Viaggio in Paradiso

Viaggio in Paradiso Book Cover Viaggio in Paradiso
Mark Twain
Longanesi
1965

Ultima storia pubblicata in vita da Mark Twain, “Captain Stormfield's Visit to Heaven” (“Viaggio in Paradiso” nell'edizione italiana) venne stampato esattamente cento anni fa, nel 1909. Sei mesi dopo, l'artista americano se ne andava per sempre. L'opera – leggiamo nell'introduzione di Dixon Wecter, esecutore letterario del patrimonio Twain – venne ideata circa 45 anni prima, quando l'allora misconosciuto autore, imbarcato su un piroscafo, s'era ritrovato in mezzo a una tempesta: solo il vecchio capitano della barca era rimasto fermo e freddo, al timone. Infondeva parecchia sicurezza, a quanto pare: e a ragione.

Il capitano Wakeman diventò una fonte di ispirazione per parecchi racconti, come “Vita dura” e “Note vagabonde di un'escursione”; le sue esperienze, più o meno inventate o esasperate, erano una fonte inesauribile. E così un giorno, più avanti, raccontò allo scrittore della sua visita in paradiso – la dava per realmente avvenuta – e Twain la tenne a mente. Qualche mese dopo, era appuntata su qualche foglio di carta. Era il 1868, “Capitano Tempesta” s'era fatto letteratura. Il racconto, rimaneggiato nel 1873 e rimeditato più volte nel tempo (Twain voleva aggiungere una parte ambientata all'Inferno), fino al 1878, è rimasto chiuso in cassaforte – ne parlava solo alle figlie – fino al 1906. Nel 1909 ne pubblicò un frammento su un giornale. Il resto, è in questo volume, originariamente tradotto in italiano da Maria Celletti Marzano – con illustrazioni dell'editore, Longanesi – nel 1965, quindi ristampato da Passigli nel 2001.

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Conoscevo bene il capitano Stormfield. Ho fatto tre lunghi viaggi sulla sua nave. Era un marinaio rude, abbronzato, con una cultura raccogliticcia, un cuore d'oro, una volontà ferrea, coraggio da vendere, opinioni e convinzioni incrollabili e un'illimitata fiducia in se stesso (…) Onesto, semplice e genuino come un cane” (p. 35). Religioso ma bestemmiatore, aveva passato tutta la vita in nave. Twain rispettava molto i suoi racconti – scrive nella nota introduttiva – a dispetto della complessa credibilità. Il più meraviglioso di tutti era questo. Come un umile cronista, lo scrittore giura d'aver ascoltato e stenografato tutto, correggendo al limite qualche asperità lessicale o grammaticale. Il romanzo breve è tutto in prima persona.

Nelle prime battute, il capitano, ammalato, sta morendo. I marinai giurano che finirà all'inferno. Quindi, buio, e via oltre le nuvole: il capitano guarda il mare e la nave dall'alto, e piomba in una fitta oscurità. “Sprofonderanno nel mare un sosia; non sarò io; io sono tutto qui”, dice la sua anima. Volando – viaggiando alla velocità della luce – comincia a emanare un bagliore; e poi, tutto contento, incontra un viandante. Non sarà più solo, nel suo viaggio. Il compagno prescelto dal destino è un ebreo, ma il Capitano vuole superare i suoi pregiudizi: riesce soltanto quando scopre che Salomon sta piangendo non per un affare andato male, ma per la figlioletta morta. Convinti come sono entrambi di finire all'inferno, Salomon esclude di poterla riabbracciare: sente morire la speranza nel petto, e il Capitano non sa come consolarlo e come scusarsi d'aver dubitato di lui. S'addormentano, stanchi, alle due di notte. Da qui in avanti, sarà sempre notte.

Al risveglio, il Capitano ha voglia di sigarette e di alcol, ma nei paraggi non c'è niente di simile. In compenso, ci sono altre anime che soffrono, e vanno cercando la luce. Due amici, entrambi suicidi – questioni di donne – e presto diventerà prassi. Il Capitano racconta che lassù hanno deciso di riunire tutti gli innamorati che hanno lasciato un pezzo del loro cuore sulla terra, perché possano trovare comprensione confidandosi l'un l'altro le reciproche sofferenze.

