Milano non esiste

Milano non esiste Book Cover Milano non esiste
Dante Maffia
Hacca
2010
9788889920350

Introduce magnificamente Andrea Di Consoli: “Milano non esiste è un romanzo scritto con la furia orale di un operaio non acculturato; è un lungo e barbarico monologo viscerale; è, soprattutto, un romanzo su quell’umile Italia popolare che ancora odora di pelle, di lavoro, di rabbia, di vino, di sudore e di carne”.

È un libro scritto per quei cittadini che hanno dovuto conoscere il dolore, la sofferenza e le umiliazioni dell'emigrazione; per quei meridionali che hanno vissuto fianco a fianco di madonna nostalgia; per quelle generazioni di lavoratori e di intellettuali che hanno dovuto abbandonare la terra e gli affetti per poter sopravvivere e per poter vivere con dignità; e per poter, con la stessa dignità, allevare i figli. Dante Maffia concentra nel suo narratore, unico protagonista credibile del romanzo, tutta la frustrazione e tutto l'orgoglio del meridionale costretto ad emigrare a Milano. È un emigrante che ha avuto tutto – lavoro, un bel matrimonio, sei figli – ma si direbbe che non sia bastato; l'ossessione sacrosanta delle proprie radici, e delle proprie origini, ha scavato nell'anima un fiume carsico. Quel fiume vuole discendere a valle: la valle si chiama Calabria. Là il narratore ha comprato una grande casa, e sogna possa diventare la casa di tutto il clan, moglie e figli e futuri nipoti. Il dramma si consuma lentamente, perché l'operaio coraggioso e generoso prende atto dell'assoluto disinteresse del sangue del suo sangue per le cose in cui crede, per la centralità del ritorno in patria, per la necessità della fondazione d'una nuova casa. Prendendone atto, si disintegra. È tornato infine a casa, ma è disperatamente solo; solo, come solo era quando aveva lasciato tutto. Già nelle prime battute, del resto, sembrava consapevole di questa possibilità: “I miei figli, però, mi mettono in croce. Non sono d'accordo sul mio acquisto. Dicono che non verranno mai a vivere in un paese sperduto, dove non c'è neanche il cinema, una piscina, una sala da ballo. Dicono: 'Noi siamo milanesi, ormai, non ci potrai costringere a stare in un posto così squallido, così povero. Sarebbe una pena'. Ma io ho sempre confidato nella Provvidenza” (p. 19). Invano.

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Il protagonista di “Milano non esiste” è un operaio dai grandi valori tradizionali: “con una donna accanto e con i figli il mondo diventa più bello, più completo e più santo” (p. 26), scrive. È uno che fantastica su un passato in cui dalla sua terra non si emigrava, e pensa che non ci sia cosa più bella: “Emigrare significa abbandonare un sacco di cose, diventare diversi da quello che si è. Accidenti a me quando ho pensato di non farcela laggiù e ho preso il treno. Se avessi resistito, adesso non sarei così infelice” (p. 131).

E quando incontra un compatriota, a Milano, si dispiace che abbia dovuto conoscere il suo stesso destino, che abbia dovuto lasciare tutto e andarsene. “Lo strappo è doloroso – commenta – mette addosso incertezze, paure, fa sentire miseri. (…). Gli emigranti sono vermi fuori posto, non vivono nella mela dove sono cresciuti, nella ciliegia sull'albero, ma dentro un piatto estraneo e rischiano d'essere schiacciati a ogni istante” (p. 147)

Adesso ha paura che le nuove generazioni sprofondino in una guerra tra poveri: emigrati meridionali contro emigrati extracomunitari. E vuole evitare ai suoi figli di vivere quella guerra, di subire soprusi di tante carogne, e di tanti parassiti (p. 65). In ogni caso, sa già che i lombardi parleranno male dei meridionali: “Quali sono gli argomenti? Che siamo sporchi, che facciamo confusione, che non sappiamo stare zitti, che abbiamo rubato il loro lavoro, che facciamo comunella... Argomenti di merda, senza senso. Anche perché loro fanno di peggio, altro che comunella, è come se fossero in riunione alla chiesa la sera, o nei bar, o la domenica mattina per la strada” (p. 89).

Milano e la Lombardia escono da questo romanzo con le ossa veramente rotte. Non soltanto per la tradizionale ostilità tra polentoni e terroni: “Non sanno che cos'è la pietà, hanno solo rancore verso il prossimo e osservano il mondo con l'atteggiamento dei carabinieri, pronti alla delazione, a fare la spia. Non so quale dei miei figli mi ha fatto capire che è un'eredità che si portano dietro da quando erano austriaci. Come sia sia qui si soffre” (p. 50). Si parte per la Lombardia perché la campagna è diventata capricciosa, e la terra non dà abbastanza da mangiare: altrimenti si restava tranquillamente a casa. Lontani da quella nebbia: “La nebbia non la sopporto. Da qualche anno ce n'è meno, chissà perché, ma i primi anni che sono arrivato scendeva tutti i giorni. La sentivo nelle ossa, nel cuore, come un'ombra viscida che voleva uccidermi a poco a poco. E se si alzava il vento sembrava che tagliasse la faccia” (p. 34). Non basta. “Lo ripeto, è la nebbia che crea i malefici, entra nel cervello, negli ingranaggi delle macchine, nelle ruote dei tram, nelle minestre e finisce per fare guasti. Il cervello s'intorpidisce, perde colpi e così i macchinari si incendiano, i ponteggi si spappolano, le macchine si scontrano” (p. 73).

Dopo quarant'anni di lavoro, lui si sente sempre il “povero meridionale impacciato, di una razza inferiore, un terrone da relegare in un recinto” (p. 42). Commenta Andrea Di Consoli, nella bandella: questo romanzo “ci racconta un’Italia ancora furiosamente arrabbiata con 'i padroni', ancora tormentata dall’alienazione, dal disadattamento urbano e dalla nostalgia per la propria terra di origine. Vengono in mente almeno quattro illustri antecedenti: Memoriale di Paolo Volponi, Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Tuta blu di Tommaso Di Ciaula e Nord e Sud uniti nella lotta di Vincenzo Guerrazzi”. Prendiamo nota dei quattro illustri antecedenti, allora, e vediamo di restituirli alla centralità del dibattito letterario. Almeno in Rete.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Dante Maffia (Roseto Capo Spulico, 1946), poeta e narratore calabrese. Come poeta ha esordito nel 1974 con il libro Il leone non mangia l’erba, introdotto da Aldo Palazzeschi. Vive e lavora a Roma.

Dante Maffia, “Milano non esiste”, Hacca, Macerata 2009. Bandella di Andrea Di Consoli. Copertina di Maurizio Ceccato.

Gianfranco Franchi, gennaio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.