Facile da usare

Facile da usare Book Cover Facile da usare
Oreste Del Buono
ISBN Edizioni
2010
9788876381539

Cinque racconti di Oreste Del Buono, pieni di sentimento, vitalità e intelligenza, espressione d'una intelligenza letteraria capace di dialoghi di grande credibilità e di monologhi interiori di vero fascino; cinque racconti d'amori perduti, spezzati, incompresi, interrotti, clandestini per gioco, comunque mai adulti. Cinque racconti ragazzini, d'un narratore adulto che sembra sospeso nell'antica linea d'ombra, e non sembra aver voglia di oltrepassarla mai. Compatti come un romanzo – come si dice quando si deve ammettere che il protagonista delle storie è sempre lo stesso, più o meno mascherato – originariamente apparsi per Feltrinelli nel 1962: oggi, finalmente, “Facile da usare” è nuovamente a disposizione del pubblico nella nuova edizione ISBN, 2009, completa di postfazione d'eccellenza: a firmarla è Ermanno Paccagnini. Introduca dunque il grande critico: siamo nel “regno dello squallido vuoto interiore che Oreste Del Buono legge nella borghesia cittadina in genere e milanese in particolare, che l'autore meglio conosce, e filtra specularmente nel suo Io monologante; sia in sé, sia nel recuperare a sé, nel fugace momento di uno scambio di battute (…) altre presenze, di compagni o colleghi” (p. 114). Al di là dell'aggetivo “squallido”, che non condivido (affatto, affatto), mi sembrano rilievi sacrosanti. Del Buono ci accompagna nelle incertezze, nelle aporie e nel vuoto del suo protagonista, invitandoci a identificarci in lui, e a vivere con pienezza e con coscienza, e a non cedere alla tentazione dell'indeterminatezza di tutto, dell'inadempienza, della negligenza. La sua scrittura sgorga con una freschezza impressionante, considerando i cinquant'anni passati dalla prima pubblicazione; è naturale, sanguigna, emozionale, e tuttavia ricercata. Non c'è artificio o tic linguistico che non sia stato non dico calibrato, ma almeno molto ben meditato. È questo a fare la differenza, e non la trama o le storie, fragili e delicate, leggere o inconcludenti: è l'anima, e la scrittura dell'artista. Tutto molto stuzzicante, ancor più in considerazione del prossimo, annunciato Antimeridiano a lui consacrato. Ci sarà da divertirsi.

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Nel primo racconto, Un minimo di pietà (1962), il narratore e la sua giovane amante si presentano mostrando tutta la stanchezza d'una relazione clandestina a tavolino, e per questo un po' alienante; almeno, per il protagonista. “Lei ha dieci anni meno di me, mica la sente come me, la stanchezza, il respiro corto, il veleno nel sangue, il desiderio di lasciarmi andare ancora” (p. 6). Si trovano a Ischia, in vacanza; lui si sente straniero. Spende un sacco di soldi senza nemmeno accorgersene, per viziarla un po'; ma è altrove, è assente, e sembra sempre più sfuggente. I dialoghi si spezzettano e sfumano in un soliloquio tutto interiore, molto maschio e molto decadente.

In Dopo le vacanze (1961), ci ritroviamo in una redazione dell'epoca; tutti concentrati sui loro discorsi, sulle sigarette e sul futuro, ben distanti da qualsiasi telefonata. La notizia è che il direttore ne accetta una, e passa la cornetta al narratore. La chiamata viene da fuori, viene da Roma. È una donna. È una storia che va avanti da un po'. Forse è il momento di decidere che senso abbia tutto quanto. “Procedeva tutto così bene, lettere, telefonate, incontri di qualche ora, attimi appena tra un treno e l'altro, ero talmente soddisfatto di questa storia d'amore, da bravo autore: il dono della sorte, l'irripetibile felicità, la passione condannata alla sconfitta, la dolcezza disperata della rinuncia (...)” (pp. 38-39). E poi, forse per orrore del silenzio, lui che aveva deciso che la storia non avesse senso, ma significati, comincia a fare promesse.

