scalich

 

SONG BY SONG, ALBUM BY ALBUM. FROM THE FANS, FOR THE FANS.

Incontriamo Stefano Scalich: zaratino di sangue, milanese di origine, romano d’adozione, classe 1972. Stefano è l’editor della collana “Testi”, dedicata al commento e alla traduzione delle liriche di alcuni tra i più significativi musicisti contemporanei per le storiche edizioni Arcana.

Proprio in questi giorni – fine gennaio 2008 – Scalich ha “vistato per la stampa” i testi commentati dei Nirvana: “Kill Your Friends”. Gli autori – Gianluca Polverari e Andrea Prevignano – si sono sfiancati in un lungo lavoro di ricerca e di analisi. Com’è andata, Stefano? “Sono stati una band, un power duo, a metà strada tra i Suicide e Simon & Garfunkel… due voci distinte che quando vanno in coro vanno di lusso. Mi sarebbe piaciuto essere, per loro, come Steve Albini ma è indubbio che sono stato come Butch Vig: spero comunque di averlo fatto bene e di non essermi avvicinato troppo a Stock Aitken e Waterman”. Difficile…

ARCANA: SPIRITO, STORIA e REDAZIONE.

Stefano sorride: “Arcana è una big band, nel senso tecnico del termine. Come in tutti i mondi reali possiamo rischiare di litigare tanto, ma questo avviene solo ed esclusivamente perché tutti quanti concorriamo a fare il bene del libro: infatti alla fine, in qualche strano modo, tutti quanti facciamo uscire i libri.  Arcana è un marchio rispettato e conosciuto: sin dagli anni Settanta pubblica libri sulle culture giovanili e sulla musica, senza dimenticare il ruolo pionieristico giocato nella diffusione della letteratura beat… le persone più ‘acculturate’ direbbero che puntiamo allo Zeitgeist e tra i neofiti questo quadro può suscitare un certo grado di complice curiosità. Se poi ‘travasiamo’ questo interesse sulla veste grafica dei libri Arcana, dobbiamo dire un sincero grazie a san Maurizio Ceccato, un incrocio tra Giorgio Armani, Michelangelo Buonarroti e Chanel che ha saputo interpretare con ‘deflagrante pazienza’ i nostri gusti… pensiamo che chi si trova davanti i nostri libri di musica possa coglierne istantaneamente la personalità. Infatti tra di noi – in redazione, tra post it e polpastrelli sporchi, nonché svariati decibel di telefoni che imperterriti squillano – diciamo che vogliamo fare qualità e avere personalità: nella scelta dei titoli ma soprattutto nello stile che vogliamo far emerger quando trattiamo le opere… sì, anche la saggistica ‘di nicchia’ può annoverare ‘opere’. Difficilmente (anche se personalmente li venero) potremo dedicarci ai Righeira, ma stiamo dando gli ultimi ritocchi a un songbook su Domenico Modugno; è poi certamente vero che Arcana non ha ancora in carnet un libro fotografico sui Rolling Stones: intanto ne abbiamo uno di tutto rispetto su Madonna (a proposito, auguri: in agosto festeggerà ‘i suoi primi’ 50 anni). In between, molti classici del genere: Arcana ha una lunga tradizione di biografie rock: da Dylan in avanti, passando per Pink Floyd, Led Zeppelin, Nirvana… mentre all’orizzonte si profilano altre incursioni interessanti nei generi più diversi, dall’hard rock al pop, dal postpunk all’hardcore più stradaiolo”.

LIBRI OBLIQUI. DAGLI ANNI SETTANTA.

“Una persona entra in libreria e ci passa (se va bene) due minuti. Allo scoccare del terzo vede, sugli scaffali, i libri altri, quelli ‘obliqui’. Quelli di musica. Tra quelli, non mancano mai i nostri. Arcana ha compiuto da poco 36 anni ed è una ricorrenza importante: la casa editrice ha festeggiato la duplice maggiore età.  Fondata a Roma da Fernanda Pivano e Raimondo Biffi, la casa editrice è stata sotto la direzione (leggasi: “rotta di navigazione”) tra Milano e Padova di Riccardo Bertoncelli. Nei tardi anni Novanta, complici Internet e la crisi dell’editoria, il marchio è tornato nella natia Roma; qui è avvenuta la terza metamorfosi, con la direzione editoriale di Stefano Pistolini (grande appassionato di Nick Drake) che oggi scrive per ‘Il Foglio’ e ‘L’Espresso’. La quarta pelle coincide con la direzione editoriale di Felice Di Basilio, prima sotto la proprietà di Fazi quindi con un ulteriore passaggio di proprietà all’interno del gruppo Vivalibri: oggi si guarda a un mercato caratterizzato da spinte decisamente mainstream ma la casa editrice non vuole rinunciare a mantenere un proprio stile”.

