Out [“Cocksure”]

Out ["Cocksure"] Book Cover Out ["Cocksure"]
Mordecai Rickler
Longanesi
1970

Dilettarsi dei difetti, delle pecche, dei vizi e delle contraddizioni della società significa tornare a percorrere, sprigionando euforico e contagioso sarcasmo, l’antica e fascinosa strada della satira. E quest’opera dell’artista canadese Mordecai Richler sembra suggerire nei lettori la sensazione che l’autore, scrivendo, non nascondesse spesso un sorriso a metà strada tra il compiaciuto e il divertito: in fin dei conti, è lo stesso romanzo a ricordare che gli intellettuali sono normalmente piuttosto acidi. Senza ritrosie, dunque, e senza filtri di nessuna natura, il futuro creatore della “Versione di Barney” affresca il ritratto d’una famiglia wasp, white anglo saxon protestant, tutta tesa a incarnare in sé l’ossimoro rivoluzionario contemporaneo. Difficile riconoscere un solo personaggio principale nella vicenda: potremmo incentrare l’introduzione all’opera descrivendo l’esistenza di Mortimer Griffin, direttore editoriale, ossessionato dallo spettro dell’impotenza e da figure yiddish che pretendono ch’egli sia ebreo perché corrisponde alla loro “idea di ebreo”: potremmo analizzare il divertito studio dell’integralismo ebraico dell’ebreo Richler, attraverso la dialettica - potremmo dire più correttamente l’incontro scontro - tra Griffin e il giornalista Shalinsky. Potremmo ancora incentrare l’introduzione sul diabolico personaggio protagonista femminile, la moglie di Mortimer, Joyce: progressista, fautrice d’una educazione del rampollo Doug secondo le istanze più rivoluzionarie, pronta ad incoraggiare l’adulterio e a viverlo poi in tutta serenità; o ancora, potremmo provare a leggere la storia attraverso gli occhi del bambino, che assiste alla crisi dei genitori condividendone ogni più intimo segreto, sempre più disorientato e perplesso.

Proviamo altrimenti. La nostra storia ha inizio allorché un misterioso personaggio, il Creatore di Stelle, invia oltreoceano un giovane, nominato suo erede, a rilevare una casa editrice londinese. La casa editrice è diretta da Mortimer. Da questo tratto in avanti, precipitiamo in una narrazione fluida e scorrevole, spezzata da un divertente inserto (una sceneggiatura cinematografica), in una narrazione dicevo tutta tesa a tratteggiare con effetti a volte grotteschi di iperrealismo la parabola esistenziale dei personaggi appena descritti: può capitare che si respiri il gusto sublime della provocazione, allorché Richler descrive una lezione in una classe elementare sperimentale, non più incentrata sugli antichi e desueti canonici sistemi pedagogici, ma sullo splendidamente inconsueto approccio con l’opera del pio Marchese de Sade. Le pagine dedicate all’interrogazione di gruppo della maestra alla classe di pargoli cultori del Marchese sono uno spaccato irriverente e piacevole; ed è difficile non trattenere un sorriso quando ci accorgiamo che uno dei temi del piccolo esame è legato al sapere esprimere, con la franchezza più cruda, un nome adatto all’organo sessuale maschile.

Assistiamo, in un certo senso, ad un’offensiva letteraria anglosassone: ad un tentativo niente affatto velleitario di scarnificare le passate repressioni vittoriane, ad un’emancipazione d’intensità nevrastenica, o ad un progetto, ammettiamolo, paradossalmente edenico: poter pronunciare nomi prima impronunciabili e proibiti, poter sradicare totem odiosi dalla propria mente, violare tabù e consuetudini e scabrose, puritane imposizioni morali.

Sembra quasi che Richler goda nello sfogare le odiose, passate frustrazioni letterarie degli artisti inglesi: canadese trapiantato in Londra, ha assorbito e assimilato con eleganza e immediatezza la storia e la cultura dell’isola. A volte ho la sensazione che tutto questo discutere di problemi legati alla sessualità sia paragonabile all’eccitato imbarazzo del bambino nel pronunciare le prime parolacce: mi sembra quasi di assistere al tentativo della borghesia di spurgarsi dai condizionamenti morali e sociali del passato, esasperando i toni e inquinando le pagine di ossessive reiterazioni. Non è forse un caso se, tra i marginali personaggi dell’opera, vi siano degli artisti contemporanei inglesi, totalmente dediti alla causa dell’esibizionismo fisico e dell’ostentazione della trivialità: lo sguardo del narratore è tuttavia scevro da qualsiasi giudizio di natura etica, assecondando dunque le posizioni del Manganelli nella raccolta di saggi sulla “Letteratura come Menzogna”, e sembra a tratti compiaciuto e a tratti gustosamente divertito dai loro eccessi.

