Una solitudine troppo rumorosa

Una solitudine troppo rumorosa Book Cover Una solitudine troppo rumorosa
Bohumil Hrabal
Einaudi
2014
9788806219161

Nello sfondo della Praga del secondo novecento, città magica come nella fascinosa opera di Ripellino e città perduta come nelle pagine di Kundera, si svolge la parabola esistenziale di un operaio letterato, Hanta. Hanta rappresenta la trasfigurazione dell’esperienza biografica dell’autore, Hrabal, e di un uomo che conobbe durante i quattro anni di servizio presso uno stabilimento di macerazione: trasfigurazione che si fa prima convergenza e quindi mirabile fusione di due identità, epifania quasi semidivina di un uomo che sa essere consapevolmente ingranaggio del sistema e luce del sistema stesso: coscienza dell’inesorabile fluire del tempo e della tendenza alla dimenticanza, all’oblio, e riottosa e disperata e lirica volontà di cristallizzare la perfezione dei pensieri e delle parole scritte, opponendosi prima eroicamente e quindi quasi prometeicamente alla progressiva distruzione del passato. Questo personaggio, Hanta, è allora per diretta ammissione dell’autore una creatura forgiata dall’immaginazione e dallo sbiadire progressivo della memoria; e nelle tre stesure che contraddistinguono il cammino verso la pubblicazione di quest’opera risiede certamente un segno della sua importanza e della sua finale purezza. Non fatico a immaginare un lavoro di lima e di scarnificazione, oserei dire, del testo iniziale; le contraddizioni e le dicotomie nel personaggio si rendono dunque sempre più dolorose e laceranti, e l’epilogo letterario è quello che possiamo ammirare e godere nella edizione Einaudi curata da Sergio Corduas, pregiata da un’introduzione di Giorgio Pressburger, da una interessante appendice costituita da una breve intervista al “Pierrot incrudito” Hrabal e da una breve e intensa e suggestiva lettura dello stesso Corduas.

Siamo soliti immaginare, nella geografia praghese della letteratura mitteleuropea, una linea frammentata e violentemente luminosa che, originata da Kafka, procede irreprensibilmente impazzita attraverso Hasek sino a Kundera; l’unico tratto comune ai loro testi sembra essere la radice stessa delle loro parole, la splendida linfa vitale della città incantata e dannata e sedotta dall’occidente, Praga. Dovremmo enfatizzare la presenza di Hrabal, quasi fosse il centro misterioso di un pentacolo magico, perché pare davvero che in lui esista una sorgente comune ai tre artisti; operando un improbabile corto circuito temporale, potremmo salutare in Hasek la vena ironica e popolana, quella elettrizzante trivialità che a tratti riconosciamo in Hrabal; in Kafka la vena introspettiva e visionaria, il “maledettismo” simbolico della decadenza dell’impero absburgico prima e quindi della cultura mitteleuropea, oggi tutta tesa a cantare le rovine del suo tempo, e infine in Kundera la vena adorante della femminilità, la luce del sole dell’eterno femminino, per intenderci, quell’archetipico dongiovannismo che consiste nello strappare ad ogni donna un riflesso di quell’energia impronunciabile e segreta che è forse la creazione.

Hrabal è dunque la convergenza di due secoli di letteratura, sublime manifestazione dell’essenza della cultura mitteleuropea e dell’incantata ispirazione che sembra possedere i figli eletti di Praga. Hanta, il protagonista del romanzo, dispera di poter mantenere intatta la memoria e la conoscenza passata: consapevole della progressiva corruzione delle ricerche e dell’inesorabile corrosione dei pensieri antichi, lotta per strappare al macero dei volumi, che trattiene per se stesso, per un filosofo e per un sacerdote; a proposito della valenza simbolica di questa triade rinvio alla critica del Corduas, limitandomi ad aggiungere l’interessante e medievale tripartizione sociale, di origine direi già altomedievale.

