L’incanto del lotto 49

L'incanto del lotto 49 Book Cover L'incanto del lotto 49
Thomas Pynchon
Einaudi
2005
9788806178581

Se nemmeno il figlio di Dio rispondeva alla domanda “Quid est veritas”, figuriamoci il profeta del postmoderno come poteva comportarsi: Pynchon insegna che la verità non esiste, che la verità è un fuoco fatuo di elementi a incastro che si illuminano solo di fronte allo sguardo di chi sta cercando, e di lui – o di lei – soltanto; che i sotterranei complotti per detenere controllo e potere rimarranno, che ci piaccia o no, relativamente sotterranei: emergeranno frammenti più o meno indecifrabili, ricomporli non sarà possibile. Giocarci si può, illudersi è normale, sbagliare è inevitabile.

L’incanto del lotto 49” è un tetro divertissement romanzesco: l’irrisolta tragicommedia di un’indagine su una misteriosa lotta tra compagnie postali, nel corso dei secoli, per mantenere e detenere il controllo della comunicazione. Per evitare che ogni comunicazione scritta sia sotto lo sguardo del governo, e per garantire una speranza alla verità (relativa, e individuale, della comunicazione punto a punto): che possa circolare senza controllo. Tutto qui, a un primo sguardo. Ma Pynchon è un crazy diamond. È un diamante pazzo che ha capito che non c’è nessuna speranza per l’umanità diversa dal cantare il nonsense dell’esistenza, e che cercare di forgiare la verità è un’impresa donchisciottesca; è un artista che rifiuta di allinearsi a paradigmi e canoni e si distende, come un treno deragliato, ben oltre i binari della razionalità e della logica: i vagoni se ne vanno, a velocità abnorme, per terreni, torrentelli, vigneti e uliveti, periodicamente estranei alla rotta prima, cercando di mostrarsi compatibili con la natura. È delirante ma l’autore sembra essere persuaso che sia così: se niente ha uno e un solo senso e niente è vero, allora io posso mescolare la musica del popolo con Stockhausen, citare disinvolto il mio vecchio professore Nabokov, passare dalla filologia alla satira antigovernativa, dall’erotismo alla narrazione di un mistero, per interno giorno contemporaneo e acquatici cimiteri di guerra: l’amalgama è questa scrittura incredibilmente lucida e pulita, a dispetto di digressioni e trame nelle trame che sembrano provenire da una personalità sfinita dalle proprie scissioni, e dalla turbolenza del suo pensiero. Cosa darei per entrare nel cervello di quest’uomo e riallineare tutti i pezzi: almeno, per dare loro un nome. Come tasselli di un mosaico frantumato a martellate (da un passante: invidioso, o forse semplicemente preda di un raptus), li immagino dispersi e scintillanti o impolverati, sparpagliati in una pianura frammentata da voragini e baratri oscuri e infiorati. Qualche tassello, in quelle voragini, è finito sicuramente. Vallo a riprendere, adesso. Senza guardare i fiori sulle pareti, dico.

Rispetto all’opera prima, “V.”, “L’incanto del lotto 49” si rivela decisamente più equilibrato e accessibile; nei limiti di quanto appena scritto, ma senza precipitare il lettore nell’irritazione, nella noia o nella frustrazione come avveniva – come mi è avvenuto – nell’esordio. Il conflitto tra la Trystero e la Thurn und Taxis è uno dei plot; l’altro è quello dell’incipit dell’indagine. Ossia, la storia di Oedipa Maas. È una ventottenne, casalinga di buone letture, sposata con un deejay. Pynchon sa descriverne minuziosamente l’attività – come se avesse deciso, a un tratto, che l’immortalità nel gesto minimo cara al Karlsen fosse la chiave per dipingere la sua essenza. C’è un elenco di cose che fa, a un tratto, degno della capacità di una personalità maniacale e compulsiva di annotare tutto. È nelle prime pagine, testimonia che Proust e Joyce sono stati interiorizzati con molta naturalezza.

