Vite immaginarie

Vite immaginarie Book Cover Vite immaginarie
Marcel Schwob
Adelphi
2012
9788845927218

L’arte del biografo consiste appunto nella scelta. Non deve preoccuparsi di essere vero; deve creare entro un caos di tratti umani. Leibniz dice che, per fare il mondo, Dio ha scelto il migliore tra i mondi possibili. Il biografo, come una divinità inferiore, sa scegliere, tra i possibili umani, quello che è l’unico. Non deve ingannarsi sull’arte, più di quanto Dio non si è ingannato sulla bontà. È necessario che l’istinto di entrambi sia infallibile” (Schwob, “Vite immaginarie”, tratto dalla Prefazione).

Ventitré biografie atipiche, allora, raccontate in aperta e divertita contrapposizione con la tradizione del genere, manifestando rispetto esclusivamente per qualche sprazzo di Diogene Laerzio, per le “Vite brevi di uomini eminenti” di Aubrey e per la biografia di Johnson scritta da Boswell: perché Aubrey e Johnson sapevano cogliere ciò che autenticamente contraddistingueva un individuo da un altro, quel tic, quel vezzo, quella mania, oppure sapevano raccontare (costruire o ricostruire?) una aneddotica minima ed eccezionale che assicurava peculiarità e originalità. Senza alcun condizionamento storiografico. Senza ibridare generi. Marcel Schwob, letterato francese salutato già in vita dall’ammirazione di Wilde e Valéry, noto per i suoi studi sull’argot e per le sue appassionate e fondamentali ricerche filologiche su Villon, fu uno straordinario talento precoce che rimase, considerando la sua scarna produzione, perlopiù inespresso.

Questo libro è una galleria di varia umanità: c’è una leggera predominanza di artisti e di illustri pensatori, tuttavia non mancano merlettaie parigine del quattordicesimo secolo, stravaganti pirati o poco credibili assassini d’oltremanica. Del resto, Schwob aveva affermato nella Prefazione che il biografo, così come il pittore, doveva saper parlare dei grandi e degli sconosciuti con la stessa cura: che siano stati “criminali, divini o mediocri”, ciò non costituisce un elemento discriminante. Ogni affresco è presentato con semplicità: nome del personaggio e, corsivata, una definizione. Non sempre scevra da ironia. Clodia è “Matrona impudica”, Empedocle “Dio supposto”, e via dicendo. C’è un certo gusto impressionista nel tratteggio rapido e leggero di queste vite; una fantasia che non intacca la notevole erudizione, una capacità inconsueta di accompagnare alla reminiscenza letteraria la pura invenzione.

Si vanno a diradare le secolari nebbie che avvolgono l’esistenza di Petronio, edificando un’infanzia e una formazione perfino plausibili, senza trascurare l’epilogo d’una vita che finalmente incarna le avventure del Satyricon; si ribadisce l’elemento messianico vivo nella natura di Empedocle e si scardinano le pseudo-mitologie piratesche del Capitano Kid con la stessa, folle disinvoltura. Quel che più colpisce è la sensazione di non aver inteso quale fosse l’esatto confine tra sarcasmo e divertimento erudito nella stesura delle pagine, e nella costruzione dell’architettura del libro: se un libro del genere sia nato per dileggiare la natura umana e l’irresistibile tendenza di certi individui a mitizzare certi simili, o se più prosaicamente sia un’opera figlia della velleità (ambizione sembra eccessivo) di ribadire limiti e libertà del genere letterario della biografia. Onestamente, ho trovato estremamente apprezzabile l’accessibilità (che non significa certo “semplicità” o “non artificiosità”) della lingua adottata e spesso non ho trattenuto qualche sorriso, confrontando, ad esempio, certe lezioni accademiche sulle vicende di Cicerone e Clodia con la versione del dotto e irriverente Schwob. La freschezza del testo è rimasta certamente immutata: e trovo condivisibile quanto affermato da altri a proposito di uno stile e di uno “spirito” affine a certe prove del sommo Jorge Luis Borges. Il gusto per l’irrisione delle tradizioni, che tuttavia si fa al limite indolore sconsacrazione, l’arma della mistificazione adottata per demistificare, la raffinatezza convertita in ordine ed equilibrio per assicurare impatto e trasmettere armonia: queste le principali analogie.

Lettura che può essere goduta appieno principalmente da eruditi: dubito che il cittadino estraneo alla frequentazione splendida e atroce degli studi filosofici e letterari possa apprezzare a dovere l’interpretazione di Schwob delle vite di Angiolieri, Cratete, Erostrato, Lucrezio e Petronio, tanto per intenderci. “Esclusivo” è un aggettivo adatto a definire questo libro. Con delle eccezioni, certamente: se un lettore disordinato e autodidatta si sentisse desideroso di accostarsi al genere letterario della biografia, al di là delle sue conoscenze e delle sue competenze di base, potrebbe riconoscere nello scrittore francese un maestro dotato del dono della più stravagante e immaginifica sintesi esistita nell’Ottocento. Divertente e sofisticato; può essere fonte di nuovo ozio. E se non è questa una grande e rara virtù…

A questo punto, dissentendo con la maggior parte dei biografi, lascerò i signori Burke e Hare in mezzo alla loro aureola di gloria. Perché distruggere un così bell’effetto d’arte, conducendoli stancamente sino al termine della loro carriera, rivelando le loro debolezze e le loro delusioni? Non bisogna immaginarli in altro modo se non con la loro maschera in mano, mentre vagano nelle notti di nebbia. Poiché la fine della loro vita fu volgare e simile a tante altre” (Schwob, “Vite immaginarie”, “I signori Burke e Hare”, Assassini).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Mayer-André-Marcel Schwob (Chaville, Seine-et-Oise, 1867 – Parigi, 1905), scrittore e critico letterario francese.

Marcel Schwob, “Vite immaginarie”, Adelphi, Milano, 1972. Collana: Biblioteca Adelphi, 39. Edizione a cura di Fleur Jaeggy. Contiene l’ulteriore vita immaginaria “Marcel Schwob. Avventuriero passivo” di Fleur Jaeggy.

Prima edizione: “Vies imaginaires” , 1896.

Gianfranco Franchi, agosto 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.