Per pura ingratitudine

Per pura ingratitudine Book Cover Per pura ingratitudine
Oreste Del Buono
ISBN Edizioni
2010
9788876381539

Milano, fine anni Cinquanta. Per ripetuti flussi di coscienza e per serrati dialoghi, per sperimentali ombelicali angosce ed esistenziali e borghesi rimorsi, per bizzosi cambi di prospettiva e di punto di vista e incresciosi e velleitari sentimentalismi, Oreste Del Buono dava vita al suo quarto libro di narrativa: “Per pura ingratitudine” (Feltrinelli, 1961) andava assemblando, in tre atti, la contrastata vicenda d'un letterato fallito o giù di lì che viveva storie extraconiugali con una certa incresciosa intensità, e una certa dedizione. A cinquant'anni di distanza mi sembra che abbia perduto in freschezza, e in coraggio; quanto poteva pesare in una società bigotta, un libro come questo, noi non riusciamo neanche a immaginarlo. Peccato. Compromette l'esperienza estetica.

Parte prima. Giulia. È la ex del narratore. Sono stati ragazzi insieme. È milanese, ma da qualche anno vive a Roma. Da quando vive a Roma non si sono incontrati più. Sette anni. “Eravamo ragazzi, pensavo, sì, lo siamo stati veramente, l'ho conosciuta nel trentatré ed è il cinquantaquattro, ventun'anni fa. Quante cianfrusaglie nel baule della memoria [...]” [p. 562].

S'è sposata, ha avuto un altro. S'è sposato, ha avuto una figlia. Finiscono a mangiare assieme. Si raccontano un sacco di cose. Arriva l'impazienza. Sta per succedere qualcosa. Scrupoli pochini. Rimorsi flebili: menzogne tante. Reciproche, universali.

Parte seconda. Qualche anno più tardi. Momentaneamente lontano da Milano. La nuova avventura si chiama Grazia. È la nuova amante del narratore. Ha dieci anni meno di lui. È tanto bella che c'è qualcosa di eccessivo, nella sua bellezza: “Qualcosa che arriva quasi a sconfinare nella volgarità, è un concetto tanto astruso?, sì, la perfezione dei lineamenti, la pienezza del corpo, sì, qualcosa d'eccessivo, cui sino da quella sera in cui ci siamo incontrati ho cercato puerilmente di trovare qualche attenuante, magari qualche difetto [...]” (p. 681). E lui non riesce ad averla con la dovuta pienezza, con la pretesa lucidità. Qualcosa manca. Qualcosa sfugge.

Parte terza. Altrove, più avanti nel tempo. Giulia e Grazia s'alternano leggendo quel che è stato, e quel che poteva essere, con il loro debole amante, amico. Il giocattolo è tutto qua. Dimenticavo. Lui chi è? Dino, il narratore, è uno scrittore fallito, pieno di amarezze e di frustrazioni. Non ha fantasia, non fa che parlare di sé. Vive in un'epoca in cui si vendono pochi libri e meno ancora si vendono libri di narrativa italiana: un'epoca in cui “la narrativa italiana è sempre abbastanza noiosa”, “non escono più romanzi veramente appassionanti”, e qualcuno si domanda se sia finito il tempo dei libri. È la fine degli anni Cinquanta, sembra non sia mai cambiato niente. Lui campa scrivendo sui giornali, ma nei giornali non ha più fiducia: fatti grossi e piccoli, non cambia niente. Tutto finto, dice. E ha ragione. Da vendere.