Passa un anno, ormai sono in trentasei: non hanno accettato la compagnia di tutti quelli che andavano incrociando. Il Capitano decide chi deve restare e chi può aggiungersi. Passano altri trent'anni di volo e di viaggio. Una sfida al tiranno del firmamento, come nave una cometa, finisce per diventare risolutiva. Il Capitano sbaglia strada; e quando si ritrova ai cancelli, dice di venire dalla California, dall'America, dal mondo: ma lì per lì nessuno si raccapezza. Infine, l'impiegato capisce di quale sistema solare si tratti e nomina il pianeta Terra: “Verruca”.

Prima sorpresa. Il Paradiso è sterminato e nessuno conosce i suoi usi e costumi: i regni del cielo sono infiniti. Seconda sorpresa: può salire su un tappeto rosso e ritrovarsi nel cielo assegnato. Bene accolto, subito caricato dalle altre anime di parecchie arpe – nessuno vuole portare pesi – finalmente guadagna la sua nuvola, assieme a un milione di persone. In realtà, tutte quelle arpe vengono consegnate perché le persone pensano sia giusto così, ma in realtà non hanno troppo senso. Chi vuole potrà cantare in eterno, ma per i veri lavoratori c'è una speranza.

Terza sorpresa: la felicità non è assoluta nemmeno in Paradiso. Esistono dolori e sofferenze, vanno affrontati con buonsenso e serenità.

Quarta sorpresa: ognuno ha l'età che decide di avere, ma chiaramente poi deve badare a trovare le giuste compagnie; un vecchio può tornare giovane, ma cosa avrà mai da comunicare a certi sbarbatelli? E così può capitare che qualche adulto che ha perduto un figlio molti anni prima non riconosca quel giovanottone che ha fatto il suo percorso, in Paradiso, studiando a più non posso le materie preferite e vivendo le sue esperienze.

Quinta sorpresa: ciascuno s'accompagna a chi vuole. Dio ha creato il cielo rettamente, e con idee liberali (p. 102). Sesta: la presenza degli arcangeli è un fatto eccezionale, e così quella delle celebrità – da Adamo in avanti. Passeranno molte migliaia di anni prima di poterle incontrare tutte quante. Sicuro non ci si annoia. Non basta: tra i profeti ci sono oscuri lavoratori (calzolai, o muratori) che hanno avuto la malasorte d'essere incompresi in vita, e tuttavia valevano più di Omero e Shakespeare. Invece, per dire, Enrico VI ha una bancarella di libri religiosi.

Sembra quasi un mondo finalmente a misura d'uomo. Twain non credeva nel paradiso, né nell'inferno; eppure, ha inventato un aldilà dal retrogusto assolutamente cristiano, solare e magnifico. Vale più dedicare due ore di lettura a questo racconto lungo che a una passeggiata nel parco, per meditare, quando si è depressi. Restituisce una speranza laica a tutte le anime in cerca di senso, e di significati. Chissà, forse al termine del buio splende la giustizia, ed è addirittura indiscutibile e assoluta. Non ho mai amato così tanto la Letteratura come in questo momento. Lettura divertente, edificante, formidabile. Cento anni dopo, intatta. Nostra.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Samuel Langhorne Clemens, alias Mark Twain (Florida, Missouri 1835 – Redding, Connecticut 1910), scrittore americano. Fu pilota di battelli a vapore, cercatore d'oro, giornalista e conferenziere; editore, e sfortunato padre di famiglia.

Mark Twain, “Viaggio in Paradiso”, Longanesi, Milano 1965. Traduzione di Maria Celletti Marzano. Illustrazioni di Leo Longanesi. Inroduzione di Dixon Wecter. In appendice, Lettera dell'Arcangelo del Protocollo. Edizione in circolazione: Passigli, 2001. Stessa traduzione.

Prima edizione:Captain Stormfield's Visit to Heaven”, 1909.

Approfondimento in rete: Wiki en

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.