Il demone meschino

Il demone meschino Book Cover Il demone meschino
Fëdor Sologub
Garzanti
1995
9788811668404

Peredònov sentiva nella natura il riflesso della propria angoscia, della propria paura, sotto le sembianze dell'avversione della natura nei suoi confronti; non sentiva invece quella vita interiore, inaccessibile a esterne definizioni che è in lei tutta, quella vita che sola crea i veri rapporti, profondi e certi, tra uomo e natura. Per questo tutta la natura gli appariva come pervasa dei meschini sentimenti umani. Accecato dalle illusioni dell'individualità umana e dell'esistenza isolata, egli non capiva le estasi dionisiache, elementari, che nella natura esultano e gridano. Era cieco e misero come molti di noi” (Sologub, “Il demone meschino”, XXII, p. 229).

Storia di un professore di provincia paranoide, e del suo sogno di guadagnare fortuna e di cambiare status; della sua invincibile renitenza all'umanità, del suo rifiuto di riconoscere verità e bontà nel prossimo, del suo sadismo nei confronti delle donne, degli amici e degli studenti: godeva della sua crudeltà, e in quella crudeltà sarebbe infine precipitato. Precipitato nelle nere pagine delle leggende letterarie, degli antieroi composti soltanto di oscurità, strapiombo del male.

Lo scrittore simbolista Sologub (1865-1927), proprio come il tetro protagonista del suo romanzo, era un insegnante: alle spalle, un'infanzia miserabile e triste, orfano di padre a due anni, la madre costretta a sopravvivere andando a servizio in casa di aristocratici. Sologub vedeva nella letteratura la grande opportunità per riscattare le sorti della sua famiglia; socialista ma anti-bolscevico, sarebbe stato condannato dal regime a conoscere nuovi stenti, più avanti. Prima che i comunisti potessero sporcare la sua vita, era stato un insegnante più fortunato del suo alter ego, capace di resistere all'esilio dell'insegnamento in provincia per ritrovarsi nominato ispettore distrettuale delle scuole elementari, a Pietroburgo, nel 1890 circa, mentre si dedicava alla creazione di letteratura nuova.

Secondo Mirskij, il “Demone meschino” di Sologub era una incarnazione del male senza gioia, della “malvagità scontenta”: il romanzo nasceva come meditazione sulla malvagità dei disegni di Dio. Zamjatin riconosceva una satira e uno stile forgiati nella tempra europea: “Sotto la severa e sostenuta veste europea Sologub ha conservato l'impetuosa anima russa”, scriveva, ammirato. Perché davvero Sologub è andato ad attingere alle fonti più oscure delle psicosi di un intellettuale: è andato ad attingervi per plasmare un antieroe assolutamente nero; un ossesso inguaribile, e pericoloso.

Dieci anni di lavoro (1892-1902), quindi tre anni per vedere parte del romanzo pubblicato a puntate in una rivista (1905), altri due anni per assistere al successo della pubblicazione in volume dell'opera (1907): un successo confermato da dieci successive edizioni in patria, e da subitanee traduzioni all'estero. Un successo che non si sarebbe rinnovato, nei dieci anni di libertà seguenti, intervallati dalla stampa di nuovi romanzi, raccolte di poesia e drammi teatrali. Non si sarebbe ripetuto perché s'era anzi trasformato in una condanna; dal 1917 in avanti, l'infamia comunista sovietica avrebbe distrutto l'esistenza del povero Sologub. Tre anni trascorsi tra freddo e fame a San Pietroburgo, attendendo il permesso di poter partire per l'estero; impossibilitato a fuggire, considerato dai marxisti traditore delle proprie origini proletarie e letterato degenere, Sologub sopravviveva a stento.

Sua moglie non sopportò tante sofferenze e tante privazioni. Nel 1921 si suicidò, lanciandosi in un fiume. Finalmente appagati, i comunisti garantirono, negli ultimi sei anni di vita del padre del “Demone meschino”, che Sologub potesse pubblicare una minima parte dei suoi nuovi scritti, e che infine potesse sopravvivere con minimi compensi. Sologub era psichicamente a pezzi: s'era ritirato a vivere proprio dalle parti di quel lungofiume in cui s'era suicidata la moglie. Ogni giorno, riviveva quella tragedia.

Poeta, drammaturgo, saggista e romanziere simbolista, lascia alle nuove generazioni – stando ai critici – soltanto un libro fondamentale: questo. Che in qualche frangente sembra mostrare l'oscuro presagio della futura sorte dell'artista, non tanto l'abisso paranoico del suo provinciale, alcolizzato e pazzo personaggio: “E sulla terra, in quella città oscura ed eternamente nemica, non s'incontrava che gente malvagia, beffarda. Tutto si confondeva in una comune malevolenza verso di lui: i cani sghignazzavano alle sue spalle, gli uomini gli abbaiavano contro” (p. 242)

Certo, il delirio di Peredònov è incontrollabile. Vede malefici e stregonerie in ogni cosa; uomini e animali sembrano minacciarlo con identica perfidia. Si sente solo contro tutti, e tutto sente nemico. Scrive denunce contro un montone, contro le carte da gioco, contro il misterioso Inafferrabile; intanto, il gatto – nelle sue allucinazioni – cresce a dismisura e si finge un uomo. L'ossessione dell'isolamento, e delle menzogne dell'alterità, sarà madre della catastrofe omicida delle ultime battute. Intanto, il lettore avrà apprezzato il trattamento riservato dal professore agli studenti, considerati subumani sin quando non superano l'adolescenza; l'avrà visto sputare in faccia a una donna; avrà scosso la testa di fronte a certe sprezzanti battute etniche nei confronti prima dei polacchi, vittima dell'imperialismo russo e del senso di superiorità dei loro oppressori, quindi dei russi stessi, considerati inferiori agli ebrei per intelligenza e astuzia; infine, avrà ghignato della spocchia e della pazzia di un pedagogo che comprava libri che non leggeva, perché non aveva opinioni né tempo per farsene di nuove (“Tutti i buoni libri li ho già letti”, p.67). E intanto macinava follia.

Peredònov è un insegnante che vede fantasmi e mostri dappertutto, ma mai in sé stesso; e si ritrova a creare imbarazzo nella sua scuola, e risveglia rabbia, sarcasmo e odio in altri cittadini; geloso delle conquiste dei suoi allievi (una, in particolare, alimenta il suo furore; è una terribile sconfitta), e tuttavia incapace di amare una donna, sembra predestinato alla rovina sin dalle prime battute. Quando si dice pronto a sposare una consanguinea pur di aggiudicarsi la nomina a ispettore: la messa è finita e in piazza si finge di essere amici, parlandosi addosso. Al centro di quella cerchia di amici c'è il professore.

Freddo, Sologub osserva e registra tutto: narra in terza persona, con adeguato distacco. Come se non si fosse trattato del parossismo d'un suo incubo, ma del disastro della vita d'un altro suo simile.

Dramma dell'alienazione e dell'incomunicabilità, questa anomica vicenda russa potrebbe essere una perfetta tragicommedia hollywoodiana o italiana, modernissima. Esemplare.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fëdor Kuzmic Teternikov, alias Fëdor Sologub (Pietroburgo, 1865 – Pietroburgo, 1927), poeta, drammaturgo, saggista e romanziere russo.

Fëdor Sologub, “Il demone meschino”, Garzanti, Milano 1965. Traduzione di Pietro Zveteremich.

Prima edizione: “Melkij Bes”, 1907. Prima edizione IT: Milano, 1921.

Gianfranco Franchi, febbraio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.