Muss. Il grande imbecille

Muss. Il grande imbecille Book Cover Muss. Il grande imbecille
Curzio Malaparte
1999
9778008058200

La collana “Biblioteca Storica. Documenti” del quotidiano “Il Giornale”, distribuita esclusivamente in edicola, ha appena proposto la pubblicazione di due scritti poco noti di Curzio Malaparte: l'incompiuta biografia, tutt'altro che agiografica, di Mussolini, “Muss.”, e il saggio breve, ideato e steso post 1943, “Il grande imbecille”. Sono scritti che andrebbero comparati, idealmente, col romanzo satirico “Don Camaleo” (1928; edizione ampliata, 1946) per completare il quadro del man mano più convinto dissenso anti-mussoliniano dell'artista pratese. Scopriamo, intanto, dove e come sono stati ideati e composti.

Scrive Francesco Perfetti, nella prefazione, che Malaparte cominciò a lavorare alla sua atipica biografia di Mussolini (“un saggio a metà strada tra indagine psicologica, riflessione storico-politica e racconto aneddotico”, titolo provvisorio “Il Caporal Mussolini”) nell'estate del 1931, su richiesta dell'editore francese Grasset. L'opera si sarebbe interrotta nel 1933, in coincidenza con l'arresto e il confino di Malaparte, per via della sua (confusa e contraddittoria) attività antifascista. Il progetto, titolo alternativo “Killing No Murder”, doveva essere una “violenta requisitoria contro il fascismo e Mussolini”: non venne ripreso, curiosamente, nel 1935, quando l'artista pratese era stato perfettamente reintegrato nella sua attività, ma soltanto nel secondo dopoguerra. Rimaneggiato e ampliato, venne infine lasciato incompiuto.

“Il grande imbecille”, invece, fu scritto nell'estate del 1943. Titolo di lavorazione, “La gatta”. Nelle parole di Perfetti, è “un saggio politico che sviluppa, a suo modo e in chiave metaforica, considerazioni sulla dittatura, sul rapporto tra capo e massa, sul consenso, sul carattere degli italiani, sulla liceità d'una reazione popolare” (p. 19).

“Muss.” principia con una profezia apocalittica: con l'incombente disastro nazionalsocialista tedesco. Scrive Malaparte che sebbene ciò che sia accaduto negli ultimi mesi in Germania sia mostruoso, sarà niente in confronto a ciò che avverrà legalmente in futuro. Si tratterà di “violenze morali” ben peggiori delle violenze fisiche. Quando il feroce e barbaro Hitler avrà imposto alla Germania il “suo” ordine, i bambini tedeschi “non saranno che dei poveri esseri tristi e tormentati, già rassegnati a un'esistenza di schiavitù e d'infelicità: delle piccole spie piene di paura e di rimorsi” (p. 27), corrotti come già i bambini italiani sotto il fascismo, ingiustamente irregimentati e manipolati. Cos'è il fascismo? “Il complesso dei difetti della civiltà cattolica, l'ultimo aspetto della Controriforma” (p. 38). Una “valanga di retorica” che avrebbe seppellito l'Italia sotto il peso della vanità di Mussolini (p. 58). Il fascismo è riuscito ad andare al potere senza “programmi ben definiti, né idee chiare, né scopi precisi”: è metamorfico e camaleontico. Potrà attecchire, mutando forma ancora una volta, in Germania, contando sulla decadenza dello spirito protestante di quel popolo. Il fascismo ha reso l'Italia una “enorme prigione-modello, decorata di bandiere e di archi di trionfo, sonora di musiche militari e di applausi disciplinati” (p. 62). In una di quelle prigioni è finito proprio Curzio Malaparte, e non se ne dimentica e non perdona; piuttosto, non capisce come sia stato possibile che sua madre abbia continuato a chiedergli di avere pietà e comprensione del “povero Muss”, del “buon Muss”, come era solita chiamarlo.

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Torniamo al fulcro dell'opera. Il nodo – ribadisce Malaparte – era evitare, sia in Italia che in Germania, di legittimare la violenza dandole una patina di legalità. Quello era il principio delle disgrazie, delle atrocità e delle ingiustizie. Il modello, purtroppo, era tutto italiano. E di questo Curzio non sa raccapezzarsene, sembra non riuscire a farsene una ragione.