LIBRI DI LYRICS. IN PRINCIPIO ERA ARCANA. QUINDI, INTERNET.

“In principio era Arcana – senza dimenticare gli storici concorrenti degli anni Settanta-Ottanta: Lato Side, Gammalibri o Il Formichiere – e poi Internet ha cambiato le carte in tavola: la cultura dei testi e delle traduzioni a fronte è quindi cambiata. Oggi sono sicuramente apprezzabili le edizioni Giunti che hanno cercato – penso al lavoro su Tom Waits e Neil Young – di riproporre quello storico metodo di lavoro; Editori Riuniti preferisce invece il testo alternato a un commento che ne contestualizza le caratteristiche usando un linguaggio molto accessibile: Arcana Testi segue più questa seconda linea e cerca, a modo suo, di espandere la dimensione del commento verso tutto quello che può girare intorno alle lyrics, dalla storia alla letteratura, dal costume alle mode giovanili. Quindi il focus di Arcana Testi sono (gioco di parole) proprio i testi, ma forse con un’ambizione in più: mostrarle con la consapevolezza di oggi. Pensiamo ai Nirvana per esempio: un conto è il personaggio di Kurt Cobain che dalle biografie, dai diari e dai film; tutt’altra dimensione emerge invece dai suoi testi, un Kurt non necessariamente ‘maledetto’ e comunque assai lontano dagli stereotipi che lo vogliono collegato alla droga e al grunge. La sua grandezza lirica è ancora in gran parte esplorabile e questo fatto non fa che aumentarne il fascino: Arcana Testi non pretende di aver aperto una strada, ma sicuramente è molto lieta di percorrerla assieme a tutti i commentatori che l’hanno preceduta e che vorranno cimentarsi con la ‘difficile arte’ – così recita un’autopresentazione di Davide Sapienza: già ufficio stampa Arcana negli anni Ottanta e oggi stimato scrittore ‘territoriale’, nonché traduttore in contatto medianico con Sua Rivoluzionarietà Jack London – della traduzione di testi musicali. Ogni commento è quindi figlio di un’epoca, ogni epoca ha bisogno di un revival e molti libri Arcana ricostruiscono la cronaca di un’epoca: nei testi dei Nirvana sono gli anni della Generazione X; in quelli di Jeff Buckley compare lo stesso periodo eppure osservato con da un’ottica speculare. Sono i tempi degli ‘amori difficili’ uomo-donna ma anche delle prime relazioni men on men ormai comunemente accettate.

I testi rock sono il contesto e non lo specchio dello stato d’animo d’un artista. Vogliamo la storia di un’epoca e di un contesto artistico, ma vogliamo anche tentare un’incursione (e forse è una delle cose più divertenti) dentro l’officina creativa dei grandi songwriter. Questo è quindi il gioco e quando si pensa a ‘Negative Creep’ dei Nirvana non si può non pensare agli altri creep cantati in quel periodo: dai Radiohead agli Stone Temple Pilots.

FORMAT DELLA COLLANA.

