Strapaese e Stracittà. «Il Selvaggio» «L’Italiano» «900»

Strapaese e Stracittà. «Il Selvaggio» «L'Italiano» «900» Book Cover Strapaese e Stracittà. «Il Selvaggio» «L'Italiano» «900»
Luciano Troisio
Canova
1975
9788886177863

Il letterato veneto Luciano Troisio ha dedicato questo raro, formidabile volume a tre antichi rivali: le riviste strapaesane "Il Selvaggio" (più radicale) e "L'Italiano" (più moderata) e la rivista stracittadina d'avanguardia "900". Si trattava di tre riviste d'autore, rette rispettivamente da Mino Maccari, Leo Longanesi e Massimo Bontempelli.

L'opera è strutturata in una ricca introduzione e in una robusta antologia, suddivisa per testate, completa di apparato iconografico. E così si va non soltanto ad apprezzare pagine di scrittori già molto conosciuti all'epoca, ma anche le pagine giovanili, spesso misconosciute, di giovanotti come Mario Tobino, Alberto Moravia, Romano Bilenchi, Elsa Morante.

Cos'era lo Strapaese? Spiega Troisio: era una regione fantastica della realtà sociale caratterizzata da questi motivi: "gli elementi autoctoni contrapposti a ciò che giunge dalla città, la conoscenza della campagna, della gente contadina, semplice, dell'orgogliosa tradizione agreste mista alla fierezza della gente toscana del contado che ha oscura consapevolezza di una natia autorità culturale, di una antica aristocrazia" (p. 14). Mino Maccari, alias Orco Bisorco, scrisse, nel 1927, che Strapaese intendeva essere l'affermazione essenziale e indispensabile delle tradizioni e di costumi caratteristicamente italiani: la selezione di quelle tradizioni e di quei costumi, la difesa di quegli elementi di italianità che sono la radice della nostra civiltà e della nostra potenza. I ragazzi di Maccari erano, a differenza dei futuristi, limpidi nemici delle macchine.

Cos'era la Stracittà? Era il desiderio di sprovincializzare l'Italia, e di portare l'Europa in Italia; restando, comunque, popolari e non elitari. Non si trattava di un movimento letterario-politico, in senso stretto; si trattava d'una sorta d'avanguardia interessata a fiancheggiare il regime per animare cultura nuova, grande, italiana ed europea.

"Il Selvaggio", anticonformista e bastiancontrario, appare nel luglio 1924, in provincia di Siena, finanziato dal vinaio Angiolo Bencini. Redattore principe, l'unico intellettuale del posto capace anche di disegnare: è un ragazzo minuto e livoroso, sempre polemico e caustico. Si chiama Mino Maccari. La rivista si tiene, sulle prime, in posizione oltranzista: la morte di Matteotti non ha sedato la loro carica rivoluzionaria, i rurali pretendono maggiore dignità e maggior rilievo nella loro lotta contro il liberalismo, in difesa della classe agraria. Troisio scrive che la rivista rappresenta, allora, "Il tentativo di opporsi all'emarginazione dell'elemento provinciale e agrario piccolo-borghese che non è stato chiamato al suo tradizionale ruolo di filtro delle pressioni popolari" (p. 13). Nel 1926, con i migliori auspici di Ardengo Soffici, "fondista e santone" del giornale, la redazione viene trasferita a Firenze; Maccari ridisegna la testata, ne diventa direttore e proprietario. Si fregia della collaborazione di Palazzeschi, Malaparte, Ungaretti, del giovane Bilenchi che scrive la "Vita di Pisto", suo nonno garibaldino. Di lì a poco, la rivista perderà ogni connotazione politica per concentrarsi esclusivamente sulla letteratura e sulle polemiche letterarie. Dal marzo 1929 al dicembre 1930 la redazione si trasferisce a Siena; nel 1931 a Torino; nel 1932 a Roma, sua ultima sede.