Mussolini viene descritto con freddezza e disprezzo. “Un uomo grasso, di media statura, che cammina dondolandosi sulle anche, e la cui sola forza consiste nel farsi credere una specie di Giulio Cesare alla vigilia della conquista delle Gallie” (p. 30). Malaparte lo considera un pazzo fanatico, convinto d'essere Dio – mentre Hitler, che Muss. disprezzava, sembra convinto d'essere Gesù. Mussolini si sente Antinoo per la perfezione delle sue forme, Ercole per la forza, Don Giovanni per il suo fascino da seduttore (p. 33). Ha perfezionato al massimo grado la “tecnica della divinità artificiale” (p. 53), superando Napoleone nel delirio del culto della propria personalità. Ha avuto il talento di capire che “un uomo solo, un solo meccanico”, può far funzionare la macchina statale moderna meglio di una équipe di meccanici. Timido sino alla viltà, vendicativo e incapace di perdonare, Mussolini ha dato sempre ragione al più forte (p. 70).

Nei primi tempi della sua fortuna, il futuro capo dello Stato non aveva l'aria del “popolano, né del signore, né dell'operaio, né dell'intellettuale, ma del baccagliatore, che in Toscana son detti quei venditori ambulanti, nelle piazze dei mercati, che cantano le lodi della loro mercanzia, e ne discutono il prezzo ad alta voce. Aveva aspetto non misero: ridicolo” (p. 75). Malaparte odiava la sua retorica. Questo scritto ne è ampia conferma.

Passiamo adesso al “Grande imbecille”. Malaparte sogna una ribellione della sua amata Prato al gran nemico: il Grande Imbecille, Benito Mussolini. Sogna di vederlo entrare in città galleggiante a cavallo, “tronfio, superbo, soddisfatto, grasso, unto, la pappagorgia, la nuca piena di lardo”, per poter finalmente ripagare “torti, offese, vigliaccate, prepotenze” (p. 98). La sua Italia è stata un'Italia “puttana”. Sono stati venti anni di “tirannia, miseria, retorica, suprema ingiustizia, fredda calcolata vilissima prepotenza” (p. 116).

Non va ucciso, ma ridicolizzato: perché “i tiranni non s'hanno da ammazzare, ma a beffare. Non s'hanno a coprir di sangue, ma di ridicolo (…). In Italia i tiranni s'hanno a pigliar a calci nel culo” (p. 109). Mussolini non aveva sense of humour. Non stava agli scherzi. Era diffidente, permaloso, volgare, stando a quanto ricorda e racconta Malaparte.

Morale della favola: “Il ridurre la gente alla fame, il perseguitar avversari con tutti i più bassi e meschini sistemi polizieschi, il trattar gli avversari politici come criminali di diritto comune, l'ammanettarli come ladri o assassini, il rinchiuderli in fetide celle, il condannarli senza interrogatorio e senza alcun giudizio, o con la commedia di un giudizio, senza nessuna garanzia di equità, tutto ciò non è segno di forza, di sicurezza, di legittimità e di buon diritto: ma di meschinità, di vigliaccheria e di imbecillità. Il Nostro non era, tuttavia, un imbecille forte. Era un imbecille imbecille, vale a dire, secondo l'etimologia, un imbecille debole” (p. 112).

Ecco tutto. Da meditazione.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Kurt Erich Suckert (Prato, 1898 - Roma, 1957), alias Curzio Malaparte, scrittore, giornalista e diplomatico italiano.

Curzio Malaparte, “Muss. Il grande imbecille”, Il Giornale – Biblioteca Storica Documenti, 2010. Prefazione di Francesco Perfetti. Nota al testo di Giuseppe Pardini. ISBN 9778008058200

Prima edizione: Luni, 1999.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, febbraio 2010.

Due scritti poco noti di Curzio Malaparte: l’incompiuta biografia, tutt’altro che agiografica, di Mussolini, “Muss.”, e il saggio breve, ideato e steso post 1943, “Il grande imbecille”.