L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio

L'avventura londinese o l'arte del vagabondaggio Book Cover L'avventura londinese o l'arte del vagabondaggio
Arthur Machen
Tranchida
1998
9788880031732

È possibile, oscuramente possibile, che il vero schema e tracciato della vita non appaia nell’aspetto esteriore delle cose, che è il mondo del buon senso, del razionalismo, delle deduzioni ragionate, ma piuttosto affiori, seminascosto, visibile unicamente in certe rare illuminazioni e solo a un occhio preparato; un tracciato segreto, un ornamento che sembra soltanto avere una piccola relazione o nessuna del tutto con l’ovvio schema dell’universo” (Machen, “L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio”, cap. I).

Arthur Machen, artista gallese del tardo Ottocento/primi Novecento, affiliato alla Golden Dawn di William Butler Yeats, maestro della letteratura fantastica, prima fonte di ispirazione di Lovecraft: queste le coordinate essenziali per orientarsi nel suo microcosmo letterario. Purtroppo, alla inestinguibile sete di sapere dei contemporanei italioti dovrà sposarsi una dedizione all’archeologia del presente: i libri di Machen sono difficilmente reperibili, per rinvenirne copia è attualmente necessario saccheggiare rigattieri e dragare polverosi magazzini dismessi. In attesa di una organica e capillare traduzione dell’opera omnia, con debito apparato filologico (Adelphi: supplice t’invoco), possiamo accostarci ad un atipico romanzo-saggio, “L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio”, pubblicato dal coraggioso Tranchida nel 1998.

È la storia di una storia che non ha inizio: il libro che il narratore (qui coincidente con l’autore) doveva scrivere era stato progettato nel corso di qualche vagabondaggio per la città; già schematizzato e titolato “L’avventura londinese”, sembrava sul punto di venire alla luce. Ne è derivato, invece, un labirinto di digressioni, reminiscenze, considerazioni e osservazioni dell’autore, autentico wanderer per le vie di una Londra in piena trasformazione, in embrionale disordine architettonico postmoderno e tuttavia ancora segnata dall’antica magia delle taverne e degli edifici un tempo lussuosi e ora diroccati e fatiscenti. Numerosi e indiscutibili i segni dell’oralità: ripetizioni lessicali, caos espositivo, argomenti appena intrapresi e poi recuperati a distanza di pagine; l’impatto di questo artificio è gradevole, non appare lezioso né rigido, e in più di una circostanza si prova il piacevole effetto estraniante di passeggiare per la Londra inconsueta e “incognita” che Machen vagheggiava e ricercava, “ascoltando e soppesando tutti i messaggi ricevuti in ogni tipo di posto”.

Argomento: il wandering del pensiero e dell’immaginazione e il trionfo dell’associazione di idee. Si passa dal ricordo di episodi di cronaca “misteriosi” e “non lineari”, come un poltergeist o la curiosa parabola del signor Campo Tosto di Burnt Green, ereditati dall’esperienza giornalistica di Machen, alla ricerca dei luoghi e degli edifici delle opere dickensiane, attraverso rapide incursioni nellorigine della “Ode to a Nightingale” di Keats e disamine del rapporto esistente tra genio e follia. E ancora: si discute il confine tra ciò che è e ciò che appare, si indaga la natura delle nostre percezioni (che Machen giudica assolutamente fallaci: “ci muoviamo in una dimensione di illusioni che coesistono sullo stesso piano”), si accenna allo spiritismo e alla purezza mistica dello scorrere di un fiume: apparentemente non esiste ordine, la consequenzialità si smarrisce con una facilità suggestiva (ma divertente, mai deprimente), si va a testimoniare – in altre e più franche parole – la miracolosa logorrea d’uno scrittore che non godeva di buona stampa, non contava su un pubblico di fanatici o di appassionati, non riusciva a risolvere i suoi (gravi) problemi economici.

L’esito è senza dubbio appassionante e fascinoso: “L’avventura londinese” può valere come lettura privilegiata per accostarsi allo stile, alla lingua letteraria e alle passioni di Machen. Libro che sprigiona vivacità intellettuale e splende d’immaginazione e d’erudizione, è la prima porta per accedere al microcosmo dell’artista gallese. Le foglie cominciano a crescere.

Ma il mondo sconosciuto è sempre vicino a noi, a portata di mano; solo un velo sottile ce lo preclude, e la porta per entrarvi potrebbe essere dietro l’angolo. Ci sono alcune zone di Clapton da cui è possibile, in un giorno sereno, vedere le dolci colline di Beulah, sebbene gli esperti in topografia possano assicurarci che si tratta solo della foresta di Epping. Ma gli uomini di scienza sbagliano sempre” (“L’avventura londinese”, cap. IV).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Arthur Llewellyn Jones, alias Arthur Machen (Caerleon-on-Usk, Gwent, South Wales, 1863 – Amersham, Buckinghamshire, England, 1947) romanziere, saggista, traduttore e giornalista gallese. Esordì pubblicando, anonimo, un poemetto titolato “Eleusinia”. Il suo primo libro, il singolare “The Anatomy of Tabacco”, fu stampato a Londra nel 1884.

Arthur Machen, “L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio”, Tranchida, Milano, 1998. Traduzione dall’inglese e postfazione a cura di Franco Basso.

Prima edizione: “The London Adventure or the Art of Wandering”, Martin Secker, Londra, 1924.

Gianfranco Franchi, settembre 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Labirinto di digressioni, reminiscenze, considerazioni e osservazioni dell’autore, autentico wanderer per le vie di una Londra in piena trasformazione…