Settantanove punti di fuga

Settantanove punti di fuga Book Cover Settantanove punti di fuga
Andrea Consonni
Besa
2001
9788849700503

Ascolta e riascolta Negative Creep per ridursi al suo stato. Vuole sprofondare nell’assenza di tutto nella quale lui è precipitato, nel vuoto che lo circonderà per sempre. In mano le forbici con le quali ha tagliato i libri che ha dovuto leggere per l’esame. Le getta sul letto senza coperte. Avanti e indietro, perché la ripetizione disarciona il cervello. Scarpe piene di scritte che rotolano sul tappeto color panna sfilacciato. Impronte di lotte furiose, schegge delle bottiglie di birra, in caduta libera le zanzare. Dieci birre bevute durante la notte, con gli auricolari scocciati alle orecchie, e bere, bere, non dormire mai” (p. 39).

Settantanove punti di fuga”, opera prima di Andrea Consonni, è un noir intelligentemente giocato sulle metamorfosi e sull’instabilità del narratore della vicenda: è romanzo polifonico, che fa dell’eterogeneità delle voci narranti, della non linearità, della frammentarietà i suoi punti di forza; ne deriva una vicenda che – pur fedele agli stilemi e ai dettami del genere – si segue con apprezzabile curiosità, fino all’agnizione finale.

Il libro è strutturato in un prologo, diciotto capitoli e un epilogo, intervallati dalle cupe illustrazioni di Daniele Grassi; di volta in volta, queste appaiono evocative o allegoriche, andando a costituire un’integrazione del testo, e non sospensione o estraniamento.

Considerando la natura del romanzo, possiamo solo accennare alla trama; starà al lettore scoprire la verità testuale e sfidare le difficoltà e rischiarare le zone d’ombra del libro – qualunque concessione, in questo senso, parrebbe un tradimento all’opera. Dunque mi limito a segnalare che tre sono i protagonisti principali: il trasandato e dimesso investigatore privato Armandi, trentaquattro anni, la scrivania popolata da fumetti e bollette, in piena crisi esistenziale (e sentimentale: ma senza l’interruzione della parentesi avrei scritto un’endiadi). Armandi è infelice, e cosciente di vivere delle disgrazie altrui. Nuova disgrazia: nuovo incarico. Una madre viene a chiedere che indaghi sul figlio ventiquattrenne, scomparso da due mesi. Indizi pochi, confusione parecchia: non ha amici, ha una ragazza che abita fuori. È il principio della storia.

S’alternerà l’io narrante, come s’accennava: incontreremo il giovane vecchio Giuseppe, depresso e avvilito da quando ha perduto il fratello, assassinato; e leggeremo nella mente d’un assassino seriale, “Il Bracconiere”.

Estremamente apprezzabili – e non eccessivamente esibiti – i richiami o gli omaggi letterari: diretti, nel caso di Magris (“Microcosmi”) e Capote (“A sangue freddo”), indiretti, nel caso dei Tiziano Sclavi (s’allude alla vicinanza, estetica e concettuale, tra questo libro e i noir pubblicati dallo scrittore di Broni).

Esplicita è l’adozione dei puntini di sospensione figlia del “racconto emotivo” di scuola céliniana: spiegava l’artista francese, a chi rimproverava questa strategia d’interpunzione: “Vorrà mica rimproverare a Van Gogh le sue chiese tutte sghimbesce? A Vlaminck le capanne sgangherate?... a Bosch i suoi cosi senza capo né cosa?...a Debussy di fottersene delle battute? Idem per Honegger! Ho gli stessi diritti io! No? Ho solo diritto di rispettare le regole?...le stanze dell’Accademia?...disgustoso! (…) I miei tre puntini sono indispensabili! …indispensabili, puttana d’un Dio!... (…) per metterci i miei binari emotivi!...Più facile di così!...sulla massicciata!...capito?...non stan mica su da soli i miei binari…mi occorrono delle traversine!...”(L-F. Céline,“Colloqui con il professor Y”, Einaudi, Torino, 1971; pp. 75-76) – valgano le parole della matrice per interpretare la scelta dell’autore italiano, nel nuovo secolo: non registriamo variazioni rilevanti nell’adozione e nella disposizione dei puntini di sospensione, e immaginiamo sia filologicamente corretto richiamarsi a chi per primo ha sperimentato questa scelta stilistica.

Lette le parole del maestro, non stupisce che l’epigono nomini, tra gli autori delle stampe incorniciate in una camera, Van Gogh (ma non mancano nemmeno Magritte e Schiele). Dall’avvenuta interiorizzazione, o dal retrogusto caotico-nichilista, vangoghiano e céliniano, originato da una vena francamente espressionista, non poteva che derivarne, in ambito rock, un richiamo diretto al grande Kurt Cobain: nominato (assieme ai Massimo Volume di Clementi) – non è un caso – proprio per quella “Negative Creep” che sublima il malessere dell’intero album d’esordio, “Bleach”. Una “Symphony of Destruction”: parafrasando Dave Mustaine, sintetizziamo lo spirito dell’opera; “Settantanove punti di fuga” è un romanzo di genere che annuncia e rivela la disperata disillusione che incontreremo nella seconda opera dell’autore, la marcatamente – parrebbe – autobiografica vicenda di “Wrong”.

Per gli appassionati del noir, e non solo.

Le concentrazioni di gente mi fanno paura. Io sono vecchio e immortale come ogni cosa che accade, come la marmellata che ondeggia placida nella vasca, come la paura di essere interrogati. Raccolgo ogni mio passo e lo trito nel mio inceneritore per confondere le acque del computer.  Io sono come le nuvole e le puttane. Io comincio adesso. Io sono il paradiso dei diciottenni inebriati di sesso che finalmente ti potranno innaffiare con qualcosa che sia diverso dalle loro esili mani sporche di soldi. I conigli scappano dalle loro tane e i grilli sono mietuti nell’orzo bimbo e i ghiaccioli e i cornetti e i coni alla fragola e gli aromi e la puzza di sudore e le gite in mare con le barche a vela e le gonadi ingrossate e le viscere tramortite da uno scossone allergico… Le mie sedie sono una finestra di disperazione” (p. 91)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Andrea Consonni (1979), scrittore italiano.

Andrea Consonni, “Settantanove punti di fuga”, Besa Editrice, Lecce 2001. Disegni di Daniele Grassi.

Gianfranco Franchi, 20 ottobre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Un noir intelligentemente giocato sulle metamorfosi e sull’instabilità del narratore.