L’istituzione inventata. Almanacco. Trieste 1971-2010

L'istituzione inventata. Almanacco. Trieste 1971-2010 Book Cover L'istituzione inventata. Almanacco. Trieste 1971-2010
Franco Rotelli
Edizioni alphabeta Verlag
9788872232347

Bizzarro oggetto davvero, a metà strada tra un memoir, un'agiografia e un tributo travolgente, sconnesso e scomposto ma pieno di sentimento, a un movimento storico, a una rivoluzione radicale, a una giovinezza sconsiderata e utopica, “L'istituzione inventata. Almanacco. Trieste 1971-2010” [Edizioni Alphabeta Verlag, 2015, euro 29] dalle circa trecento pagine non numerate, si presenta frontalmente come un catalogo d'arte minimalista sperimentale (cartonato bianchissimo, 21,5x30), si lascia sfogliare poi come un album mattoide di foto, ritagli, pubblicità e cartoline, si lascia leggere infine come una sorta di diario di bordo della spettacolosa e coraggiosa avventura basagliana mantenendo un criterio cronologico come unico e precario fattore d'ordine.

Franco Rotelli ha pubblicato un libro che somiglia a una coperta patchwork, una di quelle che ci si aspetta di comprare più da un vecchio rigattiere che in una bottega etnica o equo-solidale: questo libro-coperta è torrenziale, a volte clamorosamente e noiosamente autoreferenziale, altre volte lirico, comunque tendenzialmente vivace. Forzando un po' la mano potremmo definirlo uno zibaldone irregolare, nel formato come nella tenuta come nella struttura, destinato a infilarsi tra gli scaffali delle nostre librerie con una congrua irruenza, e un peso di tutto rispetto (la mia bilancia da cucina dice un chilo e mezzo, confido sia esatta).

La pubblicazione di questo fragoroso album di memorie ricordi foto avventure e sbagli va idealmente a costituire, in questa stagione letteraria, un contrappeso al recentissimo e apprezzato saggio di John Foot “La Repubblica dei Matti. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978” [Feltrinelli, 2014]: come John Foot è andato a stabilire un ordine, con freddezza e mestiere da storico, nei giorni difficili, dolorosi e gloriosi dell'istituzione negata, negli anni pionieristici di Gorizia e nei trionfi popolari e internazionali di Trieste, così “L'istituzione inventata” finisce per mostrare quanto magma sia vivo, fertile e incandescente, ancora adesso, a tanti anni di distanza dalla favolosa, eroica eruzione che ha cancellato i manicomi e insegnato che la libertà è terapeutica, e la società un gioco: di ruolo. Rotelli ricorda che “si è cominciato con un manicomio di milleduecento internati, destrutturandolo pezzo a pezzo, indicando il significato di quel che si stava facendo (l'istituzione negata), si è continuato con l'ossessiva costruzione di alternative sostenibili (inventandole)”. E si è andati così a costituire un passaggio dall'ospedale al territorio, lungo un cammino “incredibilmente pieno di ostacoli, confini tribali, poteri ostativi, culture prevaricanti, muri corporativi, norme ottuse e inamovibili, procedure cupe, saperi senza prove, confusi valori e ben chiari interessi. Regolamentazioni assurde, burocrazie afinalistiche, reclusivi castelli, insospettate ostilità, ideologie di ricambio”.

Rotelli scrive così, sensibile alla vertigine della lista, poi capace di spezzare questa discreta letterarietà con appunti e pezzettini che sembrano trasferiti di peso da un vecchio blocknotes scritto a matita, con qualche scarabocchio di qua e di là. Scrive così e apre la trattazione con il matto martire Antonin Artaud, con la sua coraggiosa e lucida battaglia, da antesignano, contro la cattiveria dell'elettroshock e la disperazione del ricovero; scavalca e neglige Morgenthaler e Adolf Wölfli, che pure a quel punto potevano filologicamente tornare comodi, intervalla ogni cosa con foto d'epoca e documenti rari, rinnovando una lezione anfibia sempre più cara alle patrie lettere; accompagna il lettore nei giorni in cui comunicare era diventata la parola d'ordine del vecchio ospedale che si trasformava in comunità terapeutica; e poi si discende sino alle rivelazioni prometeiche del suo grande sodale veneziano, e per ogni passo c'è ragione di meditazione: c'è una bella cornice che inquadra queste righe, ossi di seppia delle “Conferenze brasiliane”: “Io penso che la follia e tutte le malattie siano espressioni delle contraddizioni del nostro corpo, corpo organico e corpo sociale. La malattia... si verifica in un contesto sociale ma non è solo un prodotto sociale, è un'interazione tra tutti i livelli di cui siamo composti, biologico, sociale, psicologico, e di questa interazione fanno parte un'enorme quantità di variabili”. Quanta complessità e quanta linearità si fondono in poche battute, finendo per fracassare ogni schema.

Consigliato a chi ha dimenticato, a chi ha frainteso, a chi ha perso l'orientamento, a chi si sente stanco, a chi crede nella creatività (e nella memoria creativa, anche). Bizzarro oggetto, ma vivo.

Gianfranco Franchi, settembre 2015.

Prima pubblicazione: Alfabeta2

Bizzarro oggetto davvero, a metà strada tra un memoir, un’agiografia e un tributo travolgente, sconnesso e scomposto ma pieno di sentimento, a un movimento storico, a una rivoluzione radicale, a una giovinezza sconsiderata e utopica…