A latere. Dino ha vissuto un'esperienza simile a quella dell'artista Oreste Del Buono. È stato prigioniero di guerra. E ha avuto un ritorno a casa che ricorda quello del suo alter ego, descritto a suo tempo nell'opera prima, “Racconto d'inverno”: sentite qua. “La mattina che sei tornato dalla prigionia, ti s'erano aggranchite le gambe a stare tanto in quel camion, ed eri così sporco, avevi i capelli lunghi, almeno otto mesi che non li tagliavi più, e poi t'eri lasciato crescere i baffi, la barba, i tuoi panni militari erano a brandelli: cercavi di non guardare la gente, speravi che non si girassero a guardarti, il solito timore presuntuoso, avresti voluto camminare in fretta, ma le gambe ti si rifiutavano: prima di sboccare nella piazza c'erano case e case distrutte, hai girato l'angolo con il batticuore e allora hai visto il solido edificio grigio, piantato sicuramente all'incrocio tra le strade e le rotaie del tram [...]” [p. 575]. E in comune c'è anche la portinaia che finisce per suonare alla porta di casa al posto suo, e l'incredulità della prima epifania della normalità, dentro casa. E chissà quanto altro ancora. Ha importanza? Solo filologico-letteraria.

La curatrice dell'“Antimeridiano” Isbn, Silvia Sartorio, riferisce che “Per pura ingratitudine”, il trittico completo, è stato originariamente pubblicato da Feltrinelli, nel 1961. Oreste Del Buono, nell'introduzione all'edizione Feltrinelli, 1961, scriveva che questo libro era un “ritratto della banalità contemporanea”. Profondamente vero.

Secondo il professor Guido Davico Bonino, con “Per pura ingratitudine” Oreste Del Buono “dà alle stampe quella che potremmo definire la trilogia (o il trittico) dell'amore adultero: e sigla con essa il primo romanzo veramente innovativo della sua ricca produzione letteraria. Trilogia o trittico, perché quest'opera di oltre trecentocinquanta pagine aduna tre romanzi di più di cento pagine ciascuno: 'L'amore senza storie' (1958), 'Un intero minuto' (1959) e il terzo ed eponimo, edito conclusivamente due anni dopo [...]” [p. XIV].

Domenico Porzio, in “Oggi” del 20 luglio 1961, p. 62, considerava questo libro “un gioco narrativo raffinato, di una abilità straordinaria: la contaminazione tra realtà e finzione, scontata in qualsiasi racconto del 'genere' tradizionale, qui si rinnova e si moltiplica in una serie di specchi sovrapposti, collocati dinanzi agli occhi di chi legge ora con sottile ironia, ora con sorprendente crudeltà” [p. 1624]. Di crudeltà, francamente, ne ho trovata poca.

Giuliano Gramigna, nella seconda di copertina della Feltrinelli, 1961, considerava: “Acre, nervoso, a tratti affannoso in un incalzare di domande, è troppo autentico, ODB viene da uno strappo interno troppo profondo e irrimediabile perché il lettore non debba sottolinearne l'importanza nel quadro di una letteratura che troppo spesso gioca con distrazioni sentimentali o filologiche”.

Magari a volte, fregata da quelle distrazioni, la letteratura finisce per dimenticarsi di qualcosa di importante. Della propria essenza, per dire, dei propri talenti. Delle proprie possibilità.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Oreste Del Buono (Isola d'Elba, 1923 - Roma, 2003), è stato scrittore, traduttore, editor presso Rizzoli, Bompiani, Garzanti. Ha diretto “Linus” e collaborato con numerose testate tra cui “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Panorama”. Esordì in narrativa pubblicando il romanzo “Racconto d'inverno”, memorie della sua prigionia di un anno e mezzo, in Germania.

Oreste Del Buono, “Per pura ingratitudine”, in “L'antimeridiano. Romanzi e racconti. Volume primo”, ISBN, Milano. A cura di Silvia Sartorio. Con un saggio di Guido Davico Bonino e una testimonianza di Nicoletta del Buono.

Prima edizione del romanzo: Feltrinelli, 1961. “L'amore senza storie” e “Un intero minuto” erano usciti, in precedenza (1958; 1959), sempre per Feltrinelli.

In Francia: “Ingratitude”, Gallimard, 1962.

Approfondimento in rete: WIKI IT / Repubblica

Gianfranco Franchi, dicembre 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.

La contrastata vicenda d’un letterato fallito o giù di lì che viveva storie extraconiugali con una certa incresciosa intensità, e una certa dedizione…