Quando non conserva un libro, archiviandolo nella sua abitazione che sembra sul punto di rovinargli addosso per il peso insostenibile dei volumi custoditi, Hanta conserva e si immerge nelle frasi e nei pensieri emblematici che incontra nelle sue letture; ruba tempo al suo lavoro per vivere l’estasi della conoscenza e la miracolosa magia della riflessione, ed echeggia reminiscenze di Goethe, Nietzsche, Novalis, Holderlin e Kant: supremo sincretismo davvero, e puro lirismo. E questi pensieri, queste perdute origini che gli uomini sembrano abbandonare e rifiutare o credere di superare in una parossistica aspirazione ad un futuro nuovo e perfetto, si accostano come spettri nella mente del nostro; e ci accostiamo a pagine visionarie e deliranti, a vaneggiamenti etilici o a sconclusionate e disorientanti apparizioni di ricordi desueti o grotteschi o caricaturali, tutti contaminati da un simbolismo e da una letterarietà, per così dire, davvero suggestivi e magnetici.

Romanzo questo in cui non manca l’amore; ma come vedremo, è a volte il destino, a volte una sorprendente e pateticamente volgare reiterazione di umane debolezze, a volte forse la fantasia stessa a impedire che questo amore sia più di un istante, di un frammento. Ecco, potremmo concludere che questo romanzo è uno splendida sovrapposizione di frammenti; quegli stessi frammenti di conoscenza e di cultura che il nostro tenta disperatamente di tenere in vita, ogni giorno assediato e soggiogato e abbattuto dall’atroce compito della distruzione del sapere. E non è certamente casuale che l’artista di Brno macchi di sangue quelle confezioni, quei parallelepipedi che pazientemente sigilla, celando tra i libri saprofiti e piccoli predatori; prima di incenerire i volumi, con amore pare avvolgerli in stampe e riproduzioni di grandi opere pittoriche, desiderando essere l’officiante di un quotidiano e dilaniante rito funebre; e l’odore del sangue e la circolazione del fimo nelle fogne, che tanto ossessivamente sembra volerci segnalare, sono inequivocabile segno di dissoluzione violenta di vite. Perché il nostro sa ricondurre, con sublime empatia, la poesia e la filosofia agli umani creatori: e con pietosa dolcezza le accompagna al martirio, evitando lo scempio delle mosche e dei topi, e nascondendo agli occhi degli uomini la loro colpa peggiore: l’indifferenza, e il trascurare la via dolorosa e divina e gioiosa, al contempo, della conoscenza.

Tutto sembra appartenere alla cenere; torniamo con l’autore al ricordo della morte della madre del nostro Hanta, assistiamo alla sua trasformazione in eterno e immortale spettro; e nel momento del distacco dal personaggio, finalmente vediamo perfettamente incatenati e fusi, per così dire, libro e umanità, ricordo e coscienza, realtà e visione; fragorosamente e disperatamente si va incontro alla pressa del tempo, alla macerazione dell’uomo e della memoria; la società muta, e invariabilmente dimentica e farnetica e rinnega.

È forse davvero un romanzo sulle maggiori felicità e sulle peggiori infelicità dell’uomo; e nella risata silenziosa dei libri bruciati ascoltiamo il riso docile e comprensivo dell’artista perduto. Allora “arranchiamo per le scale, e in qualche modo ci gira la testa per questa nostra solitudine troppo rumorosa”; solitudine che conosce di rado nella storia della letteratura un suo poeta puro. Hrabal è stato un poeta puro.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Bohumil Hrabal (Brno, 1914 - Praga, 1997), poeta e romanziere ceko.

Bohumil Hrabal, “Una solitudine troppo rumorosa”, Einaudi, Torino, 1991. Traduzione e cura di Sergio Corduas. Contiene “Dopo Hrabal, una rumorosa solitudine”, di Giorgio Pressburger.

Bibliografia consigliata:  Bohumil Hrabal, “Treni strettamente sorvegliati”, e/o, Roma, 1990. Bohumil Hrabal, “La cittadina dove il tempo si è fermato”, e/o, Roma, 1995.

Gianfranco Franchi, marzo 2002.

Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, Lankelot.