Le menzogne dell’impero

Le menzogne dell'impero Book Cover Le menzogne dell'impero
Gore Vidal
Fazi
2002
9788881123773

Undici articoli e saggi brevi di Gore Vidal, pubblicati tra 1992 e 2002, sono raccolti in questo “Le menzogne dell'impero e altre tristi verità” (Fazi, 2002), libretto che ha guadagnato tutte le caratteristiche del documento storico-politico a nemmeno dieci anni dalla prima edizione. Scopriamo perché, preparandoci sin d'ora a un po' di tumulto interiore per i contenuti dell'opera.

Nel primo saggio, quello eponimo, Vidal deplora la liquidazione dei fragili Dieci Emendamenti e del sistema di governo repubblicano a un solo anno di distanza dall'11 settembre 2001; conferma che Bush e Cheney non informarono i cittadini dell'allarme rosso segnalato da Mubarak, Putin, Mossad e FBI; è convinto che Bush abbia lasciato tutti all'oscuro per giustificare il già pianificato attacco all'Afghanistan (p. 12), giocando al replay di Pearl Harbor. Vidal scrive che è molto probabile che nessuno abbia ordinato all'Aviazione di intervenire per intercettare gli aerei dirottati fino a quando era troppo tardi (pp. 23-24). “Qualcuno – aggiunge – aveva dato ordine di bloccare e disattivare la procedura standard operativa obbligatoria” (p. 25).

I grandi preparativi per l'aggressione all'Eurasia, scrive Vidal, sono cominciati già a fine anni Ottanta, epoca del conflitto Iran-Iraq: “L'islam è stato demonizzato e presentato come un culto satanico terroristico, che incoraggia attentati kamikaze – che invece la religione islamica, e sarà bene sottolinearlo, condanna” (p. 17). Gli States stanno adorando il “vitello d'oro del capitalismo”, e nel nome del capitalismo hanno adottato una strategia imperialista disumana e omicida. Le origini recenti, a ben guardare, stanno – secondo Vidal – nella prassi del finanziamento ai movimenti islamici in funzione antisovietica. Ipotesi non del tutto peregrina. Che ci fosse simpatia, un tempo, lo conferma in letteratura l'allora giovane Vollman, nel suo mai abbastanza letto “Afghanistan Picture Show” (US 1992, IT, Alet, 2005).

Nel secondo articolo, “Ci siamo persi il ballo del sabato”, Vidal ricorda che i fatti di Pearl Harbor non sono esattamente quelli che ci hanno insegnato a scuola: “Fa parte del mito nazionale che l'attacco non sia stato provocato”, scrive. “A dire il vero eravamo in cerca di una guerra col Giappone dall'inizio del secolo” (p. 46). Quindi, sintetizzando i fatti di Corea e del Vietnam, maledice quel che la direzione degli States ogni tanto crede davvero: “che gli Stati Uniti sono il padrone della Terra e che chiunque ci sfidi verrà colpito dal napalm, stretto d'assedio o rovesciato in segreto. Siamo al di fuori della portata della legge, il che non è insolito per un impero; ma sfortunatamente siamo anche al di fuori del buon senso” (p. 49).

Nel settimo articolo, “Mickey Mouse, storico”, Vidal ci ricorda che gli States hanno ancora basi in Belgio, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Turchia, Gran Bretagna (sette aeree, tre navali), Bermude, Egitto, Islanda, Giappone, Corea, Panama, Filippine, Arabia Saudita, Kuwait, Australia (misteriosa unità CIA di Alice Springs): si tratta d'un impero, capace di dare ordini alle nazioni vassalle di non fare affari con gli “Stati Canaglia”. Nel successivo, il polemico e feroce “Una lettera da consegnare”, parlando dello stato di Guerra Perpetua degli States, Vidal ricorda al “presidente eletto” (virgolette molto opportune) Bush Jr (2000) che dal 1949 al 1999 gli States hanno speso 7.100 miliardi di dollari per la “difesa nazionale”, maturando un debito di 5.600 miliardi. “Ci lamentiamo del terrorismo” - si dispera Vidal - “eppure il nostro impero è oggi il terrorista più spietato. Bombardiamo, invadiamo e sovvertiamo altri Stati” (p. 117). Non poteva spiegarlo con maggiore chiarezza, e universale condivisibilità.

Nel quarto, “La tana del polpo”, si parla del “pulpo”, cioè la United Fruit Companu, “le cui entrate annuali erano il doppio di quelle dello stato guatemalteco” (p. 79). Vidal spiega le responsabilità statunitensi nelle rovinose sorti del Guatemala. E altrove, più volte – questo è uno degli aspetti più terribili e notevoli dell'opera – nei confronti del suo stesso popolo. Nel 2000, “Usa Today” ha affermato (prima pagina) che quasi 7 milioni di cittadini fossero in prigione negli Stati Uniti. Significa il 3 per cento della popolazione adulta. Significa che i dati riferiti all'occupazione, completi di questo dato e di quello riferito a chi ha smesso, per disperazione, di cercare lavoro, avvicinano molto la media americana a quella europea: un cittadino su dieci è disoccupato.

Tenete ben presente questi dati e queste notizie, scritte da un cittadino profondamente democratico e sicuramente liberale, tutte le volte in cui un uomo politico, pidiellino o pidilino che sia, magnifica la democrazia americana e la nostra inevitabile devozione alla sua causa. Chiaro è – almeno a mister Vidal, e scendendo molto (molto davvero) di livello al sor Franchi – che siamo nient'altro che una colonia. Una nazione vassalla. Liberi sin quando il padrone ci vuole liberi. Non è un padrone liberale, è un padrone imperialista. Lezione da non dimenticare. Non abbiate paura della verità. Custoditela, piuttosto. Rivelatela, infine.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Eugene Luther Gore Vidal (West Point, New York, USA 1925-Hollywood, 2012), saggista, sceneggiatore e romanziere americano. Vive a Hollywood Hills. Debuttò pubblicando “Williwaw” nel 1946.

Gore Vidal, “Le menzogne dell'impero e altre tristi verità”, Fazi, Roma 2002. Traduzione di Luca Scarlini e Laura Pugno. Copertina di Maurizio Ceccato.

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.