riccardo-reimLe storie più divertenti non si possono raccontare, soprattutto adesso. Si può raccontare che Riccardo era un uomo travolgente, elegantissimo e tuttavia (oppure: e quindi) divertito dalle bassezze e dalle stupidate, era di un’allegria infantile, contagiosa, chiassosa, era gentile, di una gentilezza piena di cautele. Si schermava con un cinismo clamoroso, schermava la sua sensibilità e la sua presunzione, la sua classe e la sua grande educazione. Ho sempre avuto la sensazione che fosse uno che giocava, nell’ambiente letterario ed editoriale in genere, nel senso che sembrava più un’attività divertente che un’attività “alimentare”, perché naturalmente il suo habitat era altro, e più alto, tanto più alto del nostro: il teatro. Per come l’ho conosciuto, Riccardo a teatro era diverso. O forse, era là che mi sembrava tanto distante, e in certi momenti addirittura indecifrabile. Stare seduti vicino a lui al Globe Theatre di Roma, durante il suo “Poliziano”, è stata un’esperienza. Un’esperienza che poi aiutava a capire i suoi libri di narrativa – a comprenderne meglio la struttura, le dinamiche, il respiro. A capire come leggeva i personaggi, come se li inventava. A cosa servivano.

Mi sembra un po’ difficile pensare a Riccardo Reim come a un fantasma. Riccardo, terra, sei già tornato terra. Reim è morto prima del tempo, aveva poco più che sessant’anni, e stava nel pieno della maturità artistica; e così è morto uno che si preoccupava della salute degli altri, dei suoi vecchi amici, di sua madre, dei più fragili, e forse per questo dava la sensazione di essere forte, fortissimo. È morto quello tra noi che più si curava del suo aspetto, e della sua estetica. Il più bello di tutti, della vecchia Scuola Romana. È morto senza dare fastidio a nessuno, e credo – credo: credo – senza chiedere aiuto a nessuno dei suoi vecchi amici, o quasi. Non so perché, o forse sì. Riccardo era tanto sensibile quanto orgoglioso. E allora non lo so. È morto senza che potessimo salutarlo, in tanti. Ascoltarlo, almeno, un’ultima volta. Ho saputo della sua morte da un social network, a raccontarla è stato il suo fraterno amico Renzo Paris. Mi sono sentito sballottato. Credo di non essere stato il solo. Adesso sono parecchie ore che mi tornano in mente le cene nella casa nuova, in campagna, le presentazioni con Paris, con Paolo Di Orazio, con Antonio, le tante risate in Fiera, con Alex e col mezzo dalmata, e poi gli spritz e i caffé a Porta Pia, qualche camminata da Bibli, certe telefonate interminabili per parlare di editori banditi e libri dimenticati, e la sensazione di non averti mai detto che pensavo fossi una delle anime più trascinanti della Scuola Romana, un collante, che forse non avevi mai scritto (oppure, meglio: mai pubblicato) un libro eterno o sinceramente perfetto ma eri davvero un grande letterato, un vero letterato, eri una presenza prepotente e forse avevi davvero un capolavoro in canna. Da un pezzo. Tu, sì. Il capolavoro sono state, anche, certe serate, e certi pomeriggi, con Maurizio, con Antonio, con le ragazze. La tua amicizia con Antonio, una meraviglia. E con Maurizio, una tempesta di sole. Basta così. Eri così. Vivo.

Mi rimane la gioia di averti richiamato, quando potevo, nella “tua” Castelvecchi, e così quel tuo gran lavoro sulla “parola di eros” adesso è facile da trovare per tutti, dappertutto. Per me è il tuo massimo risultato, assieme alle “Lettere libertine”, e ai tuoi libri scritti con Antonio. Questo, almeno, te l’ho detto per tempo. Te l’ho detto in questo pezzettino di vita, qualche anno, in cui abbiamo soffiato sulle ceneri della scena romana. Come potevamo.

Mi scoccia tanto non aver più parlato di certe cose, di libri da ripubblicare o da inventare, e delle tue avventure – quante! quante… – ma io, a differenza tua, ho veramente un brutto carattere. Il risultato è che negli ultimi due anni non abbiamo parlato per niente, mi sa. Non c’entrava la distanza. È andata, peccato, stop. Ti abbraccio forte, Riccardo, ti porteremo nel cuore, io e Cristina, e parleremo ai bambini di un sacco di cose che ci sono capitate assieme. Oddio, magari quando saranno più grandi. Meglio. Ciao, arrivederci, addio, e mannaggia a te.

Franco