IL FORMAT è: SONG BY SONG, ALBUM BY ALBUM. FROM THE FANS, FOR THE FANS. Appassionati, senza sognare fatturati interstellari ma senza nascondere neanche un po’ di ambizione. I cosiddetti ‘apparati’ del libro possono essere delle prefazioni o delle presentazioni; in chiusura (come titoli di coda, ma anche come una piccola carta d’identità dei songwriter presi in esame) le keyword: una per lettera. In fondo è un gioco e questi titoli di coda funzionano come degli autoreverse: servono a farti tornare ad ascoltare i dischi, molti lettori ce lo confermano. Se leggi solo l’ultima pagina di questi libri, il format ‘keyword’, ha già il dna di quel che c’è dentro: per dire, è molto affascinante (è un gioco) comparare le differenze tra Buckley e Cobain: se ‘eyes’ è la parola comune a tutti e due, quegli occhi però non sono gli stessi. La ‘A’ di Cobain è ‘Angel’, ma quella di Buckley è meglio farla coincidere con una delle parole che reiterava più spesso: ‘Again’. E così via. Quando ha più senso interrogarsi sui brani che hanno caratterizzato la discografia ‘sparsa’ si aprono capitoli dedicati ai brani extravaganti. Altrimenti è meglio di no: se i cataloghi sono perlopiù ancora granitici (esempio: Led Zeppelin, finché non apriranno altri cassetti) le parentesi non si possono ancora aprire. Buckley e i Nirvana hanno invece una discografia ufficiale abbastanza ridotta, più tutta una produzione extravagante che si può esplorare senza timore di mettere eccessivamente in ombra gli album di lunga durata… nel primo caso siamo veramente al cospetto dell’officina creativa nominata prima, per Cobain e i Nirvana significa invece esaminare il sistema solare dopo aver osservato la Terra. Scopriamo Cobain in chiave Burroughs solo dopo aver studiato i brani extravaganti, senza limitarci al vero/presunto cut-up di ‘Nevermind’. Le affiliazioni con artisti come Leadbelly e i Vaselines si caricano di sfumature molto più forti se le esaminiamo ‘in parallelo’ ai brani inediti e a B-side come ‘Dive’ o ‘Been a son’ o all’inedito riscoperto ‘You Know You’re Right’. Recuperare questi brani dopo aver parlato degli album aiuta a vedere tutte le ombre… è come un bridge dopo un coro: sono un controcanto e servono a non diminuire la tensione. Tu non ti accorgi che stai leggendo delle B-side: le stai trattando come un disco, hai recuperato le ascendenze, lo spirito dell’epoca e (ce lo auguriamo) hai capito di più dell’artista. Quando finisci è come aver concluso con un disco mai esistito… sono difficili ed esaltanti, come un backstage… ecco: a volte, magari non dieci volte su 10 ma una su 10 sì, è fico scoprire se oltre a canne, droghe eccetera i musicisti sudano sangue e lavorano sodo per fare le cose che fanno, se hanno con loro un blocchetto per gli appunti. Cobain e Buckley (guarda caso) ce l’avevano davvero: lo dicono tutte le biografie ufficiali”.

SONGWRITERS E LETTERATURA.

“L’ispirazione non esiste. Tra le ambizioni di Arcana Testi c’è quella di mostrare lo studio che c’è dietro ogni canzone: correzioni, errori, ripetizioni, ossessioni ma anche influenze e condizionamenti. è importante sapere da dove arrivano le canzoni e ogni songwriter è un piccolo mondo: spalanca porte su libri, fumetti, dischi, film… nel commento a Jeff Buckley abbiamo dedicato una sezione alla sua biblioteca e se qualcuno avrà voglia di studiare quell’elenco, chissà, potrebbero scattare affascinanti cortocircuiti tra i suoi testi e quelli dei suoi amatissimi William Burroughs e Allen Ginsberg. Prima di Tondelli, che integrava gli Smiths nella sua scrittura, c’era già Pavese con i suoi blues: scelta che significava aver abbattuto certi confini, rivendicando la cultura pop. Se oggi abbiamo un film su Bob Dylan che (si dice) può valere un Oscar, se noi parliamo delle canzoni di Battisti come prodotti di una cultura e non soltanto come canzonette… non dobbiamo nemmeno dimenticarci che potremmo capire gli anni Ottanta anche ascoltando e rileggendo certe cose di Vasco Rossi. Certi discorsi dal palco di Springsteen valgono quelli di D’Annunzio. La differenza è il dato estetico che colpisce il lettore medio: il sound, il vestito e via dicendo, perché il lettore/ascoltatore tende a dimenticare che il cantante è una persona come lui. Ma anche i songwriter provano e riprovano cercando una propria strada: leggono, scrivono e poi ri-leggono e poi ri-scrivono e ancora e ancora…”.