Altra tematica trainante del testo è quella della cultura e della letteratura ebraica: in più di un frangente mi sono ritrovato a pensare ai personaggi di Woody Allen, alla loro riottosa ma inevitabile appartenenza ad un humus tanto nobile e tanto antico, alla loro schizoide conflittualità. Innegabile che l’esito sia, nell’antesignano Richler, estremamente più divertente: ma da semplice appassionato della cultura ebraica, da “gentile”, per dirla con il vocabolo adatto, non posso che intuire e apprezzare, senza illudermi di poter comprendere. La figura del Creatore di Stelle è forse – ma qui azzardo l’interpretazione – l’esito inconscio e perfetto di questa conflittualità schizoide del narratore, e della sua adesione ai personaggi, della sua intrusione nel loro sistema e nella loro esistenza. L’associazione di idee immediata alla figura divina è probabilmente non errata: ed il fatto che si giochi a chiamare un personaggio Creatore di Stelle, pensando alla sua attività cinematografica hollywoodiana, rappresenta il più classico specchietto per le allodole. Vi invito ad esaminare con grande cura i dialoghi tra i personaggi e il Creatore di Stelle: personalmente, ogniqualvolta ho sentito uno di loro pronunciare quel nome in una pagina, non ho saputo evitare un sorriso beffardo: non mancano infatti maledizioni e imprecazioni e offese rivolte a questa enigmatica figura, e mi piace pensare che l’oltraggiosa blasfemia esoterica del testo fosse uno dei più divertiti messaggi in codice dell’autore.

Vorrei poter raccontare quale sia la natura erotica di questo personaggio, per dar maggiore energia alla mia interpretazione, poggiando sulla conoscenza delle religioni orientali: tuttavia rovinerei lo straordinario colpo teatrale delle ultime pagine, che auspico possa regalarvi le stesse ore felici che ha regalato al blasfemo estensore di queste righe. Da un punto di vista strutturale, la narrazione si articola in trentasette capitoli, privi di prologo ed epilogo. Il testo è assolutamente contemporaneo, per ambientazione e tematiche discusse. Stilisticamente ho qualche difficoltà ad individuare autori affini: potrei salutare nel Bukowski un’esasperazione e una disinibizione forse maggiore, ma senza ombra di dubbio una minor tensione espressiva. La situazione di dissidio e crisi vissuta dalla coppia mi ha ricordato, invece, in più di un aspetto, dall’ossessione per l’impotenza alla franca trasparenza del tradimento, l’ultimo Vassalli de “Archeologia del Presente” (Einaudi): registro, come ulteriore similitudine, il fatto che entrambe le coppie in questione siano progressiste e naturalmente aderenti alle istanze di evoluzione rivoluzionaria della società e del sistema. Potremmo ritenere la coppia del Vassalli come la logica erede della coppia del Richler: azzardo, allora, trasponendo nella figura del giovane Doug quella del futuro protagonista dell’ultima opera del talentuoso scrittore italiano. Per concludere, mi piace associare alla prosa di Richler i versi di Boris Vian: ho sempre più la sensazione che, almeno nel novecento, più di una letteratura occidentale sia debitrice degli autori francesi dei primi decenni del secolo. Le atmosfere delle poesie di Vian echeggiano nella prosa di Richler: meno aggressivo, in apparenza, Richler: e tuttavia più crudo, e più disinibito, e più sarcastico nella natura scrittoria.

Singolare esperienza davvero quella d’essermi ritrovato, mesi fa, a poter confrontare l’antica, prima edizione di questo “Out” e la recente prima edizione della “Versione di Barney”. Nella polverosa e ingiallita quarta di copertina di Out, un redattore di Longanesi parlava d’un giovane scrittore canadese, ritratto, poco più in alto, sorridente ed intento alla lettura d’un libro: mi sembrava impossibile che si stesse parlando dello stesso autore che nel mio immaginario era, ormai stabilmente, il sardonico vegliardo immortalato sulla copertina della Versione di Barney da Jillian Edelstein.

Non ho idea delle ragioni che abbiano provocato una eclissi quasi trentennale delle traduzioni italiane delle opere di questo scrittore: tuttavia mi sembra difficile, adesso, ricordare quanto avevo letto anni fa e non sorridere. Sentivo millantare una clamorosa scoperta, farneticare di un nuovo ed eccezionale caso letterario, critici e accademici ne rivendicavano a destra e a manca la paternità: bastava girovagare tra le bancarelle, sopportando l’angosciosa presenza della polvere, per scoprire che il vegliardo misterioso altri non era che un ex giovane scrittore canadese, estremamente popolare nel mondo anglosassone, pubblicato in Italia dalla Longanesi trenta anni prima. Ennesimo mistero dell’editoria nostrana. Confrontate le fotografie e non stupitevi troppo.

BREVI CENNI BIOBIBLIOGRAFICI

Mordecai Richler nacque a Montreal, nel Quebec, nel 1931. Abbandonò gli studi poco prima di ottenere la laurea, nell’università Sir George Williams di Montreal, viaggiando dapprima alla volta di Parigi e quindi trasferendosi in Inghilterra. Tra il 1959 ed il 1972 si impiegò come giornalista, a Londra, scrivendo testi per trasmissioni radiofoniche e televisive e, talvolta, avventurandosi nella stesura di sceneggiature cinematografiche. La sua esistenza fu equamente ripartita tra Canada ed Inghilterra, sino alla fine dei suoi giorni, nel 2001. In Italia, il suo ultimo romanzo, “La versione di Barney” (Adelphi) ha rappresentato recentemente un singolare caso letterario: memorabili, a quanto mi risulta - ma non ho avuto l’opportunità di verificare l’esattezza della mia reminiscenza - dei panegirici in suo onore pubblicati sul pamphlet “Il Foglio” di Giuliano Ferrara. L’opera prima, “The Acrobats”, risale al 1954. “Cocksure”, tradotto da Longanesi nel 1970 con il titolo “Out”, risale invece al 1968.

EDIZIONE ESAMINATA:

Mordecai Richler, “Out”, Longanesi, Milano, 1970. Collana “La Gaja Scienza”, volume 313. Traduzione di Bruno Oddera.

Gianfranco Franchi, luglio 2002.

Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, Lankelot.