Tutta una vita

Tutta una vita Book Cover Tutta una vita
Jan Zabrana
duepunti
2009
9788889987209

Il ministero della cultura ceca non ha ritenuto di partecipare alla pubblicazione italiana del libro di Jan Zabrana. Stravaganza curiosa. Si tratta di un estratto – un decimo dell'edizione originale: 1100 pagine – del diario di un cittadino, scrittore, traduttore e operaio, testimone della condotta del vigliacco regime comunista allora padrone di Praga: i frammenti riguardano “il periodo della normalizzazione politica imposta nel 1969, dopo l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia”, spiega Ourednik, curatore dell'opera.

Com'è “Tutta una vita”? È un libro della madonna, per quanto nato – si vede, si sente, si capisce – non per essere pubblicato ma per costituire, come nota la Spilar nella postfazione, una sorta di terapia per la frustrazione e per la sofferenza di un intellettuale ceco che malediva ogni giorno l'arroganza, la violenza, l'ignoranza, l'omicidio dell'innocenza commesso da mano comunista.

È un libro che idealmente non deve finire sulla mia scrivania, perché io sono tra quanti non hanno nessun bisogno di avere nuove ragioni di disprezzo e di malanimo nei confronti del comunismo, dei regimi comunisti, delle loro menzogne e delle loro violenze. Questo libro deve entrare nelle case di quelli che, in questi giorni, ancora adesso, difendono Lenin preferendolo a Stalin; questo libro deve planare sulle scrivanie dei deputati dei tanti partiti, partitelli e movimenti socialisti italiani contemporanei. Questo libro va consegnato casa per casa, elenco degli attivisti e degli iscritti all'ex PCI, per scuotere le coscienze di quei cittadini italiani che si sono armati di falce e martello per seppellire verità, giustizia, umanità. Io voglio che questo libro educhi al comunismo e a cosa abbia significato la sua applicazione tutti quei cristiani che almeno una volta in vita loro hanno ammesso: “E' un'idea bellissima”, oppure hanno sbottato “Meglio comunismo che nazismo”. Poveri angeli, che non avete vissuto coi comunisti dentro casa o coi comunisti che spostavano intere etnie o massacravano per censo. Poveri angeli, che avete pensato davvero che chi fucilava i suoi compatrioti nel nome di Mosca fosse libertario, fosse democratico, fosse una speranza. Poveri angeli, che siete caduti nell'equivoco messianico e millenarista di un avvenire impossibile da fondare versando il sangue di chi non era d'accordo con voi. A voi e a voi per primi, che stringete il pugno chiuso, questo libro va consegnato.

“Diagnosi”, scrive Zabrana, non “Diario” (p. 118): questi frammenti costituiscono la diagnosi di malattia – la malattia è il comunismo – di un cittadino socialdemocratico, figlio di genitori condannati per le loro idee politiche rispettivamente a 18 e 10 anni di galera, amico di intellettuali “suicidati”, ex amico di intellettuali venduti: mercenari per l'ideologia rossa. Zabrana sfoga dolore e disperazione per quanto accaduto negli anni Cinquanta: ribadisce che senza libertà di parola e di espressione la Nazione è morta. E picchia duro, e dice la verità:

“Anche loro hanno imparato qualcosa. Nel loro interesse, ovviamente. Nel 1950 impiccavano la gente, ed è una cosa che non si può dimenticare, che si porteranno sempre dietro, che chiunque avrebbe potuto sbattergli in faccia, nel 1968 – qualcosa che non potevano liquidare con un gesto stizzito rispedendolo al reparto degli errori trascurabili, insignificanti, ridicoli. Oggi liquidano la gente amministrativamente – precipitandoti in un bisogno materiale cronico o licenziandoti dal lavoro ogni volta che ne trovi uno. Così basta qualche anno per consumare un uomo, schiacciarlo, abbatterlo definitivamente. Eppure, non gli è successo niente” (pp. 14-15).

E intanto i comunisti censuravano, censuravano, costringevano alla dissimulazione, al camuffamento dei propri ideali e dei propri principi, alla reinvenzione quotidiana di una verità accettabile per sopravvivere in mezzo alla loro palude. “E quando hanno capito che la loro bestialità e i loro crimini insabbiati dalla censura potevano venir fuori, hanno chiamato i carri armati. Ma cosa vi aspettavate, davvero, da questa gente? L'errore consisteva proprio nell'aspettarsi qualcos'altro. Sono proprio quei vecchi assassini, figli di assassini, i loro eredi zelanti. Il socialismo dal volto umano mi è sempre parso ridicolo” (p. 15).

Programma dei marxisti sovietici? “La trasformazione della gente in bruti non-pensanti o in campioni della duplicità, abietti e corrotti in fondo all'anima” (p. 27). E infine, dopo vent'anni di potere, tutti complici: perfino le vittime (p. 31). Come in ogni regime poliziesco. Come in ogni regime totalitario. Come da scuola comunista. Zabrana sale proprio in cattedra. Leggo, applaudo, mi emoziono.

“C'è una cosa che so da sempre, la so dal 1948: contro il comunismo sono e sarò sempre pronto ad allearmi con chiunque – tranne i comunisti. Ne consegue, nel 1968, l'imbarazzo di fronte al mio letargo e alla mia mancanza di entusiasmo da parte di alcuni miei amici che non capivano il mio atteggiamento. Un solo secondo di alleanza con 'loro', anche se breve e temporanea, mi riusciva impossibile, impensabile, inaccettabile”.

