Romanzi di culto

Romanzi di culto Book Cover Romanzi di culto
Renzo Paris
Castelvecchi
1995
9788886232463

1995. “Romanzi di culto. Sulla nuova tribù dei narratori e sui loro biechi recensori”, saggio breve di Renzo Paris, è un libro che nel 2009 va necessariamente letto in due maniere; la prima, onesta e generosa, dimentica di parte degli esempi che qui andava proponendo, da Brizzi alla Tamaro, come esempi di letteratura nuova: quindici anni dopo possiamo dire che i loro oppositori avessero, a suo tempo, relativamente o pienamente ragione. Si trattava di narrativa giovanilista sciatta e pop in un caso e romanticona dozzinale e artificiosa nell'altro. Facile accorgersene e argomentare in proposito: quindi, glissiamo. La seconda, critica ed empatica, è una lettura sensibile nei confronti della visione, dei consigli e delle rotte principe tracciate dall'artista di Celano. Potrebbero essere parte dello Zeitgeist: Zeitgeist descrivono e nominano. Scopriamo come.

Il letterato abruzzese prende atto dell'esistenza di una terza generazione di scrittori che vive da sola, senza la compagnia dei critici; è avvenuta una “vertiginosa scollatura tra critici e romanzieri”, che va necessariamente ricomposta: “qualcuno” - avverte Paris - “dovrà pure cominciare a non avere false reverenze, inutili rispetti. Nel passato, nei momenti di vuoto, sono stati proprio gli scrittori a provare a riempirli (…). Da Baudelaire in poi, un autore che si rispetti non può non dirsi anche critico” (p. 7).

Sono i giovani narratori che rischiano, altrimenti, d'essere sepolti dall'odio senile dei critici: non esiste una nuova generazione di critici di livello, a parlare delle nuove leve è sempre la vecchissima guardia. Rischio non da poco. Culicchia diceva che i suoi coetanei erano “più soli, anche più individualisti (…) più nascosti” (pp. 15-16). Paris non crede che i modelli dei nuovi narratori siano o possano essere Celati, Calvino, Gadda e Arbasino: sente che la linea vincente non sia quella delle avanguardie, ma quella della Realtà: da Italo Svevo a Luigi Pirandello ad Alberto Moravia (p. 38), ecco la linea del sentimento della realtà, della ritrovata pietas (p. 50).

Il letterato sale in cattedra spiegando che non ha senso imitare i classici: ha senso ascoltarli. Perché è l'antico che informa il romanzo, la poesia: è determinante la lingua dei classici, quella dell'anima, e non la struttura dei classici. Del resto, “Il mondo non è un disegno progettato a tavolino. Il romanzo ha a che fare con la vocazione, l'anima, e l'anima non è strutturalista né decostruzionista, né pragmatista alla Rorty. È pericoloso come una vera poesia, tocca dentro, è una forma di preghiera, di liberazione” (pp. 94-95).

Ancora: “Il romanzo è tutto ciò che 'ditta dentro', libertà allo stato puro, è fuoco acceso, cenere riarsa, parola dimenticata, voce chiara, trasalimento, vocazione, ha a che fare con l'inconscio, è difficile controllarlo, godimento e piacere, illusione e morte, tutto fuorché progettino, operazione linguistica, funzionale, dove tutto è assicurato e calcolato” (p. 95). Il romanzo, dice Paris, è “un orologio matto” che funziona proprio al contrario di quanto vorremmo. Nessuno ha intenzione di riparare questo orologio. Niente affatto.

Questa di Paris è la poesia del romanzo; e la dichiarazione di intenti di un letterato che vuole accompagnare la nuova generazione di artisti a una coscienza nuova di sé, del tempo, della necessità della scrittura. Saggia e coraggiosa presa di posizione.

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Sempre in quel periodo, secondo Siciliano, gli scrittori migliori degli anni Ottanta si trovavano “tutti apparentati nell'evocazione e nella rappresentazione di un comune bisogno di purezza e di innocenza” (p. 79: tra loro, Albinati, Veronesi, Lodoli, Fortunato). Vassalli rimarcava, invece, che la critica dormisse ancora un sonno medievale, ritrovandosi a fronteggiare l'ostilità di Giovanardi (“dimostrami che in questa annata la narrativa italiana è stata ricca, memorabile, eccezionale...”); La Porta sosteneva che i nuovi narratori mescolassero “Il giovane Holden” allo “Jacopo Ortis”, “impasticciando liberamente” e Brizzi ricordava più “il rugiadoso ed effusivo Palandri che l'ironico e sbracato Tondelli” (p. 17). Palandri? Quello di “Boccalone”, ex caso letterario del 1977, praticamente rimosso da tutta la nuova generazione. Sarà una coincidenza...

BREVI NOTE

Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Professore di Letteratura Francese all’Università di Viterbo.

Renzo Paris, “Romanzi di culto. Sulla nuova tribù dei narratori e sui loro biechi recensori”, Castelvecchi, Roma 1995.

Gianfranco Franchi, aprile 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Il letterato abruzzese prende atto dell’esistenza di una terza generazione di scrittori che vive da sola, senza la compagnia dei critici; è avvenuta una “vertiginosa scollatura tra critici e romanzieri”, che va necessariamente ricomposta…