Il rituale sacro

Il rituale sacro Book Cover Il rituale sacro
David Hewson
Fanucci
2009
9788834715376

Terzo romanzo della saga di Nic Costa, detective nato dalla fantasia di David Hewson (Yorkshire, 1953), giornalista e scrittore inglese, “Il rituale sacro” racconta nuovamente un'indagine ambientata a Roma (proprio come nei primi due episodi, “Il sangue dei martiri” e “La villa dei misteri”). Nic Costa è la star di una serie: Hewson è all'ottavo episodio, in UK; l'autore ha dichiarato di aver appena terminato la prima bozza del nono, ancora senza titolo, il 2 aprile 2009. Sarà pubblicato in Inghilterra nel settembre del 2010.

Come nasce Nic Costa? “Volevo creare un poliziotto che fosse una brava persona, un po' incompiuta, leggermente naif, innocente: estranea agli sterotipi. Noi crediamo che i poliziotti romani siano diversi – corruttibili, cinici, pronti a bersi una cosa quando capita. Volevo un personaggio nel cuore di una transizione, di un passagio, pieno di problemi personali irrisolvibili; il primo è che suo padre sta per morire (cfr. opera prima, NdR). E volevo ribadire che fosse una persona in cerca di un significato, di un senso vero, nella sua vita” (fonte di questa mia traduzione: Italian Mysteries).

Costa è antieroico, metodico, razionale e cauto; figlio di un deputato del fu Partito Comunista, capace – come il figlio – di fronteggiare la corruzione a tutti i livelli, è sempre concentrato su questioni morali fondamentali; è uno che sente che ci sono grandi battaglie da combattere, e difficilmente si tira indietro (quando accade, è per un intervallo: ne è ben consapevole, vedi p. 342). Sua spalla, in questo libro, un poliziotto toscano, Gianni Peroni; un energumeno dal cuore buono. Ha due figlie – vivono con la madre – e un'etica basica, essenziale; Hewson lo descrive come un uomo integro, all'antica; un buon padre di famiglia che sogna di tornare a lavorare in ambiti più “semplici” (virgoletto a ragione) come la lotta alla droga e alla prostituzione. A comandare il gruppo, dietro le quinte, l'ispettore Leo Falcone. Un cognome tutt'altro che casuale.

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Perché Roma? Sempre nell'intervista rilasciata nel 2003 a Italian Mysteries, Hewson dichiarava: “Più me ne andavo in giro per Roma, più pensavo che mi sarebbe piaciuto ambientare un libro qui. A volte, in certe città, le storie sembrano sprigionarsi dalle pietre, dai muri. Guardi questi posti, guardi le persone, studi come interagiscono e ti sembrano sempe eccezionalmente interessanti. Ecco, i romani sono così. Posso starmene seduto in città e guardarli mentre parlano, per ore, perché sono così comunicativi, amichevoli, diretti... Così, ho pensato che era proprio il caso di ambientare una saga da queste parti”. Più avanti: “Ho scelto Roma anche perché mi sembrava ideale per ambientare una questione legata alla giustizia. Il Corpus Iuris Civilis e le prime leggi sono venute fuori da Roma: tradizionalmente Roma si è battuta per la giustizia, per tutti. Così, mi è sembrata perfetta per descrivere cosa sia la giustizia oggi”.

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Dicembre. A Roma nevica: dopo tanti anni, sulla città s'è steso un lenzuolo bianco. Sarà il primo Natale benedetto da una nevicata. Il clima, in città, è festoso: sentite Hewson come ci descrive: “La gente si stava preparando a non andare al lavoro per mille motivi validi e incontrovertibili. Erano stati infettati dal virus del mal di gola che si era diffuso per la città. Non potevano prendere gli autobus in periferia perché, anche se fossero riusciti a superare incolumi le strade ghiacciate e insidiose, chi poteva sapere se ce l'avrebbero fatta a tornare a casa la sera? Per una volta, la vita era troppo rischiosa per fare qualsiasi cosa eccetto restare a casa (…) E tutti pensavano tra sé e sé: è fantastico” (p. 20). Fantastico, perché finalmente si può dormire e si può riposare: ci si può riposare dalla frenesia della vita metropolitana, vivendo giorni di festa, di pace e di riposo. Chissà se quest'anno riusciremo a vivere un Natale come quello descritto da Hewson. Non sarebbe male.

Dicevamo: dicembre, nevica a Roma, la città s'appresta a dormire. Sembra proprio che possa andare tutto liscio, quando una terribile vicenda di spionaggio, di doppigiochi e di morte s'infrange sul cammino del detective Costa. Tutto comincia quando una cittadina americana, Margaret, viene ritrovata uccisa – disposta come l'uomo vitruviano di Leonardo – nel Pantheon. Sulla schiena, disegni difficili da decifrare. Testimone unica è una ragazzina curda, orfana: ha tredici anni, è riuscita a fuggire dalla guerra e dal massacro del suo popolo campando di mezzucci e di sotterfugi. Sulla scena del delitto, perde la vita un fotografo – Sandri – che accompagnava i poliziotti per gli accertamenti del caso. Da qui in avanti ha inizio una vicenda che vedrà coprotagonisti la polizia capitolina, il Sisde e l'FBI: scopriremo un'oscura storia di spionaggio – cerco di non raccontare troppo – e di “eroi americani” (p. 358) cominciata molto tempo prima, e accompagnata in coda da una scia di sangue in tante altre città; da San Francisco a una cittadina della Virginia, da Londra a Venezia, in tutti gli edifici nati come “copie del Pantheon” vengono ritrovati, nel tempo, cittadini americani, borghesi, massacrati e “marchiati” con quel tatuaggio sulla schiena. Costa scoprirà che l'FBI ha un aspetto positivo: Emily, un'agente che ben conosce Roma per esserci vissuta e cresciuta, molto più importante nell'indagine di quanto si potrebbe credere. Fermiamoci qui, con la trama, altrimenti è un disastro, vi brucio tutto.