Maccari, detto "il nano di Strapaese", alias "Fottivento" o "Orco Bisorco", fu feroce nemico dell'architettura razionale (proprio come Longanesi, nel suo "L'Italiano"), instancabile oppositore della "smania del nuovo", cultore di Vitruvio e di Palladio; la sua rivista si schierò contro il sentimentalismo di De Amicis e contro la sciatteria e la mediocrità di Salgari, esaltando l'arte di Leopardi; contro il cinema, a favore del teatro classico Romano amato da Latino Maccari, padre di Mino. Maccari scoprì pittori e grafici come Guttuso e Tamburi, ospitò Rosai, Morandi e Carrà. Adorò le creazioni del comunista Grosz.

"900", il gran rivale stracittadino del Selvaggio, nasce nell'autunno 1926, per i tipi delle edizioni "La Voce". Fondato da Bontempelli e Malaparte, grande amico dei Ciano, passato in seguito a Strapaese, "900" era un trimestrale pubblicato per ben quattro numeri in francese. Dal 1928, sarebbe diventato mensile in lingua italiana; per un anno soltanto. Nel 1929 era già tutto finito. Tra i collaboratori principe, James Joyce; redattore, Corrado Alvaro a Roma e Nino Frank a Parigi. La rivista dei Novecentieri predicò il "realismo magico". Rifiutava psicologismo (figlio del romanticismo), naturalismo, estetismo (figlio del classicismo), gusto piccolo borghese; voleva vestire di meraviglia le cose più comuni; fare dell'arte qualcosa di magico e di miracoloso. Bontempelli voleva fondare nuovi miti. Tra i collaboratori principali, Marcello Gallian e Alberto Moravia (che ritroviamo anche sulle pagine de "L'Italiano"). Su questa rivista apparvero i primi scritti di Joyce tradotti in IT e quelli di Virginia Woolf.

"L'Italiano" dell'ex giurista Leo Longanesi venne fondato a Bologna il 14 gennaio 1926, come giornale indipendente della rivoluzione fascista. È l'antenato del "Borghese". Cercò di mantenere una posizione critica, poco convincente eccetto quando criticò apertamente e frontalmente il razzismo (numero 29), proprio come "Il Selvaggio". Pubblicò Kafka, Hemingway (tradotto da Moravia, per la prima volta, in Italia) e Lawrence quando erano estranei o molto poco noti al pubblico italiano. Pubblicò a puntate "Amori d'oriente" di Comisso, le traduzioni di Gongora firmate Ungaretti, due terzi di "Nivasio Dolcemare" di Savinio e "L'imbroglio", "Father Divine", "Il deserto dei cacti" e "Tempesta imminente" di Moravia, i primi racconti di Mario Tobino, scritti di Vitaliano Brancati e Barzini jr. Si caratterizzò per una grafica "eccezionale, rivoluzionaria", estremamente illustrata – illustrazioni in bianco e nero, copertina esclusa, quasi sempre di piccolo formato. La rivista cominciò la sua decadenza nel 1936, complice la fondazione di "Omnibus", primo rotocalco italiano, a firma Longanesi. Fu soppresso – vale la pena ricordarlo – dal regime nel 1939. Longanesi fu "fascista ma antifascista", "borghese ma antiborghese": secondo Montanelli, in ogni caso, il suo antifascismo fu più un fenomeno ottico che politico.

Tra le riviste minori dell'epoca, la strapaesana "L'Universale" di Romano Bilenchi e Berto Ricci (1931-1935), fregiata dalle firme di Bartolini e Rosai; le stracittadine "Quadrivio" e "I Lupi", "L'Interplanetario" e "Spirito Nuovo" di Gallian.

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Politicamente, Troisio ribadisce che nessuno dei tre intellettuali padri di queste riviste saprà opporsi al regime, a differenza di molti dei collaboratori dei Selvaggi, poi confluiti nelle file partigiane. Ma "Mentre pensiamo agli Amendola, ai Gobetti, ai Gramsci, ai Matteotti, cui certamente non mancò il coraggio, riconosciamo che i Selvaggi occuparono, per diciannove anni, ogni spazio culturale occupabile. Se non possiamo perdonargli di essere stati teppisti manganellatori, dobbiamo però ammettere che continuarono, ognuno coi mezzi che aveva, a dire quello che pensavano – violenti per amore – anche quando i giorni diventavano bui, e che ci lasciarono documenti che non possono essere ignorati, testimonianze rigorose e fondamentali, ritraendo 'con la penna e con la matita' il volto della classe dirigente" (p. 39).

