Tomas Milian. Il trucido e lo sbirro

Tomas Milian. Il trucido e lo sbirro Book Cover Tomas Milian. Il trucido e lo sbirro
Gordiano Lupi
Profondo Rosso
2004
9788889084502

La biografia di Tomas Milian – narrata con passione da Lupi in questa sua seconda monografia cinematografica – mi ha impressionato. Perché è la storia di un grande talento bruciato, di un cubano vittima di gravi tragedie famigliari, segnato da contrasti irrisolvibili, capace di indovinare un ruolo diverso e lontano dalla sua formazione (Actor’s Studio; scoperto e portato in Italia da Jean Cocteau; quindi, al lavoro con Bolognini, Pasolini, Zurlini, Visconti, Hopper, Bertolucci; o al fianco di Orson Welles, in uno spaghetti western), vivendo un rapporto sostanzialmente schizoide con Er Monnezza o Nico Er Pirata; infine, dopo un viaggio in India, risolti almeno gli annosi problemi con gli alcolici e le droghe, ecco il ritorno in America, a Miami, e i nuovi ruoli da caratterista (diretto, tra gli altri, da Ferrara, Stone, Spielberg, Soderbergh).

Tomas Milian è stato una strana fenice, capace di risorgere dalle sue ceneri e di rovesciare la sua sorte quando molto sembrava compromesso. A partire da quando suo padre, generale al servizio di Machado, venne arrestato e incarcerato dal regime di Batista; faticosamente recuperò il suo incarico, ma l’equilibrio nervoso era compromesso: si suicidò di fronte al giovane Tomas, segnando per sempre la sua vita. Oppure, quando la scissione tra quelli che Milian sentiva come i suoi talenti e le sue attitudini e la sua attività in Italia rischiava di disintegrarlo; servì un viaggio in India e un ritorno in America per ricostruire un’esistenza e una carriera artistica. Difficoltosamente, certo.

Era complesso – per chi ha in memoria, come me, il Milian dei poliziotteschi, e il suo gergo popolano e volgare, con l’umorismo grossolano classico del duo Milian-Bombolo – immaginare la verità: Milian (vero nome Tomas Quintin Rodriguez) era il rampollo di una ricca famiglia della borghesia cattolica cubana; rifiutò la borghesia e il benessere dopo la tragedia paterna, inseguendo la sua irresistibile passione per il Cinema. Dall’Accademia Teatrale in Florida all’Actor’s Studio di New York, negli anni Cinquanta, mantenendosi come poteva (benzinaio, lavapiatti, posteggiatore) e studiando alla perfezione il metodo Stanislavskij; primi ingaggi a Broadway e nella NBC, per una serie televisiva, quindi l’esordio al Festival dei Due Mondi di Spoleto con una pantomima del suo scopritore Jean Cocteau, diretta da Zeffirelli. Quindi l’esordio nel cinema d’autore, in ruoli drammatici, dapprima più vicini alla sua formazione borghese, quindi progressivamente più complessi: con Bolognini (“La notte brava”, “Il bell’Antonio”), Zurlini (“Le soldatesse”), Pasolini (“La ricotta”), Visconti (“Boccaccio ‘70”). La prima stagione dell’impegno dura dal 1959 al 1966 circa. Per la seconda dovremo attendere un’altra generazione, a occhio e croce: venticinque anni pieni, per rilanciarsi tuttavia da caratterista.

Milian era una grande promessa: passò, poco a poco, a ruoli importanti nello sterminato filone degli spaghetti western, come Volontè (col quale sembra avesse pessimi rapporti: cfr. passi su “Faccia a faccia” di Sollima) e infine virò al poliziottesco. Spiega bene Lupi che in quel periodo, anni Settanta-Ottanta, si cercava di rivitalizzare due generi esausti con elementi nuovi: la farsa nel western (cfr. Spencer-Hill) e l’insolenza e l’ironia nel poliziottesco.

Notevole l’analisi lupiana degli spaghetti western; l’autore riconosce tre filoni (tutto per denaro; tutto per vendetta; tutto per un tesoro) e tre sottogeneri (epigoni di Leone; tortilla western, ideologici; western comico).

Ci racconta come Milian interpretò, volta per volta, pistoleri, peones avventurieri, sottoproletari messicani (“La resa dei conti”), rivoluzionari (“Corri uomo corri”), banditi romantici (con Orson Welles in “Tepepa”, film adorato da Lupi: musiche di Morricone, storia d’un bandito romantico con ammiccamenti al 1968; scritto da Ivan Della Mea) fino ai prodromi del Monnezza in “Vamos a Matar”, parolacce a ruota libera, tanto che il film fu processato per turpiloquio.