TO MAKE THINGS BETTER.

“Non c’è nessun modello che voglio nominare, all’interno dell’editoria ‘di nicchia’ o ‘di varia’ a cui corrisponde lo scaffale virtuale dell’editoria musicale in Italia. È meglio riferirsi ai vecchi libri Mursia e ai Castori: quello è il vero paradigma. Una produzione di critica onesta, popolare e a testa alta. Ma popolare. Certo, per essere popolari anche il prezzo dev’essere popolare e speriamo che i nostri libri si presentino accessibili: pensando ai palati più esigenti e i portafogli più giustamente selettivi ci siamo concentrati su una veste grafica molto connotata, curando molto gli eventuali apparati e la presenza di qualche special guest. Ogni commento targato Arcana vuole quindi presentarsi fitto (non un full lyrics travestito, ma un commento autentico) grazie al formato più agevole mentre l’appeal grafico si mantiene compatto grazie alla presenza delle bandelle. Tutto questo può aiutare a seguire passo dopo passo la musica: il disco che vi è venuta voglia di mettere su mentre leggevate il libro”.

COMMENTARI O RACCONTI? APRIAMO IL GIOCO.

“Questi libri si leggono in tantissimi modi. Sono commenti, sono curiosari, sono documentari-schegge… tu leggi Cobain ma in trasparenza ti sembra di vedere un film che scorre sullo schermo ci sono le immagini di Chris Cornell o Eddie Vedder… se conosci quell’immaginario, se conosci ‘Daughter’ o ‘Black Hole Sun’, ritrovi quello spirito… e noi non ci limitiamo alle parole dell’universo poetico: andiamo ad aprire il gioco, a interrogarci su tutto quel che può interessare i nostri e-si-gen-tis-si-mi lettori. Aprire il gioco significa: montare il commento dando vita a un libro che si può leggere come una biografia romanzata, le classiche stories behind the songs: queste sono biografie con una colonna sonora…

Noi individuiamo sia quel che l’autore conosceva e aveva assorbito senza averlo studiato, sia quel che caratterizzava la sua ricerca. Evitiamo gli stereotipi (nel caso dei Nirvana: ribellione, droga e suicidio… li abbiamo messi, ma selezionando: poche volte ma, speriamo, buone) scoprendo mondi nuovi. Ad esempio ‘Nevermind’ è una ri-elaborazione del nostro immaginario operata da parte di Kurt: ben poca droga, come vedi. Al contempo, questi libri sono piccoli racconti. La metafora che porta avanti 3 libri significativi di questa collana (Buckley, Nick Drake e Nirvana) è quella del sipario: una storia che inizia da una parte e va da un’altra. In trasparenza è applicabile a molti. Drake ha un’andatura più saggistica e meno fictionalized ma nelle ultime pagine, quelle di Tow The Line dove l’autrice Paola De Angelis ‘ferma il nastro’, io voglio che la gente si senta emozionata. Io cerco gente che si emoziona e che condivide, non voglio indifferenti. Io voglio che i miei autori si schierino e io mi schiero con loro”.

FONTI DI ISPIRAZIONE.

“Chi ha ispirato questa collana? Bertoncelli, il vero Mister Tambourine. I testi di Dylan (1962-1985) che Arcana ha ripubblicato nascono da una sua idea degli anni Novanta: il titolo è suo e dire quel nome, Mr. Tambourine, significa tre cose. Primo: condensare chi è Bob Dylan. Secondo: cosa è l’opera di Bob Dylan (produttore, generatore di storie). Terza e ultima cosa: è spiegare cosa è l’icona-Dylan.  Anch’io, da editor-estimatore della collana, ho l’obbligo (e il privilegio) di schierarmi. Qualche esempio: ‘Dark Angel’, il libro delle canzoni di Jeff Buckley. Voglio completare un’area del Buckley vulgato noto sinora per una biografia edita da Giunti (un hipster con la faccia d’angelo, il richiamo è a Ginsberg); quindi mi richiamo sin dalla copertina all’immagine di ‘Grace’, a suggerire che non si può capire la luna senza la faccia oscura della luna. Allora voglio anche la metà oscura. Nel caso di Nick Drake (‘Journey to the stars’) sto giocando su un titolo che dice dove sto andando. È un topos letterario: il libro che comincia in un modo e finisce in un altro, quindi in questo caso si va a condensare cosa ha fatto Nick Drake – l’opera, la vita: le liriche a illuminare l’esperienza di vita – senza però dimenticare che una volta usciti dall’atmosfera terrestre lo spazio è nero, quindi quel titolo è tutt’altro che rassicurante e la poetica diventa all’improvviso dolente, più partecipata…”

LA COLLANA TESTI E’ QUASI UNA COLLANA NOIR.

