Una famiglia perfetta

Una famiglia perfetta Book Cover Una famiglia perfetta
Silvia Ricci Lempen
Iacobelli
2010
9788862520270

Esordio letterario della scrittrice e femminista italo-svizzera Silvia Ricci Lempen, “Un homme tragique” (1991, Prix Michel-Dentan 1992) appare oggi in prima edizione italiana col titolo “Una famiglia perfetta” (Iacobelli, 2010). L'artista – racconta Silvia Rorato nella prefazione – nata a Roma nel 1951, è stata educata in ambiente francofono. Vive nella Svizzera romanda dal 1975, e si serve del francese come lingua di studio e di lavoro. Almeno, sin qua: da quanto leggiamo nel suo sito ufficiale, “Après avoir longtemps écrit uniquement en français, Silvia Ricci Lempen se réapproprie actuellement sa langue maternelle, l'italien, comme langue littéraire. Bilingue et bi-culturelle”.

Cos'è “Un uomo tragico”? È un romanzo famigliare concentrato sull'interpretazione e sulla trasfigurazione del sofferto e contrastato rapporto tra la narratrice e suo padre; una notturna, articolata e complessa elaborazione d'un lutto che sembra stratificato. Non è soltanto la sofferenza per la perdita del padre, è – in un certo senso – la nostalgia per l'Italia conosciuta e perduta, per l'Italia che poteva essere e non è mai stata, rovinata dalla corruzione e dall'arroganza, dalla superficialità e dall'incoscienza politica. Tecnicamente, il romanzo poggia su una buona lingua letteraria (apprezzabile davvero la traduzione di Alessandra Quattrocchi) e su una struttura facilmente riconoscibile per tutti gli appassionati di narrativa occidentale contemporanea; ossia, sull'alternanza di flashback e flashforward. Cronologicamente non c'è nessuna linearità: a predominare nel romanzo è la scelta autoriale di raccontare frammenti, emozioni, sentimenti ed episodi secondo un criterio allegramente (si fa per dire) disordinato. Emerge con prepotenza, va da sé, la figura di questo pater familias vecchio stile, tirannico e accentratore, carismatico sino all'eccesso. Una presenza totalizzante, ciclopica. Invasiva.

Cittadino appassionato, reduce di guerra (volontario) tornato in patria nevrastenico, dopo aver sopportato la fatica e la miseria della guerra d'Albania, nel 1941, il pater familias diventò antifascista nel momento della necessità. E nell'antifascismo ripose ogni speranza, e tutta la sua fede. Idealista ferito dalla corruzione, dalla prepotenza e dal servilismo della classe politica repubblicana italiana, veniva a Roma dalla cittadina di Norcia. E di quella bella cultura provinciale, radicale nei valori e nei principi, era un campione. La narratrice ripete spesso che lui era uno che voleva cambiare l'Italia: “ma l'Italia, con l'incaponimento irragionevole e sornione di un bambino ribelle, si è rifiutata di cambiare. Paese perduto, paese in decomposizione dal giorno della sua nascita. Ferienland, dicono i tedeschi. Giullare grottesco dell'Europa. Qui, anche quando la situazione è grave, non è mai seria. Stanchezza mortale” (pp. 67-68).

Il fratello, Alberto, ha studiato a Parigi, lontano dai mali dell'Italia: ha avuto successo ma poi è tornato a casa. Scelta fraintesa, perché a quanto pare l'imprint famigliare – e l'input – era molto semplice: abbandonare la baracca prima che fosse troppo tardi, ché l'Italia è sintesi di decadenza e fatiscenza, e molto poco è rimasto da fare.

I due fratelli vengono allevati nel culto della sincerità, professato dal padre con straordinaria determinazione. Tuttavia, presto s'accorgono che per coesistere (non sopravvivere: coesistere) in quel contesto è più necessario loro mentire. “Mentiamo per mascherare i nostri errori, le nostre dimenticanze, la nostra terribile imperfezione umana; ma soprattutto mentiamo per mascherare l'insufficienza dell'amore che abbiamo per lui, perché riusciremmo a essere perfetti, lui ne è convinto, se lo amassimo davvero; e se la menzogna è scoperta, mentiamo ancora sui motivi per cui abbiamo mentito, mascherando la necessità come casualità e debolezza, per risparmiarci almeno l'ammissione impronunciabile più di ogni altra: che nessuna verità può o mai potrà essere adatta a lui” (pp. 116-117).

**

“Una famiglia perfetta” non è soltanto un memoir venato da una neanche troppo discreta rabbia politica. È un esempio credibile (ma cupo) di scrittura terapeutica. Va da sé che, in questo senso, può avere impatti estremamente diversi a seconda delle esperienze recenti dei lettori: chi ha alle spalle un lutto simile a quello della narratrice potrebbe sentirsi di nuovo scaraventato nel suo passato, per arginare e ordinare i ricordi e smussare la tristezza del distacco, e raccontarsi, al termine del romanzo, la propria storia, e quella del padre. Ancora.

Quanto all'anti-italianità del romanzo, va detto che si tratta d'una materia fascinosa e amarissima. Nel 1991, la Ricci Lempen non poteva nemmeno immaginare, come tutti noi, che di lì a poco il problema di questa nazione non sarebbe più stato solamente quello del suo provincialismo (esasperato) e dell'orrendo nepotismo, o quello dell'inadeguatezza (etica, estetica, culturale) della classe politica: il problema, come ben sappiamo, diventava lo squalificante cesarismo di parte della popolazione, la sua spontanea consegna alla sudditanza nei confronti d'un sultano, la sua renitenza alla tutela dell'etica, del senso delle istituzioni, della cultura e dell'intelligenza. La morte d'un padre d'una famiglia come quella raccontata nel romanzo non significa la morte della speranza nel cambiamento: significa lo spegnimento d'un'altra fiammella di vecchia e onorevole borghesia italiana, e il suo trasferimento all'estero.

Da allora in avanti, per gli eredi del pater familias, l'Italia e l'italianità diventano un fattore culturale, una scelta da declinare nella coscienza che in ogni caso essa implica una gloriosa, e tutta letteraria, schizofrenia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Silvia Ricci Lempen (Roma, 1951), giornalista, scrittrice e docente universitaria italo-svizzera. Vive a Losanna. Femminista.

Silvia Ricci Lempen, “Una famiglia perfetta”, Iacobelli, Roma, 2010. Traduzione di Alessandra Quattrocchi. Prefazione di Laura Rorato. Copertina del maestro Maurizio Ceccato.

Prima edizione: “Un homme tragique”, 1991.

Gianfranco Franchi, luglio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.