Prima di perderti

Prima di perderti Book Cover Prima di perderti
Tommaso Giagni
Einaudi
2016
9788806228477

Perché non si può accettare l'idea che i padri possano togliersi di mezzo da soli?” - si domanda il protagonista del secondo romanzo di Tommaso Giagni, il trentenne Fausto. La risposta è complessa. Forse perché le ombre non possono sparire. Forse perché basta cercarli, o basta evocarli, questi padri, per farli tornare. Forse perché non c'è figlio che possa compiutamente azzerare l'autorità del padre; è possibile certo abiurarla, è possibile prenderne le distanze, non è proprio possibile cancellarla. Sta di fatto che Fausto è uno che si ritrova a sperimentare un episodio di necromanzia – il fantasma di suo padre risorge dalle sue ceneri, e pretende un confronto: questo libro è la cronaca del loro duello – e da questo incontro-scontro onirico, simbolico e generazionale derivano e discendono pagine di sempre meno velleitario autodafé e infine quella che appare come una morale della favola. Torbida, ma grondante sentimento. Non ve la dico. Torniamo indietro.

All'ultima manciata che tocca il terreno, s'alza svelta, come un rimbalzo, violentissima, una colonna di luce. Fausto arretra d'un paio di passi, accecato […]. E non appena lo sfolgorio dissolve, si trova davanti il padre” [p. 20]: è un padre scrittore di discreto successo commerciale e nullo spessore artistico, morto suicida si direbbe per insoddisfazione cronica o per clamorosa estenuazione (saturazione), ex Settantasette pieno di nostalgia per la rivoluzione e per l'intensità irripetibile della fede, extraparlamentare inquieto, marito separato; è un padre che s'è buttato di sotto perché si sentiva terminato (voleva terminare). Fausto invece è un giovane scrittore di notevole fortuna commerciale e probabile discreto spessore artistico, uno che non si stanca di distinguersi e di sofisticarsi, un bravo ragazzo dal “fascino oscuro” che scrive di reietti, di vicoli e di vicende nere firmandosi con un cognome diverso dal padre, “Ginestra”, orgoglioso davvero d'aver capito che “si eredita solo la meccanica dell'apparato visivo: lo sguardo è qualcosa di proprio” [p. 12].

Fausto abita in un piccolo appartamento sulla Tuscolana, lontana periferia di Roma, 15 km più a sud-est del padre; il padre, prima di diventare un “fantasma consistente”, era uno che invece se ne stava tranquillo dalle parti di Monte Mario, a Roma Nord, ad aspettare che finisse tutto quanto e a fare finta di scrivere il libro della vita, per un bel pezzo. Il padre morto viene evocato in un contesto fantaperiferico, quello del Pratone dalle parti della discarica di Malagrotta: siamo in uno degli esecrabili confini remoti della Roma dell'epoca nostra, in un “ritaglio desolato fra cantieri che tirano su villette a schiera […]. Gru, ponteggi, furgoni, cessi chimici, distingue qua e là mentre apre il bauletto. Dal lato est, sotto il grigio delle nuvole abbracciate al buio, la prima luce inizia a tingere le cose” [pp. 16-17]. E il colore di quella prima luce diventa abbacinante, e mefitico. E il contesto diventa, forse incredibilmente, molto teatrale. Soprattutto perché si cede all'allucinazione pura: il confronto padre-figlio è un duello con testimoni cangianti; le prime testimoni sono la mamma, cioè l'ex moglie del suicida, e l'ex fidanzata di Fausto, già “Miss Primavalle” (altra borgata romana, detta “La montagna der sapone”). E sono due testimoni in carne e ossa che credono ai fantasmi e credono a tutto ciò che vedono – sono marionette di uno strano teatrino – e non hanno paura di rappresentare due fallimenti diversi di due diverse strade.

