Parassiti

Parassiti Book Cover Parassiti
Massimiliano Governi
Einaudi
2005
9788806171650

“A volte penso: potrei far parte di un gruppo neoromantico, farmi degli amici, fondare una rivista, aprire una galleria, organizzare una spaghettata, scrivere un manifesto per una nuova letteratura, spararmi una revolverata. Invece me ne sto qui, affacciato al balconcino, a fumare e guardare il muro di fronte, ad aspettare che venga notte per telefonare a Martina. Talvolta taglio pezzetti di poesie di Borges, Ginsberg, Beppe Salvia, migliaia di cut-up, e il risultato sono parole nuove e alterate” (Governi, “Parassiti”, p. 96)

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“Parassiti”, terzo libro di narrativa di Massimiliano Governi, è una raccolta di otto racconti fondata su tre aspetti cardine: il rapporto padre-figlio (“1979”, “Lo strangolino”, “Macilento”, “Il re del playground”), il fallimento (d'un calciatore, in “Bomber”; d'uno scrittore, in “Parassiti”; d'una vita, nel “Re del playground”), la rappresentazione del dolore, del male e della sofferenza (“Fusi”).

Partiamo dalla questione nodale, il rapporto padre-figlio. Governi riesce a rappresentare due emozioni potenti e contrastanti: la prima è la gioia del nonno e del papà per la nascita del nipotino e del figlio, in “Macilento”, mostrando il carattere di entrambi gli artisti, Giancarlo e Massimiliano, e tutto l'entusiasmo, le aspettative e le ansie per il futuro del terzo maschio della razza, Pietro, gioia di casa, piccolo Zar, “Pietro il grande”; salvo poi congetturare un futuro grottesco, bizzarro e caricaturale, ambientato in Russia, nel 2036. La seconda è il senso di soffocamento da troppo amore paterno, che determina gli ombrosi esiti dello “Strangolino” e del “Re del playground”; in entrambi i casi, si direbbe che l'identità del figlio cerchi disperatamente autonomia, indipendenza e differenza, e soffra per i tentativi di protezione (o di direzione) infantili e giovanili del genitore. E tuttavia, infine, sembra che l'artista interiorizzi una lezione fondamentale: almeno in letteratura. Questa lezione è scrivere; scrivere solo di ciò che si conosce; scrivere solo con sincerità.

Fondamentale per entrare nello spirito dell'opera, e nel cuore della questione del rapporto tra padre e figlio, è – ad esempio – questo passo: a narrare è il padre.

“Che mistero è per me questo figlio, pensò il padre. Lo è sempre stato. Non ho mai capito se fosse un genio o un impostore, un ragazzo pieno di talento o un mattocchio da fiera. Prendiamo il calcio. Non ho mai conosciuto nessuno che a dieci anni giocasse meglio di lui; non giocare così, tanto per giocare, nel pratino sotto casa, ma giocare una vera partita, in un vero campo, con veri giocatori (…) Ma un giorno il ragazzo, dopo una partita, sotto una doccia fumante, mi confidò che lui semplicemente tirava a caso, come veniva” (p. 119).

Governi Junior ha un passato da calciatore, come ricordava Cesare Fiumi nel Corriere della Sera del 28 settembre 1995, commentando l'opera prima dell'artista capitolino (laziale, e tifoso laziale): chissà che questa storia non racconti, anche, qualcosa di più a proposito dell'indole del narratore (non dell'autore: non m'azzarderei mai). Che potrei sintetizzare così, dopo aver letto i suoi libri: giovane talentuoso e indolente, ultrasensibile, lunatico, gentile, incapace di fare del male e quindi, o forse proprio per questo, spaventato dal male in ogni sua forma. Orgoglioso del padre, ma infestato dalla sua ombra. Già nel primo racconto, 1979, ce ne accorgiamo: il protagonista e narratore è un bambino molto sensibile, Yuri, alle spalle qualche problema nervoso, innamorato di una ragazzina che abita di fronte casa, e che sin qua non l'ha notato mai; comincia a dedicarsi alle buone letture e segue come un'ombra il padre. Il padre è un ultras della Lazio, uno di quelli che espone gli striscioni – e che striscioni – e alza i cori in curva. L'esordio di Yuri, sugli spalti, coincide con un giorno tragico: il 28 ottobre sporcato dalla morte del cittadino Vincenzo Paparelli, tifoso biancoceleste. Era allo stadio con la moglie, un razzo sparato dalla curva giallorossa lo prese in pieno, nell'occhio. Governi descrive l'accaduto e lo choc di chi era presente con grande potenza espressiva; il suo narratore bambino non si capacita dell'accaduto, sulle prime, e quando a casa sente la mamma lamentarsi per gli striscioni esposti dal padre, poco prima della tragedia (“Olocausto giallorosso”, “Rocca bavoso”), sviluppa forse un senso di colpa eccessivo; è una sorta di transfert, che abbinato allo spavento produce un effetto impressionante. Il drammatico epilogo, romantico e terribile al contempo, è un simbolo dell'innocenza assassinata da un evento così violento, e incomprensibile.