Non mancò l’incursione nello splatter-western, nel censuratissimo “Se sei vivo spara” di Questi, e nel trash puro: nei due “Provvidenza”, non mancano cammeo di Mike Bongiorno a suggellare la morte dell’intelligenza (ma Lupi segnala un omaggio di Milian a Chaplin: riferisco a beneficio dei cultori e degli appassionati).

Quindi Milian passa al poliziesco e al poliziottesco, poco dopo l’interpretazione nel secondo film di Dennis Hopper, “The Best Movie” del 1971 e nel violento noir “Non si sevizia un paperino” di Fulci, del 1972: il primo film di Milian in questo genere è “Un uomo dalla pelle dura” di Prosperi. È merito di Lenzi, salutato da Lupi come “artigiano del cinema di genere”, aver contribuito a costruire il Monnezza: variante “scanzonata, trucida e borgatara” nel poliziottesco, non insensibile nei confronti del disagio metropolitano di Roma, Milano, Napoli. Ma: “Tomas Milian ebbe il coraggio di costruirsi su misura un personaggio da trucido, si scrisse le battute, impose certe sequenze, e alla fine i fatti gli dettero ragione. Milian spinse il suo personaggio verso una volgarità estrema e inventò pure certe battute in romanesco con la rima che ripeterà spesso nei film successivi e che incontrarono il gusto del pubblico. Fu una scommessa vinta perché il regista non credeva che certe situazioni potessero funzionare, le vedeva cose gratuite e fuori luogo” (p. 137).

Lupi racconta la genesi del Monnezza e della sua evoluzione, l’ex ladro Nico Giraldi (regia di Corbucci, undici film tra 1976 e 1984: serie “Squadra” e “Delitto”), attraversando la filmografia di Milian e riflettendo su canoni, convenzioni e innovazioni (e deterioramenti, e precipizi nel trash) del genere.

Dardano Sacchetti, lo sceneggiatore del “Monnezza”, racconta nell’introduzione il suo primo incontro, su un set (allora Milian era un commissario spiccio ma non cattivo…), raccontandoci che era narciso e educatissimo, recitava sognando l’America e Hollywood, carezzando l’idea d’un film autobiografico di cui voleva essere regista. Poi s’era innamorato del popolo di Roma, durante “Roma a mano armata”: era stata una folgorazione. Non a caso più volte troviamo, nella monografia di Lupi e nelle appendici, traccia dell’aggettivo “pasoliniano”, in proposito: può sembrare blasfemo, tuttavia la simbiosi culturale con il sottoproletariato non può essere negata; certo non per ragioni ideologiche né per ambizioni rivoluzionarie: per sincera e umana dedizione, per puro divertimento. Perché evidentemente l’ex ricco Milian sentiva quella fosse la strada. Perché – soprattutto – se voleva creare una maschera in cui tutti i poveri potessero riconoscersi, non poteva non stare tra loro e imparare tutto; atteggiamenti, maniere, pose. In ogni caso era inquieto: droghe e vagheggiato suicidio erano compagnia fissa. Sempre. Questo emerge con molta chiarezza.

Ispirazione prima per Giraldi fu “Serpico”; Milian propose tuttavia d’avvicinarlo più ancora al popolo, così s’ispirò esteticamente alla sua controfigura, Quinto, e scrisse direttamente le battute, infilando rime in romanesco dove poteva: un romanesco sboccatissimo e spesso intossicato da una volgarità senza precedenti. “Serpico” rimane nelle locandine appese in camera e nel nome dell’animaletto domestico.

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Tra le curiosità da annotare, una chicca per gli appassionati di cinema: “Rambo” non era soltanto Stallone. Diversi anni prima, nel 1975, lo stesso romanzo “First Blood” ispirò Milian che scelse Rambo come nome del personaggio di “Il giustiziere sfida la città”: per la prima volta venne doppiato da Amendola, inaugurando una fertile serie di collaborazioni.

Milian fu anche cantante: tentò la carriera incidendo qualche 45 giri; la sua passione rimase viva, come testimonia qualche musica di coda dei suoi lungometraggi. Nel libro trovate l’immagine di un (rarissimo) 45. Bombolo – la sua spalla, negli anni di Giraldi – è stato pescato letteralmente in strada: vendeva piatti e ninnoli vari dalle parti di Campo de’ Fiori e talvolta a Cinecittà. Venne notato e ingaggiato.