Prendiamoci una pausa. Non è meraviglioso? “Loro” tra virgolette è una trovata di genio. “Avrei rinnegato me stesso, in quel caso. Avrei rinnegato tutto. La mia lotta di tutta una vita contro di loro era una questione di purezza, disgustato com'ero dalla loro sporcizia, dalla loro infamia, dalle loro menzogne... Bisogna forse riconciliarsi con chi vi ha soffocato, strozzato per vent'anni, con chi vi ha privato della parola e ucciso, con chi vi ha sottratto la vostra giovinezza e derubato di ogni forma di esistenza umana? (…) Neppure per un secondo ho sentito che potesse legarci la benché minima lealtà” (p. 22).

Sacrosanto, condivisibile, comprensibile: espresso magnificamente, formidabile. Churchill, nel 1946, disse: “Il comunismo è incompatibile con la civiltà” (p. 79). Zabrana dice che sapeva bene di cosa parlava: il mondo, invece, ascoltò con stupida educazione – quella di chi ascolta le parole di un accademico. Come fossero irreali. Erano reali, e molto sangue le avrebbe bagnate. Ora, visto che come Zabrana insegna la Letteratura è “la memoria dell'umanità” (p. 43) – e non sbaglia: perché sempre la storia è scritta e riscritta dai vincitori – queste sono pagine mortificanti per tutti i marxisti, per tutti i servitori di una disumanizzante ideologia che ha distrutto vite, intelligenze, popoli. Ma nessuna mortificazione ci può bastare, nessuna che non sia totale, autentica e correttrice. Correttrice di decenni di male sparso per il mondo e sparso nei libri di storia e di letteratura allineati ai maiali di Mosca. Vi invito a leggere, per “maiali”, una dotta citazione orwelliana.

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Zabrana sognava di diventare esecrabile allo sguardo di quella gente (p. 68). Quelli commettevano “errori”. “Errori” - spiega l'artista - “stava per esecuzioni, omicidi, terrore, abbrutimento di un intero paese, liquidazione e corruzione di intere generazioni...” (p. 33). Errori, allora, “i pensionati espulsi da Praga che si suicidavano a centinaia, la discriminazione dei bambini interdetti agli studi, un sacco di gente proscritta, perseguitata, liquidata grazie a delatori anonimi, alla schedatura del personale, ai registri delle locazioni, ai protocolli dello stato civile (...)” (p. 33).

Mai e poi mai, scrive Jan, perdono né conciliazione con chi ha fatto finta di non vedere, di non sapere (p. 28): era chiaro, a Praga, che i non-comunisti erano “subumani” destinati a essere liquidati. Ecco perché Zabrana sognava di segnare sempre e solo per la squadra dei vinti. Perché tra i vinti voleva restare. E perché poteva scrivere questo...

“Tutti quelli che il comunismo ha distrutto, mutilato, liquidato fisicamente o mentalmente, sono tutti miei fratelli” (p. 75). Tra di loro, quegli scrittori russi fatti fucilare, lasciati a marcire nei campi di concentramento, deportati, demoliti con campagne diffamatorie, lasciati crepare di tubercolosi, ridotti in una miseria atroce (p. 70). Tutto questo mentre qualche idiota parlava di “comunismo e libertà”, di “rivoluzione”, di “liberazione”, di “giustizia”. Quale giustizia? Quella dei maiali. Maiali che non hanno pagato per le loro colpe, e che non vogliono riconoscere le loro responsabilità. Andate a Praga, andate a Budapest, andate a Varsavia, andate tra gli ex tedeschi dell'Est. Andate a parlare delle vostre nostalgie per Lenin, andate. Fatevi raccontare la storia. Imparate la lezione, per bene. Tornatecela a raccontare.

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Qualche curiosità prima di concludere. C'è un ricco elenco di autori censurati dai comunisti (include Shakespeare e Goethe: p. 149), qualche boutade letteraria (Puskin:p. 75), qualche terribile retroscena sulla DDR (caso Singer: p. 123), una certa tendenza agli aforismi e – purtroppo – alla malinconia. Una malinconia cronica, invincibile. Disperato, Zabrana malediva il comunismo.

Noi letterati abbiamo studiato Kundera, qualche anno fa, e non abbiamo dubbi su quanto accaduto a un passo da casa, nella Mitteleuropa Ceca. Noi che veniamo da sangue istriano ben sappiamo chi siano i comunisti, e quanto sia sano temerli. Sono certi italiani che forse non hanno voluto capire fino in fondo la lezione. Sono quelli a cui piace credere nei compagni che sbagliano. Zabrana vi racconta cosa fossero certi errori.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Jan Zabrana (Humpolec, 1931 – Praga, 1984), scrittore, traduttore e operaio ceco, estraneo al regime comunista. Respinto per “inettitudine politica allo studio” dall'Università di Praga,

Jan Zabrana, “Tutta una vita”, Duepunti, Palermo 2009. A cura di Patrik Ourednik. Postfazione di Olga Spilar. Traduzione di Elena Paul. Collana Terrain Vague, 18.

Prima edizione: “Cely zivot”, 1992.

Gianfranco Franchi, giugno 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.