Seconda questione nodale è il fallimento. Curiosamente, il primo è proprio quello di un calciatore, vagamente somigliante a Igor Protti nel suo unico (sbaglio?) anno in biancoceleste; veniva da un anno trionfale, 24 reti o qualcosa del genere, ma con la Lazio fallì clamorosamente, compromettendo parte della sua carriera. “Ci sono anni in cui ti riesce tutto. Rovesciate, mezze rovesciate, partite da marziano, gol in quantità industriali: sei quasi in grado di prenderti per i capelli e sollevarti in aria” (p. 19). Già: ma quell'anno, misteriosamente – e soffrendo come un cane – il bomber non segna più, e pensa con sfiducia e sconforto a tutta una serie di buoni giocatori da B che in A non hanno mai sfondato, e al rischio di bruciarsi la carriera, di dover tornare sui suoi passi, in provincia. Infine, al termine d'un'azione, dopo un suo assist, fa una cosa bellissima, teatrale, simbolica: “mi sdraio sul prato, all'altezza della linea mediana del campo, e me ne resto così, a faccia in su, a guardare l'orchestra di luce, le nuvole, i riflettori, il tabellone nero dei minuti, il cappuccio dello stadio sopra le gradinate; la 'corona di spine', come lo chiamano i romani. Poi chiudo gli occhi e aspetto il triplice fischio dell'arbitro” (p. 31).

Governi junior mostra, così, il fallimento di una promessa: la maledizione degli inespressi (non degli incompiuti: interessante). E inespresso è lo scrittore di “Parassiti”, uno che ha imparato a sopravvivere leggendo, e interiorizzando “Martin Eden” continua a drogarsi del sogno stupendo di vivere di Letteratura, e di vivere scrivendo, mentre intorno, magari, le cose vanno a pezzi.

“Hai letto da qualche parte che i libri vecchi e ammuffiti possono rilasciare delle sostanze allucinogene. Ci sono questi parassiti che si depositano sulla muffa delle pagine e delle copertine dei libri e producono spore allucinogene. Forse è proprio una buona sniffata di queste spore che ti ha tenuto in vita fino a adesso. Chissà, forse. Parassiti e sonno: questo ti ha salvato” (p. 136).

Fallimento d'una promessa nel “Re del playground”, in cui il protagonista, giovanotto, passa da uno sport all'altro, dal basket allo skate, senza negarsi droghe e via dicendo; scrive una cosa soltanto, perché soffre per l'ombra poterna, e vince un concorso: ma vince rubando, perché copia un racconto. Non mi sembra servano glosse.

Infine, terza questione nodale è la rappresentazione del dolore, del male e della sofferenza. Il narratore di Governi – proprio come in “L'uomo che brucia” - spesso associa il male a una terribile esperienza di gioventù, ossia un cancro al seno della mamma; capita più volte, anche in questo libro. Nel racconto “Fusi”, la maledizione si ripete con la sua compagna, che per tre volte va sotto i ferri, cercando di vincere il male. La coppia è sbalestrata e tenerissima, bellicosa e determinata; infine, quando lei è incinta, non gli dice nulla pur di partecipare a una maratona per sostenere la ricerca scientifica e la lotta al cancro. Sono due innamorati che sembrano distruggersi e poi tornare ad adorarsi; ci sono passi di grande tenerezza, come quando lei prende, apre i suoi libri, e comincia a scrivere “ciao” o “ti amo” su ogni pagina, perché lui possa tornare a pensare a lei tutte le volte che legge un libro. È un passo che mi ha colpito proprio tanto, perché è apparso – come spesso accade nei libri di Governi – a freddo, sprigionando un'intensità e una verità abnormi. C'è tutta la delicatezza e la possessività gentile delle donne innamorate, in quel frammento.

Da leggere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Massimiliano Governi (Roma, 1962), scrittore e consulente editoriale italiano. Ha esordito pubblicando il romanzo “Il calciatore” (Baldini e Castoldi, 1995).

Massimiliano Governi, “Parassiti” Einaudi, Torino 2005. Collana Stile Libero.

Gianfranco Franchi, Agosto 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Governi junior mostra, così, il fallimento di una promessa: la maledizione degli inespressi (non degli incompiuti: interessante).