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In sintesi: la monografia è appassionante, spiazzante e coinvolgente. Onestamente sono partito carico di una discreta valanga di pregiudizi, magari perché sono un romano atipico e non sempre mi sono – diciamo così – divertito a guardare i film del Monnezza e di Giraldi: piuttosto, le riconosco come memorie dell’infanzia e dell’adolescenza rinfrescate da qualche mp3 che ci si spedisce, tra amici, per rinfocolare risate grasse e alcoliche. Ho scoperto un attore con una biografia drammatica, avvincente e romantica: ho annotato le mie nuove lacune a proposito della sua produzione impegnata, e ho preso atto che dovrei provare a guardare certo cinema con approccio meno intellettuale e snob. Non è detto che chi ama Stanley Kubrick non possa trovare svago anche da queste parti – alludo al Monnezza e a Giraldi. Certo, è difficile. Ma se sei romano è un po’ tutta un’altra cosa. Giraldi è un Rugantino coatto, un Pasquino sboccato, da mani nei capelli. Non sembra cubano, no: merito della voce di Amendola, ma anche di tutta una serie di posture, di atteggiamenti, e di un’estetica che da queste parti riconosciamo facilmente.

Immagino sia difficile, per i cinefili, resistere alla tentazione di leggere una monografia dedicata a un attore tanto discusso e criticato. Sappiate che qui trovate nuove chiavi di lettura. E una serie di descrizioni del cinema che fu, nella provincia toscana, culla del divertimento e delle fantasie di uno di voi, Gordiano Lupi: cinefago e cinefilo di primissimo piano. Contate le bastonate che dà – tra Deodato, Fulci, Milian e D’Amato – ai vari Giusti, Mereghetti e Morandini; praticamente sta facendo l’editing di certi manuali. Senza mai – attenzione – esaltare ingiustamente quel che lui stesso riconosce, volta per volta, come kitsch o trash. Semplicemente, Lupi offre un’altra chiave di lettura. Non ho resistito, giuro. Soprattutto pensando alle facce di quanti, in questi due mesi, passando per la mia scrivania guardavano quella copertina e mi chiedevano se ero impazzito, o si stizzivano e ghignavano “Ma cosa stai leggendo…”. Ecco cosa leggevo. Senza spocchia e con tanto stupore.

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Il libro contiene le schede – con foto, trama, credits – di tutti i film di Tomas Milian; in appendice, una vecchia intervista a firma Cozzi, un breve saggio su Bombolo da Campo de’ Fiori a firma Maggioni e un contributo di Zanello. Concludo l’analisi con le parole dell’autore: “Il libro sul cinema di Tomas Milian è un lavoro su commissione ma non per questo è meno sentito di altri. Un bel giorno il mio amico Luigi Cozzi (regista interessante degli anni Settanta, ho scritto un libro pure su di lui che sta per uscire) mi chiama e fa: ‘Senti, ma te che sei così appassionato di Cuba perchè non mi scrivi un libro su Tomas Milian che a Roma lo venderei bene?’. Era l’anno del remake del Monnezza, un film patetico con un pessimo Amendola nei panni che furono del grande Milian, e il buon Cozzi intuiva l’affare di vendita. Premetto che non scrivo su commissione cose che non mi interessano, la scrittura è per me una passione e non un lavoro, quindi l’argomento deve essere intrigante. Cozzi sapeva che Milian mi interessava, sia per lo spaghetti western (ruoli da rivoluzionario alla Che Guevara in Tepepa o in Vamos a matar companeros), sia per il poliziottesco di Lenzi (Monnezza, Milano odia, Il trucido e lo sbirro) e Corbucci (Nico Giraldi), sia per i grandi film girati con ottimi registi italiani (Bertolucci, Fulci...), sia per le commedie brillanti. Milian è uno dei più grandi attori cubani, ha fatto l’Actors Studio e segue la regola dell’immedesimazione totale con il suo personaggio. C’è un suo film recente che consiglio: Arturo Sandoval Story con Andy Garcia (altro cubano bravo), un grande film sulla Cuba comunista, un film di denuncia. Ecco, io e Milian su Cuba la vediamo allo stesso modo...” – ha spiegato Gordiano Lupi nel maggio 2007.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.

Gordiano Lupi, “Tomas Milian, Il trucido e lo sbirro”, Profondo Rosso, Roma 2004. Presentazione di Dardano Sacchetti (lo sceneggiatore che ha ideato il “Monnezza”). Con contributi di Fabio Zanello (“Da Cocteau a Pasolini: un Milian da Cineclub”), Maurizio Maggioni (“Il mitico Bombolo, spalla di Nico il Pirata”) e Luigi Cozzi.

Gianfranco Franchi, maggio 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.