“Penso poi a ‘Dazed and Confused’, il libro sui Led Zeppelin… dove si scopre che erano ladri di blues, che avevano traffici ‘confusi’ col satanismo e che le liriche sono meno macho e rassicuranti di quanto in realtà si potrebbe credere (per gli anni in cui sono nate). Uno che legge ‘In The Light’ o ‘The Wanton Song’, ma anche certi passaggi di ‘Immigrant Song’ può rimanere dazed and confused. Veniamo a ‘Cry Baby’: il libro su Janis Joplin scritto da Massimo Cotto, è un noir sotto mentite spoglie. È un libro su Janis Joplin, certo, sulle donne brutte e o sedotte e abbandonate. Se fosse vissuta nell’Ottocento, probabilmente l’avremmo trovata tra Vigevano e Aci Trezza: e avrebbe bevuto un goccio di troppo di Marsala, tutti i pomeriggi. È una casalinga che si mette il rossetto dell’Upim ma sogna un principe azzurro da autogrill.

Ed eccoci ai Nirvana. ‘Kill Your Friends’: il titolo è una variante! Mai era successo, in Arcana, di riprendere un titolo estraneo ai pezzi editi. Questa volta è invece il modo più incisivo per mettere in risalto another side of Kurt Cobain. Una volta, durante una trasmissione, Cobain aveva rifiutato un playback di ‘Smells Like Teen Spirit’ e così il verso d’apertura ‘Load Up On Guns’ era diventato ‘Load Up on Drugs’, mentre le arcinote parole successive ‘Bring Your Friends’ si erano trasformate in ‘Kill Your Friends’. Questo era il dna dei Nirvana di Kurt: amava spiazzare. Ed è anche il Kurt grandissimo artefice di varianti, a livello Bob Dylan: ha testi completamente nuovi, di versione in versione: un paradiso per ogni filologo rock, un inferno (forse) per i puristi. Un suo brano è solo la punta di un iceberg. E se questo titolo gigioneggia con la violenza in controluce suggerisce però anche tanto bisogno d’amore. Perché Friends ci riconduce al concetto di amico: e sta per ogni cosa amica, ogni cosa familiare, vitale. ‘Kill’ è però il contraltare e l’emblema di un vitalismo e di una forza che eccedono, che tracimano dai propri argini”.

KILL YOUR FRIENDS. UN NUOVO KURT?

“Non so, rispetto ai diari… qui emerge un altro Kurt. Lui poteva essere un membro dello OULIPO, giocava con le parole e se stesso, con la propria biografia e la rendeva oggetto di narrazione; cosa che facevano anche i trovatori e i narratori più ispirati. Da questo commento di Polverari e Prevignano emerge quindi un Kurt molto consapevole dei propri mezzi. Non è un creep, è un songwriter. Un conoscitore dei rudimenti del songwriting classico; vale a dire dei Beatles (e questo ce lo aspettavamo) ma anche della tradizione blues (questo un po’ meno). Kurt è stato un consapevole songwriter e un FIGLIO DEL SUO TEMPO. Le liriche dei Nirvana sono una perfetta lente colorata attraverso cui possiamo vedere/spiare gli anni Novanta, ormai vecchi di vent’anni. Chi è nato quando usciva ‘Nevermind’, tra un anno sarà maggiorenne: ricordiamocelo. All’epoca stava iniziando la Guerra del Golfo e c’è ancora oggi: cosa è cambiato? Niente, tutto? Leggiamo i testi del rock: qualche risposta arriverà anche da lì.

