Le catilinarie

Le catilinarie Book Cover Le catilinarie
Amélie Nothomb
Voland
1998
9788888700519

È grottesca. È paradossale. È travolgente. La scrittura di Amélie Nothomb svicola e sfugge dai canoni e dai parametri d’un genere; fonde e confonde elementi della letteratura gotica, della letteratura psicanalitica, del noir e diletta infiorandosi di nascosti omaggi alla grande tradizione. “Le Catilinarie” si propone come un romanzo sentimentale; d’un tratto, va connotandosi come opera satirica – e quanto sa essere spietata e cruda, la scrittrice, descrivendo vezzi e difetti dei suoi personaggi; con pennellate irregolari e improvvise sgretola e polverizza ogni traccia di bellezza e di armonia, sgualcendo e ridicolizzando aspetto, comportamenti e atteggiamenti di ciascuno di loro. Infine, si rivela come stravagante e bizzarro libro d’eros e thanatos.

La Nothomb sa sprofondare nei toni più melensi del romanzo rosa, nella narrazione dell’amore di Juliette ed Émile, godendo nel tratteggiare un’aura da fidanzatini di Peynet attorno a questa matura coppia che si ritira a godersi l’agognata terza età nella Casa dei loro Sogni; e più s’avanza nella narrazione, più increduli si rimane assistendo all’epifania del lato oscuro d’Émile: si dimentica completamente quanto s’era letto in precedenza (e pure d’una sua confessione, o d’una sua riflessione sull’accaduto, si trattava: egli infatti è il narratore), per ritrovarsi col fiato sospeso a testimoniare l’allucinante epilogo d’una vicenda paradossale. Quella che lega la coppia d’innamorati al loro enigmatico nuovo vicino di casa, Palamède Bernardin, e alla sua felliniana e borborigmica consorte.

Ricostruiamo le premesse dell’accaduto. Juliette ed Émile, fidanzati (sposati, in un certo senso) fin dai tempi delle elementari, sono una coppia sessantaseienne. Lui è un ex professore di greco e latino, che – finalmente – può liberarsi dal senso di colpa d’aver trascurato la moglie, per vivere assieme a lei felice e contento. E come in una favola, ha trovato – assieme a questa moglie che sente come sorella e figlia al contempo – una splendida Casa di Campagna a pochi chilometri di distanza da un paesotto di cento anime, Mauves. Nevica. Il tempo non esiste più – è come se vivessero una nuova e infinita luna di miele. Finalmente soli, come si dovrebbe dire in queste circostanze – a godersi il vagheggiato isolamento.

C’è solo un’altra abitazione, in quei pressi. Là abita, da quaranta anni, il dottor Palamède (come l’eroico inventore dei dadi, durante l’assedio di Troia). Ha una tetra abitudine: risponde per monosillabi, dopo imperscrutabile pausa di quindici, venti secondi; e i suoi occhi non guardano nulla. Si prende eccessive libertà: senza essere invitato, si presenta ogni giorno – alla stessa ora, rimanendo per due ore – dai suoi nuovi vicini. E non dice – sostanzialmente – nulla. Neppure ringrazia. Soltanto, occupa spazio; il suo è uno dei silenzi più violenti e odiosi della storia della letteratura occidentale. L’impulso del lettore è quello di immergersi nel libro per poterlo schiaffeggiare a oltranza: i limiti angusti di questa realtà che viviamo impediscono, purtroppo (ma non demordo, personalmente) d’integrarci nel mondo fantastico (per così dire) creato dall’artista originaria di Kobe.

Il dottore è perplesso. Il suo esasperante silenzio – e la sua insensibilità all’umorismo, come all’insofferenza, come alla logorrea erudita, come all’aggressività – fiacca e debilita i nervi del vecchio professore; assieme all’adorata compagna, prendono a fantasticare sulla misteriosa consorte che mai l’indesiderato ospite porta con sé.

Il dottore ha occhi che non guardano nulla, si diceva: come se non bastasse, a questa sua vocazione da vegetale s’aggiunge una certa aria seccata e irritata dalle (comprensibili) domande che la coppia tenta di rivolgergli, risolvendo spesso queste velleità in burrascosi e caotici monologhi, a sfondo letterario o sentimentale o polemico. Appare ad Émile come un figuro d’una tristezza “pesante e imperturbabile”.

È inevitabile, come la morte: soltanto, più tragicamente, ha periodicità quotidiana e durata invariabile. Quando – ad esempio – la coppia decide di non aprirgli la porta, il dottore bussa come un forsennato, fin quasi a scardinarla. Vuole schiacciarli con la sua nauseante e fisica nullità intellettuale e spirituale. Tramortirli di tristezza, e di squallore. Maestra nell’instillare odio contro di lui, la scrittrice è riuscita a incarnare un autentico Tersite: semplicemente indifendibile, privo di qualunque ombra di fascino e di umanità, Palamède – onestamente – deve morire, perché altra rotta quella sua vita non pare avere.

