Quando la fantasia ballava il “boogie”

Quando la fantasia ballava il "boogie" Book Cover Quando la fantasia ballava il "boogie"
Goffredo Parise
Adelphi
2005
9788845919732

Silvio Perrella è il curatore d'eccezione di questa scelta di quarantatre scritti saggistici di Goffredo Parise, pubblicata da Adelphi nel 2005. Criterio principe, al di là dell'ordine cronologico (1957-1986, eccetto l'ultimo articolo), è questo: “Ho tenuto al centro la letteratura, con qualche puntata verso la musica e l'arte figurativa. Mi ha guidato il saggio che conclude il volume e che gli dà il titolo. Si tratta del discorso che Parise tenne a Padova nel 1986, l'anno della sua morte, in occasione del conferimento della laurea ad honorem. È come se fosse il suo testamento culturale” (p. 227). Sì, ha quel respiro. Ma è tutto questo libro che ha quel respiro, forse inconsciamente. Perché è una stupenda, commovente e romantica galleria di letterati italiani mai abbastanza studiati, interiorizzati, ristampati e riletti; della loro umanità, e del loro ingegno. È uno sguardo al cuore delle patrie lettere di quegli anni, nella prospettiva d'uno che sapeva d'essere parte d'una nuova generazione, assieme a Calvino e Pasolini, e già rimpiangeva e glorificava quella precedente. Ma non per complesso d'inferiorità; per umanità, per gentilezza, per giusta e sacrosanta volontà di raccogliere il testimone dei grandi precedessori. In ogni caso: tra le propensioni principe fissate da Parise nell'opera, spiega il curatore, l'assimilazione della poesia in prosa (come nei “Sillabari”, poesie in prosa) e la predominanza del subconscio, e della fantasia, sul conscio, cioè sullo storico. Perrella scrive che Parise “mira a restituire le verità meno in vista dei libri e degli scrittori. Quella verità che va cercata e rivelata ogni volta come se fosse la prima, come se per la prima volta si avesse un libro davanti agli occhi” (p. 230). Come se – per la prima volta – si avesse un libro davanti – agli occhi.

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Entriamo nel testo. Il primo pezzo è “Variazioni”, grande omaggio a Giovanni Comisso (1895–1969), trevisano, “molto più vecchio d'anni e molto più artista di me”. Parise scrive che Comisso è uno di quegli uomini che nessuno può odiare, se non per invidia e per superbia. È un egoista innocuo, un provinciale cosmopolita, gran viaggiatore mangiato vivo dalla nostalgia dei viaggi, pessimo amministratore. Il suo volto rimane scolpito da queste parole: “Le sopracciglia scure e folte, gli occhi brillanti e belli, la bocca allo stesso modo fresca sensuale e ingenua: solo i capelli erano diventati bianchi, a dare il senso, se non della sua età, certo degli anni passati dal tempo di quella fotografia” (p. 15). Una fotografia scattata in Oriente.

Più avanti, in “È stato l'ultimo ad amare la vita”, Parise piange la morte della “più originale e stralunata personalità di artista italiano in questi anni di gestione impiegatizia. Solo De Pisis gli assomigliava” (p. 51). E descrive, con commozione e malinconia, il suo ultimo incontro col grande Comisso. Parise era così addolorato e spaventato che uscendo dall'ospedale si perse per strada, e si ritrovò a osservare una sfilata di uffici deserti. Col pavimento lucido.

Altrove, in “Quel lieve sogno detto Comisso”, canta quel “fenomeno vivente decisamente unico”, che “innamorò di sé uomini e donne”, canta la “leggerezza animale e vegetale della sua prosa”, della grande dedizione ai suoi scritti di casa Longanesi. Nei “Lampi creativi di Comisso” Parise scrive d'un amico pazzo, della pazzia dell'arte. “La pazzia di Comisso” - gioca - “era la sua arte, anzi per meglio dire il suo stile. Ma tutto avveniva con una rapidità di un fenomeno naturale, con il guizzo e poi il tuono di un lampo nella sua mente a contatto con le ghiaie infuocate del Piave e l'acqua gelida dei rivoli che vi scorrono color turchese come in forma di capillari nel suo grande letto. Oppure con l'odore di un'erba o la forma di una nuvola o il sublime mare dell'Istria nel suo soffiare di polvere marina contro le prode rocciose avvolte in quella spuma blu e bianca” (p. 144).

Ecco un “Incontro con Longanesi”. “Un poco bizzoso, ma vero artista”, come aveva preannunciato Prezzolini al giovane Parise, in cerca di fortuna nelle nebbie di Milano. Longanesi paga 8mila lire un suo racconto (“L'aceto sulle ferite”) e inonda di libri da studiare il ragazzotto. Gioca a fare il mentore, con la classe e l'umanità di sempre, ma poi gli rifiuta “Il prete bello”: perché giudica i precedenti 'veristici' trasfigurati nell'opera una concessione alla moda del tempo – meglio, di qualche tempo prima. E poi perché “in questi tempi di misticismo il Suo prete seduttore a me piace moltissimo e non intendo affatto condannarlo”. Ne deriva qualche equivoco, ma si sente che Parise è profondamente riconoscente, soprattutto per il gran consiglio di non andare là dove fischia forte il vento.

