato i libri di Alcide Pierantozzi, Gianni Solla, Chiara Valerio e Giorgio Vasta. Tra gli autori più affermati ammiro Wu Ming, Filippo Tuena, il Nove di “Puerto Plata market” e il Veronesi de “La forza del passato”. Fortunatamente mi capita di rado di incappare in libri che non sopporto, poiché seguo i consigli di ottimi lettori.

GF: Leggi Lankelot? Qual è il suo punto debole e quale il suo punto di forza? Ti sembra un portale equilibrato? Riesce a offrirti qualche chicca? Hai scoperto nuovi autori grazie a noi?

VS: Leggo e apprezzo Lankelot da quando l’ho scoperto, conoscendoti, questo luglio. Il vostro punto debole è a mio avviso la veste grafica, che preferirei più minimale e meno “anni ‘90”. I punti di forza, la precisione e l’equilibrio tra “stile portale” e “stile rivista”.

GF: Qual è la casa editrice dei tuoi sogni? Per chi vorresti pubblicare, un giorno, dichiarandoti orgoglioso di apparire in quel catalogo?

VS: Sono già fin troppo orgoglioso di apparire nel catalogo Feltrinelli… Diciamo Random House, va'.

GF: Grazie ancora per la tua disponibilità. Forza Vanni.

VS: Grazie a te! Forza Lankelot!

BREVI NOTE

Vanni Santoni (Montevarchi, 1978), giornalista e scrittore italiano, laureato in Scienze Politiche. Vive e lavora a Firenze. Ha collaborato o collabora col “Mucchio”, con “Repubblica”, “Il manifesto” e “Nazione Indiana”. Ha co-fondato il progetto SIC: scrittura industriale collettiva.

Gianfranco Franchi, ottobre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Intervista a tutto campo a Vanni Santoni…