Lo scocciatore persiste, ed Émile comprende, esercitandosi ad annoiarlo ancor più (invano), una “verità insospettata: è molto più divertente essere noiosi che essere interessanti. In classe, quando cercavo di dare un’immagine vivace di Cicerone, mi capitava di soffocare uno sbadiglio interiore. Invece, innaffiando il nostro persecutore della mia erudizione indigesta, non potevo impedirmi di giubilare. Compresi finalmente perché i conferenzieri sono quasi sempre barbosi. Neofita nel mestiere di rompiscatole, mi capitava di avere dei vuoti. Li riempivo come potevo. Un giorno, dopo aver sproloquiato su Esiodo per un’ora, mi ritrovai al buio (…)” (p. 52) – ed è in quel momento che ha l’intuizione di invitare a cena dottore e consorte. A questo punto, la descrizione della signora merita d’essere ricordata. Dubito d’aver mai letto pagine così feroci e corrosive nei confronti degli obesi: la Nothomb è d’una spietatezza inarrivabile – m’inchino, riconoscente e ammirato. Vediamo: la signora è una “protuberanza”, non ha mani ma “tentacoli”, e “bocca di piovra”; è una “massa di carne” – di più, una “cisti” deambulante; non parla, ma “erutta grugniti”: il bicchiere “le si inserisce” in bocca, e via dicendo. Impossibile trattenere risate grasse (beh) e una discreta (direi irresistibile) nausea, se solo si valuta l’ipotesi di visualizzare l’immensa figura descritta.

A questo punto, eviterei d’approfondire la trama per non rovinare al neofita il godimento della lettura e dello stupore. Soltanto segnalo questa memorabile descrizione dello scocciatore, ospitata a pagina 72: l’antico "Ibam forte via sacra" è nulla, in confronto: “In verità, il signor Bernardin stava al mondo solo per rompere le scatole. La prova è che non aveva un briciolo di piacere nella vita. Lo avevo osservato: tutto gli era sgradito. Non amava bere, né mangiare, né passeggiare nella natura, né parlare, né ascoltare, né leggere, né guardare le cose belle, niente. Il fatto più grave è che non trovava piacere neanche a scocciare: lo faceva con convinzione, perché era la sua missione, ma non ne traeva gioia alcuna. Aveva l’aria di trovare molto scocciante scocciare”.

Un libro divertente, scritto in modo superbo – la Nothomb è un dono del cielo per i lettori del nostro tempo, ed è bene che questa grandezza le venga riconosciuta per tempo e universalmente. Dubito – dopo aver letto quattro dei suoi romanzi – d’aver incontrato tra i contemporanei tanto eclettismo, tanta sottile intelligenza, tanta ironia, tanta fluidità nell’espressione, tanto talento nelle descrizioni e nei dialoghi: qualche argomento si ripete (ad esempio, il tema del doppio; qui in modo meno scoperto, ad esempio, rispetto a “Mercurio”), ma l’impatto è gradevole perché si tende a riconoscere più una firma (una impronta stilistica) e una deliziosa ossessione (per la bellezza – perché solo chi ha un’idea così alta della bellezza può descrivere la bruttezza e la mostruosità con questa ferocia; e per il piacere) che una tendenza a emularsi e a non rinnovarsi.

Ogni lettore potrà – a seconda della sua sensibilità estetica, e della sua formazione culturale – apprezzare in questo romanzo qualcosa di differente. Una lettura simbolica potrà rivelarsi fascinosa e inquietante; una lettura psicologica potrà approfondire la relazione tra l’io narrante e l’alterità, o tra “l’originale” e il sosia (deforme e orribilmente alterato); una lettura leggera potrà semplicemente gustare l’aspetto satirico e grottesco della vicenda.

In ogni caso, “Le Catilinarie” vi rimarrà dentro. E forse contribuirà a fomentare l’odio che – ne sono certo – ognuno di voi ha nutrito nei confronti di chi ha osato violare la vostra Casa, ingombrandovi con la sua inerte presenza, periodicamente; o – peggio ancora – di chi v’ha annoiato mortalmente (colpa peggiore non credo esista, in tempo di pace).  Da leggere, per innamorarsi d’uno stile di scrittura unico in Europa.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Ha esordito nel 1992 pubblicando il romanzo “Igiene dell’assassino”.

Amélie Nothomb, “Le Catilinarie”, Voland, Roma 1998. Traduzione di Biancamaria Bruno.

Prima edizione: “Les Catilinaires”, 1995.

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Settembre del 2004.