Prima di perderti” [Einaudi, 2016; euro 16,50, pp. 148; collana “Stile Libero”] è un'opera seconda che mantiene parte delle promesse già espresse all'altezza del davvero apprezzabile “L'estraneo” [Einaudi, 2012]: vale a dire che ribadisce, in Giagni, una netta sensibilità per il territorio e per le periferie romane, un rapporto artistico e intellettuale vivo e pieno di contrasti con ciò che rimane dell'Eterna nella sua semi-catastrofica e fanta-cementifica metamorfosi novecentesca, una certa cura dei dialoghi e una coscienza politica forse ancora provvisoriamente inesplorata; anni fa, scrivendo del suo esordio e pensando a ciò che poteva diventare Giagni, avevo scritto che nel libro successivo mi aspettavo descrizioni sintetiche e liriche, e spesso devo dire che ne ho trovate (addirittura ha rischiato la descrizione di una necromanzia, en passant: riuscendo); mi aspettavo lealtà al territorio, e sono stato accontentato (fino al parossismo: Giagni è stato fegatoso ed è andato là dove Roma sconfina nella mostruosità, restando in qualche sconcertante misura Roma); infine, scrivevo che mi aspettavo qualcosa di tecnicamente diverso da un romanzo. Intendevo dire, a suo tempo, che mi aspettavo un saggio-romanzo, forse una biografia che si rivelasse omaggio a un territorio o qualcosa del genere, e invece sono rimasto spiazzato: questo “Prima di perderti” è narrativa che somiglia parecchio al teatro, e forse nel teatro si dovrebbe (si potrebbe, facilmente) convertire. Onestamente considero molto impropri, se non direttamente inaccettabili, i due accostamenti alla “tragedia shakespeariana” e al fantasma dell' “Amleto” sparati in quarta di copertina con sconcertante leggerezza: rischiano di essere fuorvianti e di compromettere l'esperienza estetica di chi s'avvicina a Giagni per la prima volta, senza aver letto “L'estraneo” e senza avere le idee chiare su cosa attendersi, e deve raccapezzarsi nei suoi riferimenti, a volte alti o altissimi altre volte proprio rasoterra. Invece credo che questo libro stia bene nella nostra epoca, e non abbia senso e anzi sia cattivo tormentargli il collo ripiegandolo così tanto indietro; credo che possa fare la gioia di quelle sperimentazioni teatrali molto astratte, molto difficili e molto simboliche ambientate in ruderi industriali o giù di lì, e credo che serva anche ad animare un dibattito politico mica da ridere sull'eredità e sulla portata del Settantasette e sul passaggio di consegne, solo parzialmente e marginalmente fallito, certe volte, tra una generazione e l'altra; e su cosa sia diventata questa città malata di ipertrofia e di illegalità, e su cosa possa diventare ancora. Sulla “sensibilità”, in genere.

Detto ciò, non posso non segnalare che prima di questo romanzo Tommaso Giagni aveva scritto un pezzo bellissimo sul rapporto padre-figlio in un contesto inatteso, ingentilito dal suo intervento: mi riferisco a una rivista di calcio, “L'ultimo uomo”. Il pezzo racconta il mancato (o quasi: e comunque irrisolto, e non lineare) passaggio di consegne tra Bruno Conti e Daniele Conti, si chiama “L'ombra del padre” e a livello filologico è da considerare una primizia, a questo punto. A partire dal titolo, decisamente infestante; sprofondateci dentro prima di leggere “Prima di perderti”. È un pezzo che dovrebbe, almeno questo è il mio auspicio, andare un giorno a far parte di una raccolta di scritti (apparentemente) pallonari di Tommaso Giagni, in una galleria pseudopop e ogni tanto rasoterra e in realtà a volte capace di esiti altissimi e pieni di sentimento, e periodicamente molto leali al territorio. Questo per confermare che siamo di fronte a un autore e che dobbiamo cominciare a prendergli le misure; perché autore si rivela anche nella scrittura “minore”, e senza difficoltà; questo per ribadire che per me più Giagni si radica a Roma e più restituisce qualcosa di verace e forse di nuovo; che probabilmente nei suoi giochi di specchi s'è nascosto sia in suo padre sia nel suo alter ego, e questo non soltanto in questo libro, e questo qualcosa vorrà dire. Forse qualcosa di nuovo – forse no. Qualcosa di riconoscibile, certamente, sì.

Gianfranco Franchi, monteverde, ottobre 2016

“Perché non si può accettare l’idea che i padri possano togliersi di mezzo da soli?” – si domanda il protagonista del secondo romanzo di Tommaso Giagni, il trentenne Fausto. La risposta è complessa. Forse perché le ombre non possono sparire…