Oedipa aveva avuto una storia con un certo Pierce, tempo prima: un altro demone legione, miliardario e capace di parlare, come un Chaigidel, molte lingue con la voce di molte anime differenti. Pierce muore, e il libro prende il via dall’inattesa decisione postuma di nominare la sua ex esecutrice testamentaria. La memoria è un’allegoria: lei era una che aveva pianto quando Pierce era salito sulla sua torre. Lei voleva fuggire, ma la torre era ovunque. Lei è una donna stupenda che non esce dalla sua prigione (di sogni, di desideri) e si ritrova a lavare i piatti. Non per molto.

Ci congederemo presto dalla sua vicenda sentimentale col marito deejay, che si rivela nient’altro che un figuro funzionale alla narrazione del suo status sentimentale (dell’epilogo non parlo), presto cornuto e con non poca soddisfazione (del lettore, pure), e accompagneremo Oedipa incontro al suo destino. Il testamento del suo ex nasconde segreti e cicatrici di una sorta di movimento-ombra… Oedipa proverà a capire cosa fosse il servizio postale del Trystero, quante fossero le attestazioni del suo nome nella vecchia edizione di un dramma minore, e cosa si nascondesse nei filtri di certe sigarette (non si muore mai del tutto), cosa significasse l’acronimo W.A.S.T.E – We Await Silent Tristero’s Empire – e chi animasse l’organizzazione. E intanto, tra menzogne e verità mascherate, leggeremo del Lago di Pietà del 1943, dove riposa(va)no tanti americani, della mancata alleanza tra russi e unionisti (p. 43) e di un commodoro che comperava lotti di terra californiana per una manciata di pence; di una band chiamata Paranoids, di psichiatri già attivi a Buchenwald, di juke-box che passano Stockhausen, di innamorati anonimi, di avvocati con un passato da attori, e si spogliarelli botticelliani. E ogni tanto, qua e là, rivelazioni: passi che sembrano nascondere chiavi di lettura…

Io vivo in ciò che sembro, e non sono mai sicuro. La possibilità mi perseguita” (p. 22), dice uno dei personaggi-fantoccio di Pynchon.

Non c’è modo di risalire ai fatti, a meno che si segua una correlazione accidentale” (p. 87). Tutto chiaro? Ne potete trovare almeno altri due. Sono le cicatrici della menzogna, fenomeno classico del bugiardo patologico e narcisista. Ne ho scritto spesso, altrove, e Pynchon conferma questa attitudine. Non ha intenzione di farci entrare in un mondo con una verità testuale: nella maniera più limpida e netta. Punto.

Avanti: entriamo nel sistema di Tristero. Nella fioritura di Tristero. Tra i sicari di Tristero. Nella possibilità di Tristero. Tra le lettere che il governo non aprirà, in questa macchina oscura al centro del planetario. Tra le pagine del libro che lo aveva nominato, forse per errore. E infine, progetteremo un mondo.

In una rete mediante cui un numero X di americani comunica davvero riservando le menzogne, le recite di prammatica, gli aridi tradimenti della miseria spirituale, al sistema ufficiale di distribuzione del governo; forse anche in una vera alternativa alla mancanza di uscita, all’assenza di sorprese nella vita che martoria le menti di tutti gli americani che conosci (…)” (pp. 161-62)

Yesterday I Woke Up Sucking A Lemon.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Thomas Ruggles Pynchon (Glen Cove, Nassau, Long Island, NY 1937), scrittore e saggista americano. Esiste solo nelle sue opere: non si concede al pubblico. Studiò Fisica e Letteratura Inglese alla Cornell University, si arruolò in Marina. “V.”, apparso nel 1963, è il suo primo romanzo; in precedenza, aveva pubblicato solo racconti. Il primo è stato "The Small Rain", apparso nel Cornell Writer nel maggio 1959. È la bandiera della Letteratura postmoderna.

Thomas Pynchon, “L’incanto del lotto 49”, Einaudi, Torino 2005. Traduzione di Massimo Bocchiola.

Prima edizione: “The Crying of Lot 49”, Lippincott, 1966.

Gianfranco Franchi, agosto 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.