La storia maledetta. Racconti triestini

La storia maledetta. Racconti triestini Book Cover La storia maledetta. Racconti triestini
Ivo Andrić
Mondadori
2007
9788804572527

INGANNEVOLE E' IL SOTTOTITOLO PIU' D'OGNI COSA (ma non è colpa dell'autore: è colpa dell'editore)

Altro che “Racconti triestini”: “La storia maledetta”, opera narrativa apparsa postuma, e non per volontà autoriale, suddivisa in quattro frammenti di varia grandezza (gli ultimi due sono più estesi, i primi due sono poco più che sketch), è vagamente ambientata a Trieste, sì: ma nella galera di Trieste. Protagonista, uno studentello bosniaco. In altre parole, qui di triestino c'è quanto ci poteva essere di Venezia o di Milano: il nome. Il nome e quattro riferimenti spesi con negligenza. Un po' poco per giustificare la prepotenza d'un sottotitolo che andrebbe cassato nelle edizioni a venire. Tra l'altro, non si tratta nemmeno di racconti. Insomma: va bene che la confezione è tutto, ma in questo caso si va un po' troppo distanti dal vero. Non si fa un servizio né all'autore né ai lettori. Non è da Mondadori... Tutto qua.

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Quattro frammenti d'un romanzo incompiuto dell'unico premio Nobel jugoslavo, Ivo Andrić (1892-1975), raccolti per la prima volta in volume. Si tratta – leggiamo nell'introduzione di Marija Mitrović – di “Esaltazione e rovina di Toma Galus”, originariamente edito nel 1931 in una rivista belgradese, poi apparso nella raccolta “Sentieri, personaggi, paesaggi”; e di “Dalla parte del sole”, “L'impero di Postružnik” e “La storia maledetta” mai pubblicati in precedenza; sono apparsi, postumi, in Serbia nel 1994, come “parti di un romanzo mai portato a termine”, assieme ad altri frammenti non inclusi in questa edizione. Sono tutti genericamente ambientati a Trieste, come s'accennava: tendenzialmente, in galera. La curatrice rimarca il fascino della rarità d'una produzione letteraria di IA dedicata allo “spazio europeo”: era infatti autore legato elettivamente al mondo balcanico e all'Impero Ottomano. Si vede. Siamo lontani dal suo ambiente prediletto (la Bosnia), terreno d'incontro di religioni e culture differenti: proprio come, su scala minore e ben altra tradizione, la nostra Trieste, teatro involontario e irrichiesto di questa sua produzione giovanile e incompiuto.

Nel primo racconto, ci troviamo in terra giuliana nel luglio 1914; in quei giorni, la città è ancora austriaca e si sta mobilitando per via della dichiarazione di guerra alla Serbia: “Oltre alle orchestrine davanti ai caffé e alla musica che riempiva le periferie operaie – scrive Andrić – si udivano ogni istante provenire da ogni dove marce militari, con i loro toni pesanti e solenni che provocano brividi paranoici lungo la spina dorsale e lacrime senza ragione” (pp. 3-4). Galus è un giovanotto che viaggia incosciente di quel che è successo a Sarajevo; è ancora entusiasta della sua esperienza ad Aden, in cui ha percepito a un tratto “l'intera ricchezza e tutta la vastità del mondo in un istante solo”.

Entra in città e torna coi piedi per terra: severa ispezione poliziesca, visita medica, dogana, ed “ebrei freddi e sgarbati al cambiavalute” (p. 8; c'è un'altra boutade antisemita a breve distanza. Di dubbio gusto). Le strade deserte, dopocena, lo spaventano. Il giorno dopo vagabonda, tutto rapito dalle sue emozioni, quando tutto a un tratto cominciano a suonare le campane di San Giusto. Lui, scosso ed euforico, grida qualcosa nella sua lingua. Mezz'ora dopo, viene ingiustamente arrestato: è stato scambiato per una spia serba. Una donna lo insulta in tedesco, mentre viene tradotto in galera: “Nieder mit Russland!”, cioè “Abbasso la Russia!”. Tutto triste e perplesso, in prigione, sente avanzare il popolo in marcia verso un tempo nuovo – quello della guerra. “Erano le prime trombe dei tempi nuovi, in cui sarebbero scomparse, forse per sempre, le gioie di una vita libera, e in cui alla fine l'uomo avrebbe divorato il suo simile come un animale selvaggio divora un altro animale, solo con meno senso” (p. 14). Paradossalmente, si sente colpevole. E qui la narrazione si spezza.