Piovene è protagonista di “Un sogno improbabile”. Parise era molto amico del suo conterraneo, e molto affascinato dai suoi scritti. Dopo aver letto “Le furie”, sognò Vicenza deserta. Deserta perché Guido, vestito in abiti settecenteschi, “bruciacchiati e malconci, con furiosa allegria attizzava e alimentava il fuoco introducendo nella voragine incandescente, senza alcuna fatica, delle bare ammucchiate lì accanto”. Ciò che stava bruciando era la vicentinità: una infaticabile e monomaniaca aspirazione al perfetto. Parise evidenzia con gioia la suprema estraneità alle scuole, alle accademie e alle mode del suo amico Piovene; la sua distanza dalla tradizione romanzesca italiana; il suo mitteleuropeismo.

Piovene muore e Parise lo commemora in “Era un italiano non italiano”: raccontando della sua passione per il giornalismo, magnificamente sintetizzata nel suo “De America”; della sua narrativa, destinata a restare nel tempo almeno per le “Lettere di una novizia” (“ultimo degli scrittori illuministi”); della sua scarsa italianità, nelle parole e nello stile, e della sua grande generosità.

Eugenio Montale appare nel “Senatore Arsenio”. Parise scrive che Montale è un unicum biologico. Non solo un grande poeta, della povertà, del dolore, dell'allegria e della vanità. Un artista pieno di senso di humour (non umorismo: qualcosa di mefistofelico e quasi allegro, inafferrabile), predestinato riconosciuto istantaneamente dal grande Bobi Bazlen: “Cammina a passettini brevi, rapidi e incerti, il cuore in gola. Da sempre dai vent'anni è stato così, mi diceva Bazlen, che gli mandò una fotografia di due gambe di donna e il grande Arsenio scrisse 'Dora Markus'. Se deve sollevare un bicchiere lo fa con tutte e due le mani per paura che il bicchiere gli cada” (p. 44).

Parise va a trovarlo, già che è stato nominato Senatore, e va a domandargli notizie. Subito Montale chiede di Gadda (“sta sempre chiuso in casa”), poi racconta d'essere stato Azionista e di aver rifiutato tessera politica per non sottostare agli ordini di un certo partito. Muore Montale, e Parise scrive un “Ricordo”, completo dell'ultimo incontro. “Era come rimpicciolito, un fazzoletto di lino appallottolato in un angolo, senza dentiera, si lagnava che questa gli procurava dei dolori tremendi: ma l'occhio perlaceo era quello di sempre, unico, ironico, irresistibile. Ancora fumava” (p. 135). Pensando all'aldilà, diceva, a denti stretti: “Forse diventi una foglia”.

Natalia Ginzburg è descritta, in “Natalia e lo stile”, come una che ha temperamento, forza, facciata e corpo e modo di parlare che coincide con lo stile. Parise esalta il suo “Caro Michele”, campione di ebraismo e di personalità autoriale.

Molto belle le pagine dedicate a Gadda, Somerset Maugham (“da quarant'anni rileggo SM con interruzioni più o meno lunghe”), Stevenson (“Viaggio in canoa sui fiumi del Belgio e della Francia” è un totem per Parise), Simenon (“Le finestre di fronte” capolavoro) Tanizaki (“Croce buddista”) e Kawabata (“La casa delle belle addormentate”).

Non manca il (grande) cinema. Truffaut e il suo “L'enfant sauvage” sono protagonisti del “Ragazzo selvaggio”, tratto da un libro di Jean Itard che Parise punta e consegna in casa Longanesi, per la collana “Olimpia” di Domenico Naldini. Nanni Moretti, “giovanissimo autore quasi esordiente”, è celebrato per il suo “Ecce Bombo”, film notevole non per il suo realismo, ma per la sua “aria di realtà” (p. 108). Marylin Monroe è raccontata attraverso l'incontro con lei e con Capote, Fassbinder per la stupida censura di “Querelle”.

Che dire? Formidabile. Formidabile anche nelle staffilate ai marxisti e all'assurda pretesa dell'egemonia culturale dell'epoca; con poche battute, e negligenza signorile, il gran Parise prendeva e sgretolava la gran cazzata dell'ideologia. Ma non adesso – troppo facile, adesso, forse – allora: nel momento. Quando per molto meno si spariva dalla circolazione editoriale, e dalle rassegne stampa di certe testate. Grande.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Goffredo Parise (Vicenza, 1929 – Treviso, 1986), scrittore, sceneggiatore e giornalista italiano.

Goffredo Parise, “Quando la fantasia ballava il 'boogie'”, Adelphi, Milano 2005. Collana Biblioteca Adelphi, 475. A cura di Silvio Perrella.

Prima edizione: Testi apparsi in varie sedi tra 1957 e 1986; per le fonti cfr. pp. 237-240.

Approfondimento in rete: WIKI it / Casa di Cultura Goffredo Parise 
Gianfranco Franchi, febbraio 2010

Prima pubblicazione: Lankelot.

Stupenda, commovente e romantica galleria di letterati italiani mai abbastanza studiati, interiorizzati, ristampati e riletti; della loro umanità, e del loro ingegno…