Il desiderio di rivoluzione ha tanto animato i diari di Cobain e anche dai testi dei Nirvana emerge un Kurt interessante. Relativamente alla cronaca del suo tempo e partendo dai suoi testi (come esegeti biblici) vediamo come lui viva in opposizione dialettica (hegeliana, direbbero i dotti) rispetto alla generazione di Woodstock, agli hippie: retaggio psichiatrico, certo, odio dei genitori sessantottini eccetera eccetera. Kurt fu però un rivoluzionario del suo tempo, con ben pochi idoli e icone del passato, a eccezione dei Beatles. Lou Reed cantava ‘Kill your sons’, lui (come abbiamo visto) ha virato su ‘Kill your friends’. Nelle liriche di Kurt ci sono molte altre chicche: ad esempio ricorre poche volte la parola ‘Love’… appare, in Nevermind, solo in ‘Lithium’, canzone che parla di disperazione, e in ‘On a Plain’. In ‘Bleach’ è presente solo su ‘Love Buzz’: che peraltro è una cover. Dal canzoniere dei Nirvana emerge un Kurt che a volte propone tre significati per canzone… pensa a ‘On a Plain’. L’ultimo messaggio è: cancellare le parole che non hanno senso… ma allora il senso qual è?”.

KURT COBAIN, PETRARCA, MONTALE, BRET EASTON ELLIS.

“Kurt Cobain, come direbbero i critici accademici, ‘fa sistema’ con la propria poesia e si commenta con se stesso e con le proprie parole: forse più di Nick Drake. Dentro Cobain c’è una stella, una stella implosa. C’è il privato, il one to one, ci sono i sentimenti elementari, basici: nella sua poetica si muovono delle monadi. I suoi sono canti primitivi rivestiti di feedback, melodie molto elementari, però con un minimo comune multiplo… dov’è l’artificio? Nello scarto: che fa molto ‘pop art’. Non ‘Love Me’ bensì ‘Rape Me’; ‘It’s Fun To Lose And To Pretend’ anziché ‘Let’s start A Revolution’ o cose simili. Kurt, grande conoscitore di tutti i topoi, li inverte e li reinventa di continuo, per questo si avvicina al blues e ai canti dei primitivi: invecchierà bene. Nelle sue parole ci sono i bisogni radicali ed essenziali dell’essere umano, a partire dalle funzioni fisiologiche. Tutto questo deriva da Burroughs? Anche. Ma l’origine è Kurt. Emerge un Cobain che sa trattare da vero poeta le proprie ‘collezioni di versi’: il placement delle canzoni è estremamente curato. Allora, da un certo punto di vista non c’è la minima differenza in valore assoluto tra ‘Bleach’ e ‘Ossi di seppia’. Kurt, così perfettamente consapevole dei propri mezzi, lo avvicino a certi scrittori americani come Bret Easton Ellis, che trasformano se stessi in fiction. Perché? Perché ad esempio su ‘In Utero’ riflette e trasfigura gli ultimi sei mesi della propria vita e li rende oggetto della sua arte. Tredici anni più tardi Bret Easton Ellis ha fatto la stessa cosa: si chiama ‘Lunar park’. Penso poi a canzoni come ‘Heart Shaped Box’, ‘Rape Me’, ma anche ‘Radio Friendly Unit Shifter’ e ‘Tourette’, che sono traa le poche liriche veramente scritte in vista del ‘difficile terzo album’. Kurt Cobain utilizza se stesso come fictional character per diventare oggetto di poesia: se fossimo all’università americana, queste cose sarebbero dentro a un programma d’esame”.

ALTRE CHICCHE SU KILL YOUR FRIENDS.