Nel secondo, brevissimo racconto, “Dalla parte del sole”, il narratore è in prigione. Assieme ai suoi compagni, spia frammenti di vita d'una casa borghese, da una finestra, sognando la libertà. Qualcuno – un vecchio e uno studente – si complica la vita, litiga e si ritrova in isolamento. Lo studente, musicista, racconta quindi d'aver sognato una melodia cantata dall'uccellino in gabbia nella casa di fronte. E infine tace, come addormentato; e forse sta soltanto cercando di ricreare quella melodia.

Nel terzo racconto, ““L'impero di Postružnik”, l'innocente Galus, rinchiuso in galera, pensa al sole, e s'emoziona: “Sì, in realtà esiste solo il sole, e tutto ciò che vive, respira, striscia, vola, brilla o fiorisce, non è che un riflesso di quel sole, uno degli aspetti della sua esistenza. Tutti gli esseri e tutte le cose esistono solo nella misura in cui nelle proprie cellule contengono le riserve del respiro del sole. Il sole è forma ed equilibrio; esso è coscienza e pensiero, voce, movimento, nome” (p. 28). Lo avvicina Franz Postružnik, prova a parlargli in tedesco e in italiano; Galus risponde “tedesco” e un po' di sloveno, ma quel che Franz gli dice in sloveno non è proprio gentile. È un tizio nei guai per aver falsificato firme e documenti, ha un debole per le bambine e uno strano modo di fare. Cerca di raccogliere informazioni sul suo passato, domanda di Parigi e Belgrado, ma Galus risponde con franchezza; non ne sa nulla. E con la stessa semplicità nega d'essere un rivoluzionario e d'aver dato bado ai discorsi nazialistici bosniaci; e poi delira, e attacca l'impero austriaco, straparla, si dà arie da ribelle. Franz non approva. “Porco! Compare di Princip! Incendiario! Penderai dalla corda, assieme a tutta quella banda di pidocchiosi, e allora il mondo avrà finalmente pace. Porci! Idioti!” (p. 68), lo sgrida. Il loro dialogo non si spegne; si spezza quando Galus esce di prigione.

Nel quarto e ultimo racconto, quello eponimo, “La storia maledetta”, scopriamo cos'ha alle spalle Franz Postružnik. Ma naturalmente non posso sintetizzarlo, per rispetto degli eventuali neofiti. A loro sento, qualora siano digiuni dell'opera di Ivo Andrić, di dare un consiglio elementare e saggio: dimenticare le pubblicazioni postume e puntare, con determinazione, quelle apparse per volontà dell'autore, in vita. Non solo si riveleranno compiute, organiche e sensate, ma potranno addirittura spiegare come sia stato possibile assegnare un Nobel a un dilettante del genere. A questo livello della sua produzione artistica, onestamente, era poco più che un amatore, caotico e sentimentale. Sconsigliato, a dispetto del basso prezzo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ivo Andrić (Travnik, Bosnia, AUT, 1892 – Belgrado, Yugoslavia 1975), irredentista, diplomatico, scrittore bosniaco. Studiò a Zagabria, Vienna e Cracovia. Premio Nobel per la Letteratura 1961.

Ivo Andrić, “La storia maledetta. Racconti triestini”, Mondadori, Milano 2007. Collana Oscar Scrittori Moderni. Traduzione di Alice Parmeggiani. Introduzione, Cronologia e Bibliografia essenziale a cura di Marija Mitrović.

Gianfranco Franchi, ottobre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.