Radiator

Radiator Book Cover Radiator
Jan Sonnergaard
Pendragon
2003
9788883421570

L’ambizione di Jan Sonnergaard è quella di bruciare. Bruciare la plastica delle rappresentazioni della società danese, e del sistema occidentale: demistificare convenzioni e luoghi comuni e irridere la bolsa retorica delle argomentazioni mediatiche, incrinare gli specchi deformanti e graffiare via il lucido dalle loro cornici. Tradurre in letteratura la lezione cinematografica di Lars von Trier, o di Thomas Vinterberg: stabilire, indubitabilmente, che c’è del marcio, e che quel marcio va illustrato e raccontato. Perché si possa vedere la realtà, se non come essa è – impresa questa che giudicava disperata anche Paolo di Tarso (“Videmus nunc per speculum in aenigmate”)  – almeno “anche” per come è.

Radiator” è il primo volume di una trilogia dedicata alla società danese contemporanea. È legato alle problematiche delle classi più disagiate: il secondo, “L’ultima domenica di Ottobre” è dedicato alle vicende della classe media, l’ultimo, “Ho ancora paura di Caspar Michael Petersen”, all’alta società.

Radiator è strutturato in tre parti, suddivise rispettivamente in 3+4+3 racconti, che sembrano esser stati assemblati rispettando un solo criterio: la fascia d’età dei protagonisti d’ogni singolo racconto (adolescenti, “post-adolescenti” e adulti “più maturi”). Protagonista è l’umanità che fatica a conquistare spazio, per varie ragioni, nelle cronache e nei pamphlet propagandistici: infelici, disoccupati, teppisti per noia, poveri o prevaricati. Si va così da un racconto dal retrogusto gotico come “Il ragazzo nell’armadio”, torbida vicenda dell’educazione sentimentale d’un ingenuo giovanotto che divide la sua compagna con un decrepito docente universitario, a una prosa discretamente burgessiana come “Il grande furto”, in cui un branco di ventenni, tra una rapina e l’altra, picchia, provoca e umilia cittadini d’ogni età, fino a concludere la giornata brava in un ristorante di grido, chiara metafora dell’insofferenza nei confronti dell’ostentazione della ricchezza e del benessere d’una parte della società – ricchezza e benessere che altro non si rivelano che avidità.

Gli esiti più felici del libro si riconoscono nei racconti “Discount” e “Sesso”. Discount è la storia di un disoccupato, costretto da sei anni a vivere ai margini del sistema in attesa d’una almeno accettabile occasione lavorativa: e il suo malessere, e le difficoltà della sua condizione, vengono esemplificati dalla costrizione a servirsi presso un discount, nutrendosi degli scarti e degli avanzi dei borghesi senza nessun entusiasmo per il risparmio – che, nel suo caso, è obbligato. La società dei consumi ha senso laddove esista possibilità di scelta tra un prodotto e un altro: non dove l’unica possibilità è la peggiore.

Vive in un appartamento “disgustoso, deprimente, sporco” (p. 113) “piccolo e schifoso” (p. 114), ed è infastidito dalla forzata trasandatezza della sua estetica: sembra soffrire poi d’una fame che non può non ricordare quella del viandante di Cristiania, protagonista del capolavoro di Knut Hamsun: altra figura emarginata o estraniata dal sistema, ipersensibile e dotata d’una profondità di sguardo non comune.

Così, insomma, andai nell’agenzia della Bikuben per ritirare i miei ultimissimi soldi, e mentre aspettavo pazientemente e ordinatamente dietro alla ‘linea di discrezione’ mi sentii di nuovo ribollire dentro, e sentii di essere proprio ciò che tutti gli altri pensano io sia, cioè un disadattato. Lo sguardo degli altri gira senza sosta, ti giudica e ti mette in delle caselline, e per uno come me il segno distintivo è uno solo, e cioè che sono disoccupato. Accertato questo è del tutto indifferente stare a indagare se per caso io sia anche qualcos’altro. Non provano mai, per così dire, a controllare se per caso sotto la misera facciata sociale non si nasconda anche un individuo di qualche sorta” (p. 114).

Al termine del racconto, il protagonista tenta l’ultima evasione dalla realtà fumando uno spinello: non sembra esserci più gioia nemmeno nel piccolo paradiso artificiale della droga, perché gli tornano in mente sentimenti e sensazioni delle prime fumate, e ancora crepitano i sogni diventati illusioni. L’attesa alterazione della realtà tarda a presentarsi: e, a notte, quando esce in strada per una passeggiata, guardando un giardino di Copenaghen pensa alla sabbia del Sahara.

Sesso” è una breve prosa, concentrata sull’incontro tra due ragazzi in un locale, a tarda notte. Quella che verrebbe dipinta altrove come un’occasione di puro divertimento o di dissolutezza, appare in questo frangente come l’unione tra due infelici, che cercano non quiete e soddisfazione, ma riparo e consolazione. Sono giovani vecchi, disperati e isolati. Non fanno che mentirsi.

Pietà per la rapita giovinezza, e per l’incomunicabilità che affligge una generazione: “Era talmente chiaro. Era infelice, e anche se non lo diceva espressamente non dubitai nemmeno per un secondo che la sua vita fosse una lunghissima serie di sconfitte, di progetti arenati e relazioni di breve durata, e non era per niente impensabile che quel suo ex fosse una creatura della fantasia. Però, anche se tutto era tanto tragico che quasi diventava risibile, continuavo comunque a pensare che fosse carina, e la cosa non mi piaceva, e quando mi chiese di che mi occupavo mi inventai una bella storiella, così quando la mattina presto si sarebbe risvegliata con il mal di testa non le sarebbe venuto da vergognarsi. Le mentii dritto negli occhi, e poi la invitai a dire ancora qualcosa di sé”. (p. 67)

Da segnalare, infine, due splendide descrizioni dell’annullamento dell’io, e dell’epifania del niente, nell’atipica ghost story postmoderna “Charlotte” (a p. 81) e nell’allucinato “Addio al celibato” (a p. 59).

Sonnergaard è uno scrittore esordiente di talento, capace di rappresentare i diversi, gli emarginati e gli oppressi con intelligenza e sottigliezza: non è un caso, allora, che in tre diverse circostanze appaiano personaggi spettrali, e che la narrazione sia contaminata dalle suggestioni del gotico. Scrivere di chi è invisibile implica il dubbio sulla natura dell’invisibilità.

Dai “quasi adatti” di Høeg, ai disadattati di Sonnergaard, attraverso gli idioti di von Trier, l’impressione è quella d’una generazione d’artisti danesi destinati a rappresentare contraddizioni, inquietudini e precarietà del nostro tempo: segnati da sarcasmo, diffidenza e amarezza, uncinati al sogno d’una società più giusta, e alla ricerca d’un sentiero esistenziale che prometta la sconfitta dell’infelicità: integrazione, partecipazione, adesione. Un altro mondo è possibile. Basta dubitare, come Candido, che questo sia il migliore dei mondi possibili. A questo punto, al lettore non rimane che attendere la pubblicazione integrale della trilogia: se questo è il primo passo, è lecito attendersi grande letteratura.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Jan Sonnergaard (Copenaghen, 1963), giornalista e scrittore danese. Collabora al quotidiano “Politiken”.

Jan Sonnergaard, “Radiator”, Pendragon, Bologna, 2003. Traduzione di Paolo Borioni.

Prima edizione: “Radiator”, Gyldendal, Copenaghen, 1997.

Gianfranco Franchi, marzo 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.