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Come viene raccontata Roma? Con ammirazione, partecipazione e competenza. Qualche esempio. Hewson, a un tratto, spiega come percepiamo i quartieri.

“Il ghetto non cambiava mai. Le case venivano lasciate in eredità da una generazione all'altra. Costa si trovava a breve distanza dal cuore commerciale della città moderna, ma il quartiere era un villaggio dove si conoscevano tutti. Sotto certi aspetti, Roma era ancora un insieme di comunità che vivevano rumorosamente fianco a fianco. Era ciò che la distingueva dalle altre capitali che aveva visitato, città che sembravano sviluppi incontrollati di metropoli, caratterizzate da confini vaghi e da zone in cui, di notte, non viveva nemmeno un'anima” (p. 352).

L'autore s'è talmente romanizzato che racconta fastidi che solo noialtri possiamo capire: siamo dalle parti di Trinità dei Monti, e una turista “era rimasta sorpresa quando aveva visto che ai piedi della scalinata c'erano un McDonald's e un Babbo Natale in stile americano che faceva suonare una campana e chiedeva l'elemosina in italiano” (p. 100). Poche battute per dipingere gli effetti kitsch della globalizzazione. Ben fatto.

Hewson condivide il nostro malessere per il comportamento del Comune: “Si immise nella viuzza che costituiva la via Appia Antica senza riuscire a smettere di ridere. Le strade della città erano un disastro; le autorità non disponevano delle attrezzature adatte per sgomberarle dopo le tormente di neve. Lì, ai confini della città, la via Appia diventava pulita e sicura e mostrava ancora i ciottoli che, in alcuni punti, risalivano a più di duemila anni prima” (p. 172). Buone anche le descrizioni di certa periferia secondo la prospettiva di chi s'immagina Roma dall'esterno, da lontano (cfr. almeno p. 14), incluse le annotazioni sulle strade buie e caotiche.

Il massimo Hewson lo dà, mostrandosi buongustaio, descrivendo una degustazione (p. 77): dopo aver raccontato per bene i vini (Amarone, Primitivo di Manduria, Greco di Tufo) si passa in tavola: “Fette ultrasottili di carne di cinghiale selvatico essiccata in montagna; un assortimento di salumi, alcuni piccanti, altri dolci; lardo di Colonnata, ovvero pezzetti di grasso di maiale pallido e semitrasparente; scaglie di parmigiano stagionato e piccante e un'insalata di mozzarella di bufala con pomodorini di Pachino, rossi e dolci come ciliegie” (p. 77). Mamma mia. Questa è una signora pubblicità alla nostra cultura enogastronomica.

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Diciamo che la Roma raccontata da Hewson – cerchiamo un paragone con un altro giallista straniero che ha deciso di adottare una nostra città: vediamo – non ha nessuna macchia ideologica, e nessuna forzatura: l'approccio di David Hewson è etico, equilibrato e sensato, trasparente e apartitico; ben diverso da quello di Veit Heinichen con Trieste. Scegliere Roma per parlare di questioni di giustizia è una manifestazione di rispetto e una dimostrazione di intelligenza: la nostra tradizione e la nostra storia pretendono una scelta del genere. In questo contesto specifico, la vicenda di spionaggio yankee in Irak e la successiva striscia di sangue, oltre a essere un'allegoria del male che tutti abbiamo osservato e testimoniato in questi anni, del male di diverse amministrazioni che hanno ritenuto di rinnovare politiche imperialiste e colonialiste nel mondo, si ambienta e si concentra qui da noi perché...

“Roma è il luogo perfetto per architettare certi tipi di progetti. Soprattutto quelli che hanno a che fare col Medio Oriente. Ci sono le comunicazioni. È vicina al teatro d'azione. Non ci sono i problemi di sicurezza con cui ci si scontra in altri posti, come la Grecia. E fuori città ci sono anche delle basi militari” (p. 217): sic et simpliciter. Ecco una spiegazione razionale.

Buona pubblicità per la capitale – cittadini inclusi, a differenza di quanto avveniva nel grand tour – e buone ragioni per riflettere su quanto avvenuto nel Golfo, in questi ultimi quindici anni. Infine, autentica dedizione alla nostra cucina, e alle bellezza della nostra città. Danke, mister Hewson. Bel lavoro.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

David Hewson (Yorkshire, 1953), giornalista (“Times”, “Independent”) e scrittore inglese.

David Hewson, “Il rituale sacro”, Fanucci, Roma 2009. Collana “Gli Aceri”. Traduzione di Sara Brambilla.

Prima edizione: “The Sacred Cut”, 2005.

Gianfranco Franchi, giugno 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.