Gennaro Serio, sul “Venerdì”, ha parlato di libro “inclassificabile e potente”, “viaggio verticale nella dimensione poetica dello scrittore”, giocato per una lingua “altissima e densa”; Filippo D’Angelo, sul “Domenicale”, ha salutato “Acque strette” come “gemma della bibliografia gracchiana”, apprezzandone la “sontuosa traduzione”; Pasquale Di Palmo, su “Alias”, considera questo racconto di Gracq “sorta di poema in prosa” (sì, siamo dalle parti della prosa lirica); giudica l’opera “un gioiellino”, dallo stile “preciso e sorvegliatissimo”; Mariachiara Rafaiani, di “Sul Romanzo”, sottoscrive l’antico giudizio di Bon: “Acque strette” è “una lezione di poetica, senza averne l’aria”. Riesco a condividere solo parzialmente questi entusiasmi…