Autobiografia di un cadavere

Autobiografia di un cadavere Book Cover Autobiografia di un cadavere
Sigizmund Kržižanovskij
Voland
2002
9788886586832

Scrive Niero, curatore dell’edizione Voland: “La lingua di Kržižanovkskij assomiglia a un perfetto gioco di incastri, che lascia intuire la potente mano del levigatore. Anche quando il fluire narrativo appare franto, interrotto, vi si indovina il progetto, l’intenzionalità. Sono spazi di respirazione per il lettore, vi affiora il calcolo. Kržižanovkskij nella sua produzione letteraria non lascia nulla in secondo piano: né intreccio né composizione né parola né ritmo (…) Ama passare dal fatto generale alla sua concretizzazione narrativa, dall’idea all’immagine incarnata” (Introduzione, p. 14)

Otto racconti grotteschi, iperbolici o paradossali: satira del regime sovietico, della disumanizzazione degli individui e della strisciante e deprimente miseria sociale e spirituale, e al contempo gioioso deragliamento nell’irrazionalità, nella fantasia, nella parossistica e tutta letteraria alterazione della realtà. Tratti predominanti sono la visività, la visionarietà e un’ironia che riconosciamo – tra i contemporanei di Sigizmund Dominikovič Kržižanovkskij (1887 – 1950) – al suo egualmente sfortunato e ostracizzato connazionale Michail Bulgakov: Kržižanovkskij, in più d’un frangente, sembra più elegante e più sottile del genio de “Il Maestro e Margherita”. Non posso dire che sia meno allucinato: penso alla rassegna dei sei bollitori che cantano rochi, dal becco (ovvio), oscillando e ritornando serenamente infine a versare tè (“Gara di canto”), o all’assurda vicenda dell’uomo che aveva come unico sogno della sua esistenza quello di riuscire a mordersi il gomito, e a questa sola (velleitaria) attività si dedicava con eroica abnegazione ed encomiabile determinazione (eccellenti polemiche negli organi di stampa: se fosse riuscito, avrebbe realizzato l’irrealizzabile: principio d’una rivoluzione?); o ancora, alla parabola dell’omino che viveva nella pupilla dell’amata, descritto in un racconto che m’ha restituito memorie abbottiane e borgesiane (“Nella pupilla”, appunto). Con buona pace delle imposizioni dogmatiche dell’ideologia del tristo e assassino regime sovietico, Kržižanovkskij denunciava le aberrazioni della burocrazia, la renitenza dell’individuo a riconoscersi nei ruoli e nei nuovi equilibri del sistema (esemplare, a questo proposito, “Autobiografia di un cadavere”), le difficoltà delle interazioni e delle comunicazioni; finendo col trasfigurare il sintomo chiaro della sua disperazione e del suo malessere, l’alcolismo, nel fascinoso e gotico “Il calice fumé”. È “improsciugabile”, quel “monopode”: e Kržižanovkskij inventa la storia d’un personaggio che ne aveva rilevato uno contenente vino invecchiato di mille anni, da un misterioso antiquario (il lettore italiano contemporaneo pensa, senza faticare, al vecchio Mister Hamlin della Safarà di Dylan Dog): sul fondo, aveva delle lettere incise.

La prima, senza dubbio, era una “alfa”. Le rimanenti undici restavano indecifrabili. Perché la ragione e l’origine del male non si possono pronunciare, né comprendere: lasciarle indefinite – peggio, considerarle impronunciabili – giustifica l’insistenza nell’errore (la dipendenza: non più vizio, né divertimento; adesione incrollabile).

Il potenziale della creatività d’un’intelligenza che rifiuta d’asservirsi alle pretese e ai condizionamenti d’un regime è probabilmente esasperato; nascondersi nella “dissimulazione onesta”, nei bizantinismi e nei barocchismi è soltanto una prima difesa e un primo riparo; comunicare, per satira, resistenza alle imposizioni e insofferenza ai dogmi è più difficile e pericoloso, e quindi più seducente. Nel primo racconto, “Metraturin”, qualcuno bussa alla porta della piccolissima abitazione di Sutulin: è un misterioso signore, “lungo e grigio”, del colore del “crepuscolo”, che vuole convincerlo a partecipare a un nuovo esperimento. Spalmando un’essenza sulle pareti della casa, questa s’estenderà e s’amplierà a oltranza. Nessun prezzo: basta una firma, come segno di “riconoscenza”. Il tizio scompare. La tentazione è irresistibile, per Sutulin, che abita in un loculo di otto metri quadri. Subito si mette all’opera: è un po’ maldestro, l’essenza finisce spalmata in lungo e in largo, ma non sul soffitto. Di fatto, la casa crescerà: fino a diventare estesa come un deserto; e buia. Solerti e infami membri d’una commissione del regime bussano alla sua porta, poco prima che il protagonista scompaia, per effettuare una misurazione dell’appartamento. Non entreranno, ma non ha importanza: il lettore ha intuito il significato della loro “inattesa” epifania, e l’origine dell’incubo del protagonista.

Vorrei concludere questa brevissima presentazione rinviando i lettori all’ottima introduzione del curatore: completa di notizie biobibliografiche, annotazioni sulla fortuna dell’opera e fascinosa analisi della scrittura, della struttura e del senso dei racconti, costituisce una lettura imprescindibile.

Una questione centrale, come quella della traducibilità della complessa e sofisticata lingua kržižanovkskijana, non può essere trascurata: non essendo uno slavista, non ho potuto confrontare il testo originale con la versione nieriana. Il curatore, nella nota, allude a neologismi, “invenzioni stilistiche” e “inedita punteggiatura”: immagino che gli specialisti e i cultori potranno apprezzare con diversa profondità le interpretazioni e le scelte stilistiche del traduttore. Segnalo allora soltanto un passo che m’è sembrato adatto a rappresentare lo spirito del libro. Si tratta d’un frammento essenziale tratto da “Il gomito non morsicato”: “Nonostante la terra e le rotative abbiano continuato a girare sui loro assi, con questo, si capisce, la storia dell’uomo che volle mordersi il gomito non si conclude. La Storia, ma non la favola: entrambe – Favola e Storia – stettero accanto per un po’. La Storia – non è la prima volta – attraversa il cadavere e va oltre, ma la Favola è una vecchia superstiziosa e teme i cattivi segni: non accusatela e prendetela com’è” (p. 49). Buona lettura.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Sigizmund Dominikovič Kržižanovkskij, (Kiev, 1887 – Mosca, 1950), poeta, sceneggiatore e scrittore russo, di sangue polacco. Si laureò in Giurisprudenza. Insegnò Psicologia dell’Arte e Teoria del Teatro, della Letteratura e della Musica. Esordì come narratore pubblicando nel 1919 il racconto “Jakòbi i Jakoby” sulla rivista “Zori” (Albe). Fu pressoché inedito, da quel momento in avanti: accusato di estraneità al “mondo sovietico”, fu costantemente ostracizzato.

Sigizmund Kržižanovkskij, “Autobiografia di un cadavere”, Voland, Roma 2002. A cura di Alessandro Niero.

Prime edizioni: “Vospominanija o buduščem; Vozvraŝčenie Mjunchgauzena”.

In Italia: Biblioteca del Vascello, Roma 1994.

Gianfranco Franchi, gennaio 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.