“Quando uscì il commento di Editori Riuniti non si potevano ancora mettere in relazione i testi di Kurt Cobain con i contenuti dei suoi ‘Diari’, pubblicati solo successivamente: tra l’altro, quel testo non mette in relazione i passi delle liriche con le interviste (in lingua originale) rilasciate da Cobain. Citare le interviste non vuol dire copiare; è come quando io commento le poesie di Montale e le affianco alle lettere a Gianfranco Contini: non è vietato, è vivamente consigliato, perché gli artisti che parlano (anche due depistatori provetti come Cobain e Montale) sono artisti che stanno offrendo chiavi di interpretazione. Se io faccio notare che Kurt parlava di Aberdeen nell’intervista X e che quest’ultima si può accostare al pezzo Y, io sto già facendo critica. Nel senso: non dobbiamo pensare che possiamo fare accostamenti di questo genere soltanto per la Lettera sul Romanticismo di Alessandro Manzoni. Nel caso di ‘Heart Shaped Box’, nel libro si avvia un commento fascinoso in cui si mostra che una parola come COMPLAINT non è spesa a caso. Viene dai diari e dalle interviste: ben prima della canzone, leggete e fateci sapere. Noi ci siamo schierati. Quando Cobain dice (in ‘Rape Me’) ‘stink and burn’: ma il distico appartiene a sua moglie Courtney Love nonché, probabilmente, è probabile retaggio di cultura bigotta cristiana statunitense: nell’Apocalisse chi verrà gettato nel fuoco finirà per stink and burn. Stessa cosa per ‘appreciate your concern’. Si scopre che un giornale scandalistico inglese riportando i bollettini dell’ospedale durante il ricovero di sua moglie denunciava la presunta ritrosia dello staff medico ‘concerned’… poesia allora è poiesis: fare, creare e Kurt ne faceva a partire da qualsiasi momento della sua quotidianità. Riciclava in arte ogni momento della sua vita.

COME VORRESTI FOSSE LA CRITICA ROCK IN ITALIA?

“Non posso volere niente. Posso dire quello che mi piace. Per prima cosa, la più lieve: mi piacerebbe che ‘pasticciasse’ con la psicologia, va bene anche in maniera cauta. Parlate poco del look e più della psicologia, perché ci sono determinati simboli e determinati concetti (avversario, donna, demone, bianco, nero, ombra) che appaiono in tutte le liriche rock, dai Rolling Stones ai Coldplay. Quindi, una cosa meno lieve: mi piacerebbe che ci fosse più cultura folk, più conoscenza delle radici e dei miti, più antropologia. E non è vero che è ‘roba da vecchi’: andate a leggere il commento che ha scritto Paola De Angelis alla canzone ‘Pink Moon’, nel libro su Nick Drake e realizzerete cosa significa quel che intendo per ‘aprire il gioco’. La luna rosa esiste soltanto per gli indiani d’America, è una cosa bizzarra che confina con la pazzia…

Infine, la cosa a cui tengo di più: mi piacerebbe che tutti i critici rock italiani leggessero almeno una volta tutta la Bibbia. E mica per andare a dire le preghiere (chi sono io per dirlo?) ma per un altro motivo. È vero che noi siamo in Italia e quindi il nostro substrato culturale non nasce esclusivamente dalla Bibbia e che ha forti punti di contatto anche con la saggezza popolare e le fiabe: molti nostri proverbi e modi di dire arrivano da lì. Ma in area anglosassone la faccenda si complica parecchio: spesso la Bibbia diventa la fonte primaria, non soltanto per i proverbi ma anche per gli esempi di vita e per costruire paragoni (persino i gruppi di heavy metal satanico si riferiscono alla Bibbia, in qualche bizzarro ma rispettabilissimo modo). Nel momento in cui Jeff Buckley dice, in ‘Grace’, ‘My Time Has Come’, è probabile che stia riattualizzando quanto aveva pronunciato Gesù nel Getsemani. Leggere la Bibbia, in questo caso, significa ‘allargare il gioco’ e capire una cultura”.

HAI UNA RIVISTA O UNA WEBZINE ROCK DI RIFERIMENTO?

“Non voglio scontentare nessuno e dico soltanto che le rispetto tutte. Soprattutto quelle che parlano male di Arcana, perché spesso fanno vedere che almeno hanno letto le nostre pubblicazioni e ci hanno speso sopra un po’ di tempo. E il tempo è prezioso: comunque”.

QUALI SONO LE COLLANE o GLI EDITORI ITALIANI CHE PIU’ APPREZZI?

