L’ascensione di Baggio

L'ascensione di Baggio Book Cover L'ascensione di Baggio
Vanni Santoni, Matteo Salimbeni
Mattioli 1885
2011
9788862612401

Classe 1967, Roberto Baggio da Caldogno era uno che giocava con un'eleganza e una fantasia che sembravano semplicemente rinascimentali. Era nato per Firenze. Il destino era stato didascalico: dove poteva finire per giocare, quel ragazzo che aveva bellezza e grazia nel sangue, se non nella città di Dante? Ma l'Italia degli anni Ottanta e Novanta non conosceva saggezza, e forse non aveva voglia di ospitare leggende. E fu così che Baggio finì per diventare juventino, milanista, bolognese, interista, bresciano; tutto fuorché fiorentino, tutto fuorché artista fedele a una e una musa soltanto. Fece innamorare di sé tante città e tante tifoserie, spaccò una valanga di spogliatoi perché era troppo forte e troppo amato, non trovò pace con tanti allenatori e non trovò gloria vera, la immaginò soltanto, giocando per la nazionale nei Mondiali del Novanta e del Novantaquattro. E noi con lui. Nel Novantotto già meno.

Baggio era uno che sapeva segnare da calcio d'angolo. Uno che sapeva rialzarsi da qualunque infortunio. Uno che ai Mondiali del '90, a ventitré anni, poteva prendere e dribblare gli avversari con naturalezza assurda, come ballando. Uno che a Firenze aveva raccolto l'eredità di un talento cristallino come Antognoni. Uno che stava vincendo il Mondiale da solo, a ventisette anni, al di là dell'Oceano. Uno che per la Fiorentina aveva pianto: perché non voleva lasciare Firenze, perché amava tanto quella città. Ma i Pontello avevano deciso, i Pontello l'avevano venduto.

Ma “Raffaello, il Coniglio Bagnato, il Divin Codino, l'eterno incompreso, quello che secondo molti è il più grande calciatore italiano di sempre” era uno che aveva deciso che non bastavano due miliardi di lire d'ingaggio per tirare un calcio di rigore contro la sua amata Fiorentina. Soprattutto, con quella maglia lì, con quelle strisce bianche e nere tanto mogie, e tanto carcerarie. E così, quel giorno, uscendo dal campo, raccolse una sciarpa viola e andò a posarla nel suo vecchio armadietto.

Baggio, scrivono Salimbeni e Santoni, “non è un campione da record, traguardi, medaglie. È una cosa più bella. Più alta dei podi, più indissolubile dell'oro: un lunghissimo corteo di ricordi che si intreccia alla vita di una nazione e ne diventa coscienza collettiva”. Già – ha vinto pochino. Due scudetti, uno juventino e l'altro milanista (madonna mia...), una Coppa Italia e una coppa Uefa. Più o meno come Totti, uno che almeno sul mondiale una firma claudicante ce l'ha messa, uno a cui per vincere un Europeo mancavano due minuti.

E in questo loro romanzo-tributo, sconnesso e romantico quaderno di narrativa, più vicino alla raccolta di racconti, di sketch e di frammenti, in puro stile Santoni, che al romanzo (la struttura è fragilina davvero, non tiene), i due scrittori toscani hanno condiviso con larga parte della loro generazione il loro amore e la loro adorazione per Baggio. Finendo per convincersi che quella del ragazzo di Caldogno non è stata una maledizione, ma un'ascensione. Nel libro c'è tanto di santino, non a caso.

Santoni e Salimbeni si domandano: “Ma è esistito, poi, Roberto Baggio? Qualcuno l'ha conosciuto davvero? Per Sacchi, Baggio era un volo d'avvoltoi, uno sciame d'insetti a tormentargli le notti, il simbolo delle proprie difficoltà, di quel limite ultimo che ti dice: sei un uomo. Per Ulivieri era come l'amante della moglie, che si sospetta esista, si sa che esiste, ne parla la gente, ne parla ogni bar, mai un caffè tranquilli, e si fa finta di no, anche quando gli si muove contro. Capello? Capello, scolpito nelle sue certezze, neanche si è accorto di avere qualcosa di sacro accanto. Lippi ha preferito la rovina anche solo all'idea di provare a bagnarsi di quell'acqua santa. […] Solo Carlo Mazzone, il buon vegliardo che sa affidarsi alla fede, solo lui lo ha accettato. Solo lui lo ha chiesto” [p. 73].

Ma noi romanisti questa cosa la sappiamo spiegare meglio di chiunque altro. Carlo Mazzone era stato appena folgorato dal talento di Totti, dalla bellezza del gioco del ragazzino che sarebbe diventato capitano: Mazzone aveva già guardato in faccia il sole, e aveva saputo addestrarlo a una grandezza nuova, e diversa. Da queste parti abbiamo sempre guardato a Baggio con ammirazione e con profondo rispetto. Non mancava un pizzico di malinconia, perché si diceva che la Roma era arrivata vicinissima a comprarlo, quando giocava nel Vicenza, a inizio carriera, ma poi s'era tirata indietro perché s'era infortunato. La Fiorentina ci aveva creduto, la Roma no. Quella era una delle ultimissime Rome di Liedholm – Liddas, il Barone, quello che ha insegnato la Zona agli italiani, quello che veniva prima di Sacchi, di Scala, di Zeman, di tutti. Chissà quanto si sarebbero trovati bene, Giannini e Baggio, il Principe e l'Artista: il piccolo Totti sarebbe cresciuto in una squadra assurda. Bellissima.

Da queste parti avremmo comunque preferito che Baggio fosse restato il campione della Fiorentina, e non il talento nomade che tutti amavano e che nessuno portava alla vittoria. Sarebbe stato un magnifico campione d'una squadra di sconfitti – e di una soltanto. La Fiorentina è come la Roma. Che peccato.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Matteo Salimbeni (Firenze, 1982), scrittore e drammaturgo italiano. Diplomato alla Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ha collaborato con diverse riviste come “Collettivomensa”.

Vanni Santoni (Montevarchi, 1978), scrittore e giornalista italiano. Ha esordito, in narrativa, pubblicando “Personaggi precari” (RGB, 2007). Laureato in Scienze Politiche. Vive e lavora a Firenze. Ha collaborato o collabora col “Mucchio”, “Corriere della Sera” e “Nazione Indiana”. Ha co-fondato il progetto SIC: scrittura industriale collettiva. È parte di TQ. 

Matteo Salimbeni, Vanni Santoni, “L'ascensione di Roberto Baggio”, Mattioli 1885, Fidenza 2011. Contiene un santino di R. Baggio.

Approfondimento in rete: Sarmizegetusa / WIKI it

Gianfranco Franchi, dicembre 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot

Classe 1967, Roberto Baggio da Caldogno era uno che giocava con un’eleganza e una fantasia che sembravano semplicemente rinascimentali. Era nato per Firenze.