L’ultimo lupo mannaro

L'ultimo lupo mannaro Book Cover L'ultimo lupo mannaro
Glen Duncan
Isbn Edizioni
2013
9788876384301

“Ero un lupo mannaro da ventun anni quando, nel maggio del 1863, lessi della spedizione di Quinn in un servizio sul 'Times'. Non avevo ancora, evidentemente, trovato risposta alle grandi domande che continuavano a tormentarmi. Una volta al mese mi trasformavo in un mostro, mezzo uomo e mezzo lupo. E va bene. Uccidevo e divoravo esseri umani, e la prima era stata mia moglie. E va bene anche questo. Ma dove si inseriva tutto questo nel disegno delle cose?” [Duncan, “L'ultimo lupo mannaro”, p. 209].

Secondo Nick Cave, siamo dalle parti di un romanzo capace di andare al di là dei generi: il papà delle “Murder Ballads” giudica “L'ultimo lupo mannaro” qualcosa di “sexy e sanguinoso”. Sono due aggettivi spesi con particolare opportunità, perché questo libro, primo di una trilogia, sembra fondarsi su tre assi portanti: il divertimento kitsch, la sensualità, una scanzonata crudeltà.

Si va in cerca di un libro come questo non soltanto perché c'è la possibilità che Ridley Scott si decida a farne un film, tra qualche anno, un film stravagante, buffo e balzano quanto basta: si va in cerca di un libro come questo perché, da lettori delle ISBN di Milano, si ha la discreta sicurezza che non si andrà incontro a un'esperienza estetica inadeguata o mediocre. Così è: “L'ultimo lupo mannaro” è un giocattolone kitsch, allegramente derivativo, confezionatissimo. La lettura è adolescente e pacioccona: nei frangenti migliori restituisce sorrisetti da vecchi fumettari impenitenti, nei frangenti più radicali muove la ganascia, vuoi per il tono netto di certe battute, vuoi per l'incresciosa forzatura di diverse citazioni. Mi sembra d'aver pizzicato Nabokov, per dire, a un certo punto, ma tant'è. D'altra parte, con un titolo del genere, l'autore – Glenn Duncan, classe 1965, da Bolton – non fa niente per spacciarsi per altro da sé. Con un titolo del genere il lettore si deve predisporre a leggere il libro, nei suoi mi auguro ricchi e distensivi ritagli di tempo, con una mano cacciata nei popcorn (scrocchiarelli) e l'altra impegnata a tenere ferme le pagine. Un bicchierone di cocacola freddo (niente limone) e magari qualche libertà – dipende dal grado di intimità coi presenti, o al limite dallo stile e dall'educazione. In bus mancano i comfort essenziali, ma in compenso ci si può concentrare meglio sui momenti di maggiore (ma sempre relativa) introspezione della storia. Sì, c'è introspezione, qua dentro. Non alla Sclavi, ma c'è.

Protagonista principale della vicenda è uno che sa di essere l’ultimo della sua specie. Non siamo in un libro della Rice: non siamo in un libro di Matheson. È un grosso lupo mannaro. Ha i suoi bravi duecento anni, e nel corso di tutto questo tempo non s'è fatto mancare niente: carne fresca da mangiare, carne fresca da sbattere e distruggere. Ogni mese, puntuale come una cartella Equitalia, durante il plenilunio, Jake ha il suo momento magico: fa il suo giochetto con la luna piena, diventa nervoso forte, s'innamora della sua rabbia e dei suoi istinti, e li sprigiona. Ama assecondarsi. Trova che sia sano. Bizzarro.

Jake ha dei nemici. Non è soltanto una questione di vampiri: c'è questa loffia gente del Wocop, una sorta di Cicap più cattivo (“Organizzazione Mondiale per il Controllo dei Fenomeni Occulti”) che si rivela persuasivo con le buone o con le cattive maniere. E tra le competenze di questo Cicap postmoderno c'è lo sterminio (l'esecuzione) di quelli della sua specie. Che appunto pare quasi estinta, quando entriamo nella storia. Jake è uno che ne ha viste parecchie: era in Europa quando Nietzsche e Darwin pensavano di sbarazzarsi di Dio ed era in America quando Wall Street aveva ridotto l'American Dream a una scarpa e una ciavatta. Insomma, ne sa parecchie. Ma adesso c'è qualcosa che non va: “Adesso la depressione mondiale coincide con la mia. Lo devo ripetere: non ne voglio più, davvero, non posso sopportare altra vita. Prendetevi la mia e tenetevi le vostre”, sbotta. E niente, Jacob ha proprio deciso di terminare. È pieno di nausea. Non vuole più vivere. Ha visto tutto, un sacco di volte, ed è stanco della fame, stanco del desiderio. Stanco di ammazzare, stanco di aspettare, stanco della ripetitività e della prevedibilità di tutto quanto. Non ha più voglia di flirtare con la fame e col desiderio. Non ha più voglia di metamorfosi. Va bene che è sempre una questione di due minuti, ma insomma. Tutta quella carne e tutto quel sangue umani sono stati intossicanti. Ma qualcosa sta per cambiare. Un incontro spezzerà la sua smania autodistruttiva. E restituirà al Lupo l'amore per la vita.

“Un pacchetto nuovo di Camel era arrivato col vino, come avevo ordinato. Ne accesi una. Il dono più grande della licantropia è fumare sapendo che non nuoce alla tua salute. Mi versai l'ultimo bicchiere della sera. Tornò la pace, più o meno. Non cambiava nulla, ripetei. Avrei aspettavo altri ventinove giorni fino alla prossima luna piena, quando...” [Duncan, “L'ultimo lupo mannaro”, p. 253].

“L'ultimo lupo mannaro” è divertimento puro. Disimpegno assoluto. Allora, dico, divertitevi sul serio. Fino in fondo.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Glen Duncan (Bolton, Inghilterra, 1965), scrittore inglese. Ha studiato Filosofia e Letteratura alla Lancaster University. Il suo primo romanzo, Hope, è stato pubblicato nel 1997.

Glen Duncan, “L'ultimo lupo mannaro”, ISBN, Milano, 2011. Traduzione di Tomaso Biancardi. Collana “Special Books”, 7. In copertina, qualche battuta di Nick Cave. 480 pagine. 16,90 euro. 9788876382222

Prima edizione: “The Last Werewolf”, 2011.

Gianfranco Franchi, maggio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.