Nella Casa nuova (1960), la coppia di amanti si risveglia, una domenica mattina; e lui si domanda cosa poteva essere e cosa poteva sentire se solo tutto fosse cominciato qualche anno prima. Il rapporto – proprio come negli altri due racconti – è in crisi, perché deve conoscere un'evoluzione: una metamorfosi solare. L'involuzione, la transizione, incrinano la forza del rapporto; lo deteriorano, lo feriscono. E messo alle strette, il nostro sensibile narratore sbotta a piangere.

“E d'improvviso, ho sentito le lacrime, sgorgavano da tutto me stesso, pensieri e carne, la prima è arrivata all'angolo delle labbra, lo ha tentato, dolce e amara, amara e dolce, poi sono arrivate le altre, silenziose e fitte, incalzanti, un pianto troppo in regola con le mie faccende personali, troppo puntuale, troppo gonfio di comprensione e compassione per essere sincero: un mezzuccio da usare nelle situazioni difficili. Ho detto: Ma io. Non fare così, ha detto, vergogna, gli uomini” (p. 58).

Ne deriva una pioggia di incomprensioni, di gesti sbagliati, senza sincronia, senza tempismo, di parole smozzicate e di tentativi velleitari di rimediare all'incomprensione. Ci si ritrova per strada a domandarsi se davvero la libertà vale la schiavitù.

Nell'Infedele (1959), un papà – separato o divorziato, poco cambia - aspetta la figlioletta al bar, e intanto è massacrato dai sensi di colpa per le sue assenze, e dai rimpianti per essere stato sempre in ritardo con la propria bambina. A parlare riescono, ma a capirsi forse no; è troppo presto, e hanno fantasie diverse per quel pomeriggio. Lei vuole il gelato, ma è inverno, e quando il papà le propone di andare al circo o da qualche altra parte non tutto va per il verso giusto – e l'infinita dolcezza della sua piccola assesta i nuovi rimorsi.

Ciao, eccetera (1958) è l'ultimo pezzo. Stavolta non dico niente della trama, perché preferisco puntare dritto sulle ultime battute del racconto. Mi sembra siano l'epilogo perfetto di questo libro, e di questo articolo: incarnazione cristallina dello spirito dell'opera. “[...] Invece comincio a spogliarmi, so che non potrò trovare sonno tra quei lenzuoli equivoci, tendenti al grigio, ma mi spoglio. Avrei potuto trattenerla se avessi veramente voluto. Non le ho impedito di andarsene tante altre volte? Ma questa volta, questa volta, basta, era ora. Pazienza, se comincia il dolore. Dolore? Adesso, pensiamo a dormire, debbo riuscire a dormire anche tra questi lenzuoli piuttosto sudici, nel disordine di questo letamaio. Domani: penserò a tutto, domani prenderò le mie decisioni, domani avrò la mente piú lucida, domani senz'altro, domani, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, quel treno sarà a Piacenza ormai. Spengo la luce, via, è meglio, buonanotte. Sí, dovrebbe essere a Piacenza, ormai, anche oltre, forse, ma mica dormono quei due, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera. E' adesso che comincia il dolore, l'hai perduta, coccodrillo. Dolore? Ma fammi il piacere, dolore del cazzo” (pp. 106-107).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Oreste Del Buono (Isola d'Elba, 1923 - Roma, 2003), è stato scrittore, traduttore, editor presso Rizzoli, Bompiani, Garzanti. Ha diretto “Linus” e collaborato con numerose testate tra cui “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Panorama”. Esordì in narrativa pubblicando il romanzo “racconto d'inverno”, memorie della sua prigionia di un anno e mezzo, in Germania.

Oreste Del Buono, “Facile da usare”, ISBN, Milano 2009. Postfazione di Ermanno Paccagnini.

Prima edizione: “Facile da usare”, Feltrinelli, 1962.

Gianfranco Franchi, gennaio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Raccolta di racconti di ODB, nuovamente a disposizione dopo una vita grazie alle benemerite ISBN Edizioni di Milano…