“Il mio sogno erotico sono ‘I Millenni’ Einaudi. Per il resto lascio stare: tutti buoni e tutti cattivi, preferisco dirlo in privato e cercare di non offendere nessuno (siamo tutti qua a lavorare). Perché non importa il cosa, importa invece il come: a me piace chi ha una linea e la linea significa personalità. Ecco perché ammiro molto il ‘Killer in the Sun’ di Colombati su Springsteen: è un libro che ha una linea, che dice qualcosa, dice ‘sto da una parte e mi schiero’, ti spiego perché il Boss (e non Pynchon) ha scritto il Grande Romanzo Americano. Schierarsi è liberatorio. Una volta che ti sei schierato, ti stai anche divertendo: il gioco, l’hai già aperto.

Andare in giro nudi o vestiti normali, quindi… che importa? La cosa essenziale è il come: mostrare ciò che si è e qualcuno, quando diceva ‘Come as you are’, l’aveva già capito molto bene. Sembra facile ma non lo è: anche in Arcana si lavora tutto il giorno, tutti i giorni, per rivendicare un modo di ‘dire la nostra’”.

COSA SIGNIFICA ESSERE UN EDITOR? COME LAVORA UN EDITOR?

“Un editor lavora col culo. Traduzione: ringrazia di averlo avuto e sa che se lo deve fare. Fondamentalmente è questo. In concreto, non hanno torto quando dicono che l’editor è uno scrittore frustrato. Ma diamo anche un colpo alla botte: non hanno tutti i torti alcuni editor, quando fanno notare che dietro ogni grande scrittore c’è un grande editor.

Fare l’editor vuol dire non far vincere né l’autore né l’editor: chi deve vincere veramente è il libro. L’editor ha una grande colpa e un grande privilegio. Colpa: le mani in pasta ce le deve mettere e a volte può sbagliare. Privilegio: è seduto sull’orlo d’un baratro e vede sia ciò che c’è di qua, sia ciò che c’è di là. Nessun altro, a parte l’autore e gli amici che ringrazia nelle prime o ultime pagine del libro (dipende dalle norme redazionali), ha così tante diottrie editoriali.

Significa sapere già all’inizio di dover stare nelle retrovie. Significa sapere dall’inizio di non avere paura dell’autore: meglio litigare cento volte e poi vedere un libro in cui anche la casa editrice si riconosce (nella maggior parte dei casi è il principale finanziatore del libro: ricordiamocelo), piuttosto che cercare il quieto vivere e accettare un’opera dignitosa ma senza nerbo. Preferisco prendere una posizione… io odio la medietas: così, quando l’editore mi concede il supremo privilegio di scrivere le quarte di copertina – altrimenti dette ‘bandelle’ – io cerco di parlare con l’area vitalistico-istintuale e (perché no?) erotica del cervello, cerco di parlare con i pensieri nascosti di qualunque fan. Parte è empatia, parte piacionata, parte rivelazione di quel che noi non abbiamo il coraggio di dirci. Non chiedo ‘per piacere’ a lettori che non hanno intenzione di sentirselo dire. Molto meglio attaccare il jack e cominciare a suonare, a picchiare duro”.

DISCHI E BAND DI RIFERIMENTO…

“Io nasco metallaro, con la specifica ‘metallaro dentro’: negli anni Ottanta c’erano quelli che si vestivano e non si vestivano da metallari. Io ero tra i secondi. Dopodiché, mi sono interessato al resto… Ecco i dischi, quelli belli dall’inizio alla fine: Blood on the Tracks di Bob Dylan; Automatic for the people dei REM; Appetite for Destruction dei Guns; In A Silent Way di Miles Davis; On The Beach di Neil Young; What’s Going On di Marvin Gaye; Transa di Caetano Veloso; Graceland di Paul Simon; Kid A dei Radiohead; Physical Graffiti dei Led Zeppelin; Unforgettable Fire degli U2; Nebraska di Bruce Springsteen; The Queen is Dead degli SMITHS. E poi Steve McQueen dei Prefab Sprout, Endtroducing di DJ Shadow e bla bla bla…”

CARTA BIANCA: SALUTA IL VOSTRO PUBBLICO, I VOSTRI AUTORI E I TUOI COLLEGHI. DI’ TUTTO QUELLO CHE VUOI.

“Spero di aver passato l’audizione”.

Grazie infinite al caro Stefano Scalich. Lunga vita al rock’n’roll.

Gianfranco Franchi, fine gennaio-febbraio 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.