Paesi tuoi

Paesi tuoi Book Cover Paesi tuoi
Cesare Pavese
Einaudi
1941
9788806227838

Pavese fotografa una società agreste nei tardi anni Trenta: tra le colline, nel torinese, assistiamo alle torbide e grette vicende della famiglia del vecchio Vinverra, cristallizzata nell’esecuzione automatica di tradizioni e lavori e vincolata dal rispetto di equilibri e ruoli d’una fatalmente desueta economia domestica. L’unico elemento deviante, rispetto alle norme e alle consuetudini del microsistema rurale, è una delle quattro sorelle, Gisella, che in più d’una circostanza, non a caso, il narratore provvede ad enucleare dal contesto e ad estraniare e differenziare, anche esteticamente, dai suoi consanguinei.

Una così netta linea di demarcazione non può avere esiti pacifici: s’immagina che per Gisella la salvezza sarebbe il trasferimento in città – in quella città che appartiene al e riflette il narratore. Trasferimento che comporterebbe l’epilogo d’una metamorfosi che pure pare già in atto nel corso della narrazione: l’insistenza su una simbologia primitiva, tutta legata ai colori (della pelle), all’aspetto esteriore, alla futura plasmabilità borghese del corpo, suggerisce l’idea che Gisella sia il cigno nero tra i cigni bianchi.

Berto, il narratore, è invece un estraneo che esalta la propria estraneità al microsistema rustico, senza difficoltà, in più d’un frangente. È un dissociato che riesce a ricostruire un fondamento della propria identità, dopo essere uscito dal carcere, soltanto per contrasto e per suggestione. S’aggrappa a vezzi allora “cittadini”, dalle sigarette al gioco del biliardo: si nasconde adottando una lingua che inevitabilmente stride con l’ambiente, cortocircuitando e provocando e stabilendo distanza. È la distanza utile per raccontare una storia: è la distanza del fotografo dalla realtà che desidera rappresentare. Berto può possedere Gisella, ma non sa amarla: dapprima la riconosce come sua potenziale simile, quindi l’avvicina e si lascia avvicinare, infine assiste al suo omicidio per mano d’un fratello idiota e incestuoso. Con un’impassibilità che non stupisce: perché è figlia della capacità d’estraniazione da un mondo che non si sente, non si riconosce e non si ammette come proprio.

Berto è una figura estranea e transeunte: esordisce nella narrazione uscendo, come si scriveva, dal carcere. È un “ex meccanico in gamba” rovinato dall’aver investito un ciclista. È disoccupato e non ha più fissa dimora. La città di Torino non offre più possibilità: passa per gli antichi luoghi di ritrovo come un fantasma, incontra Michela, compagna d’un suo amico, e si ritrova, dopo varie e non persuasive esibizioni di misoginia, disteso sul suo letto per una notte. Fugge ben prima dell’alba, riservando qualche pensiero a questo suo tradito amico, Pieretto, che ha tutto l’aspetto d’un doppio: è infatti incarcerato, e dal carcere non è ancora uscito.

Più che un occasionale incontro erotico, l’amore con Michela ha l’aspetto d’una rimpatriata con una donna che si vuole far appartenere al passato: la personalità scissa di Berto sembra costruire un comodo e virtuale doppio per giustificare il suo desiderio di fuga dall’antica realtà. Pieretto non appare mai nel romanzo: è semplicemente il primo spettro di Berto, quello che rimane ad infestare le carceri e a struggersi di desiderio per una donna che non ama.

E così, l’estraneo Berto decide di accettare l’invito del suo compagno di carcere, Talino: lavorerà per qualche tempo nella fattoria di suo padre, a Monticello, tra quelle colline che legge come “due mammelle”, nascosto in una campagna dove nessuno può ritrovarlo e riconoscerlo. Monticello “è un paese di scarto che di notte non passano i treni”.

Talino è un giovinastro che, sin dalle prime battute, viene descritto con tono sprezzante dal narratore: lo giudica un rustico, un sempliciotto di campagna, uno stupido – influenzato, probabilmente, dalle sue confidenze a proposito dell’arresto: Talino sostiene d’essere stato accusato d’un reato che non aveva commesso, l’incendio d’un pagliaio, perché, per paura dei carabinieri, al loro apparire s’era subito nascosto in un pozzo.

Il fuoco e il calore giocano un ruolo simbolicamente non irrilevante. Se Berto, appena uscito dal carcere, dice di soffrire per il gran caldo, Talino è subito legato, tramite l’incendio, alla suggestione d’essere “il portatore di fuoco” e del caldo. Quando viene descritto il pagliaio bruciato, più avanti, si ha la netta sensazione di camminare sulle ceneri ancora fumanti: ed infine è proprio per asciugarsi il sudore, dopo aver lavorato nei campi patendo caldo e fatica, che Talino trova la scusa per aggredire e uccidere Gisella, che s’accorge essere diventata troppo vicina all’estraneo Berto. Il fuoco e il calore sono i motori dell’accelerazione e dell’esplosione del dramma nel romanzo. L’incendio è la rappresentazione del male.

Talino è un formidabile mentitore. Larga parte delle sue affermazioni sono menzogne: l’unica verità è legata alla promessa di lavoro per l’amico.

Ma Berto gli serve, in realtà, per avere manforte in paese: dove è atteso da chi vuole fargliela pagare per l’incendio e per altre infamie. Dunque Talino nasconde la sua reale intenzione, e perde l’unica connotazione positiva rimasta in un romanzo in cui appare sciocco, volgare, opportunista, incestuoso e assassino. Decisamente un po’ eccessiva come incarnazione del male: Talino sembra uno spiritello dei boschi maligno e tuttavia ingenuo.

Gisella è come una mela che sa di brusco – e quello è il sapore che cerca il narratore. Una volta assaporata e masticata (nell’ombra, al riparo) la mela, può assistere alla sua morte e alla dissoluzione della faida famigliare: non ammette e non prova reale dolore, si limita a battere i denti in più circostanze – un bambino spaventato, all’improvviso, dall’oscuro e mostruoso potere della realtà – l’assassinio dell’immaginazione, la carcerazione dell’estraneità, la cattura dell’estraneo alla vita nel sistema. È un incendio di polvere e sangue. In quella mela che sa di brusco, si nasconde una goccia di veleno. Mortale.

“Paesi tuoi”, primo romanzo pubblicato da Cesare Pavese, inaugurò la “Biblioteca dello Struzzo” delle edizioni Einaudi. Il manoscritto, datato 3 giugno – 16 agosto 1939, fu stampato nel 1941.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950) scrittore italiano. Laureato in Lettere con una tesi Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman, all’attività di romanziere e poeta affiancò quella di saggista e traduttore e fu tra i fondatori della casa editrice Einaudi.

Cesare Pavese, “Paesi tuoi”, Einaudi, Torino 1968.

Prima edizione: Einaudi, Torino 1941.

Gianfranco Franchi, gennaio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Sul primo romanzo di Pavese…