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L'antologia si apre con "Il Selvaggio": per prime, le pagine del "periodo colligiano", quelle più intransigenti e violente, spontaneiste ma legittimiste. La redazione si pronuncia "fedele fino alla morte all'idea e alla nazione", e ribadisce che la rivoluzione non va tradita, e che lo Stato deve cambiare. Quindi, ecco le pagine fiorentine: i Selvaggi sono diventati "i buffoni di Mussolini". Adesso si concentrano sull'arte, per dare vita a un giornale "buffo, bizzarro e talvolta misterioso". Ecco che man mano appaiono nomi che troveremo tutti molto famigliari: c'è il giovane Tobino che scrive versi, l'inattesa Elsa Morante che racconta la storia di un professorino piccolo borghese ("Lo scolaro pallido", 1939), Brancati che ha una gran voglia di fare satira ("L'isola"), gli appunti di estetica di Guttuso (novembre 1939), le poesie di Corrado Alvaro.

Passiamo alle pagine dedicate a "L'Italiano". Scintillano gli scritti di Leo Longanesi e di Curzio Malaparte (inclusa la famosa satira "Spunta il sole e canta il gallo / o mussolini monta a cavallo"), versi inediti di Dino Campana, curati da Falqui (1929), studi di Comisso sulla "nuova letteratura sovietica" (pensate: Zamjatin "già troppo noto in Italia". Come cambiano le cose... era il 1931), prose di Savinio ("L'assassinio del presidente"), Charlie Chaplin (!) che racconta "il comico nel cinema" ("L'italiano", 1933), Kafka e la sua "Ambasciata imperiale" (1934!), un racconto del giovanissimo Tobino ("Lo spirito in cucina") e la traduzione della "Nave della morte" di Lawrence firmata Moravia, Brancati sulla "Società meridionale", infine la sinceramente inattesa Anna Banti ("Rivelazione", 1942).

Passiamo infine alla breve antologia della rivista "900": l'esordio mozzafiato è un saggio di estetica di Bontempelli, completo di consigli agli scrittori, quindi ecco le prime pagine di Joyce mai apparse in Italia (numero 1, autunno 1926), col titolo "Odissea", tratte dalla seconda sezione dell'"Ulisse": tradotte in francese col titolo "Ulysse" da Auguste Morel, in questa versione italiana da Giulio De Angelis; dopo Joyce non può mancare la Woolf, con un frammento tratto dalla "Signora Dalloway"; e poi segnalo almeno un saggio su Grosz, firmato Ivan Goll, e divertenti prose di Orio Vergani; un frammento di un Tolstoi incompiuto ("Teodoro Kusmic"), Corrado Alvaro che canta la Calabria ("Amore ardente").

Un libro stupendo, inspiegabilmente fuori commercio. Da avere a tutti i costi. Ristampa obbligatoria. Un inchino al letterato Luciano Troisio. Riconoscente.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luciano Troisio (Monfalcone, 1938-Padova, 2018), poeta, narratore e critico letterario italiano. Si è laureato a Padova con tesi sulla Metafora. È stato ricercatore dell'Università di Padova. Ha tradotto quattro inediti di Marx.

Luciano Troisio, “Strapaese e Stracittà. Il Selvaggio - L'Italiano”, Canova, Treviso 1975. In appendice, bibliografia, notizie biografiche su tutti gli autori ospiti, un magnifico corredo di illustrazioni. Edizione esaminata: tiratura limitata, 99 esemplari su carta "Manuzia Vergata", con acquaforte di Walter Piacesi. Esemplare numero 10.

Approfondimento in rete: Strapaese

Gianfranco Franchi, febbraio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Con riconoscenza al Magister Sinicopleuste, che nella Nursery of Arts mi donò copia del prezioso volume, il 4 di ottobre del 2007.

Tre antichi rivali: le riviste strapaesane “Il Selvaggio” (più radicale) e “L’Italiano” (più moderata) e la rivista stracittadina d’avanguardia “900“. Si trattava di tre riviste d’autore, rette rispettivamente da Mino Maccari, Leo Longanesi e Massimo Bontempelli.