La ragazza di Petrovia

La ragazza di Petrovia Book Cover La ragazza di Petrovia
Fulvio Tomizza
Mondadori
1963
9788845244353

“Povera ragazzetta di Petrovia, lei non sa ancora nulla del bene né del male, ha visto la sua gente partire mentre essa è ancora là; e ora che ha potuto fare una capatina fin quassù e ha visto dove siamo alloggiati pur essendo sempre la stessa gente, con indosso i vestiti che avevamo là, si sta chiedendo perché non potremmo trovarci invece, così come siamo, in una stanzetta del Dom; magari con una stella rossa pitturata sul soffitto, con lo stesso vino sul tavolo e le nostre donne vestite di nero ed Elio che suona le stesse polche e i giovanotti che le ballano all'identica maniera...” [Tomizza, “La ragazza di Petrovia”, pp. 173-174].

1963. Lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, reduce dal grande successo di pubblico e di critica della sua opera prima, “Materada”, pubblica, per Mondadori, il suo secondo romanzo: “La ragazza di Petrovia”. A dar retta ad Aldo Camerino, l'artista mostrava nuovamente, in questo romanzo, “la sua fonda capacità di far vero; e un dolore d'esule che non potrebbe essere più assolutamente comunicativo. Tutto questo con una sobrietà di mezzi, con un attenersi a un realismo ora minuto ora largo, con una bravura intelligente senza esibizionismi, che ricordano altri scrittori triestini (per dirla con geografia del tutto approssimativa). Ma più per contrasto che per rassomiglianza. […] Tomizza nulla concede a facili sensazioni o diciture. Serio, s'è già detto”.

Rispetto a “Materada”, tuttavia, nel secondo libro di narrativa Tomizza sembra concentrarsi su due personaggi in particolare, smarrendo ogni tanto quel respiro corale, poetico e contadino che aveva fatto grande il suo esordio. La scrittura perde veracità e innocenza, maturando, in più d'un frangente – sembra – una discreta coscienza delle aspettative del pubblico, e della critica. Il periodare si fa più articolato e complesso, soffrendo a volte per qualche eccessiva e irrisolta ambizione. L'aspetto più affascinante del libro sta invece nel suo valore storico-documentaristico, onestamente. Quello della narrazione delle condizioni di vita dei nostri fratelli esuli in quei momenti difficili, nei primi anni Cinquanta. Commentava bene Teresa Buongiorno: «“La ragazza di Petrovia” ci presenta ancora il contadino di “Materada”, questa volta nel momento successivo alla scelta politica, quando ossia egli è giunto in Italia e vive, con la famiglia, in mezzo ad altri istriani sradicati in un campo profughi. È ossia questo il momento intermedio, incerto e confuso, momento di aspettative e di attese, preludio a un nuovo inserimento in una terra diversa, abbandonato il paese dei padri, l'orizzonte consueto delle proprie campagne, il suono familiare del proprio dialetto, il clima della vita comunitaria rimasto immutato traverso successive dominazioni [...]».

Profughi, allora. “Chiusi a tutte le speranze”, sembrano scampati a un naufragio o a un'alluvione, scrive Tomizza, quando li incontriamo per la prima volta, seduti sul ciglio d'una strada, “gli occhi fissi sulle poche masserizie, a due passi da un posto di blocco”. Masserizie, e per capirci meglio: “pezzi di mobilio, casse, ceste di polli, vasi di olio e sacchi di farina”. Povere cose ammassate alla meglio. Quelle cose che oggi è possibile osservare, e meditare, entrando in uno di quei magazzini del Porto Vecchio di Trieste raccontati dall'onesto Pietro Spirito nella recente antiguida “Trieste è un'altra” [Mauro Pagliai, 2011], finendo inevitabilmente per sentirsi feriti e avviliti.

E poi entriamo nella baracca. Avviciniamoci alle baracche. Tomizza dice che ci si trova in una “periferia provvisoria di una provvisoria città che nessuno aveva ancora veduto”. E descrive quella periferia, vicino Gropada, in Carso, con incerta poesia, e nitido sguardo. Ma noi abbiamo voglia di guardare quelle baracche. Sembra che diverse di esse siano più recenti di altre. Abbiamo voglia di guardarle e di ascoltarle:

“Una fila di baracche dalle finestre spalancate e senza luce, da cui uscivano rumori accavallati e precipitosi, come se dietro alle pareti ogni famiglia tenesse il pittore o il falegname in casa, e tutti avessero premura di finire l'ultimo pezzo di muro per lavarsi le mani e mettersi a cena […] e poi dormire arrangiati alla meglio per quella notte” [pp. 16-17].

E poi Tomizza ci accompagna fino ai confini del campo. Dove abitano i carabinieri, dove stanno le scuole e le case dei maestri, dove sta il prete, don Paolo Vatta, in una piccola villa. E intanto, strada facendo, il narratore incontra vecchie conoscenze di Buje, Isola, Pirano, Cipiani, Vinella, Petrovia, Capodistria, Umago. Tutte le anime dei paesi e dei borghi istriani perduti. È come uno strano sogno, in cui c'è la soddisfazione di riconoscere “i nostri”, di stare “tra i nostri”, ma c'è anche tutta la sofferenza e l'estraniazione possibile di chi vive in un limbo. Senza essere più padrone di niente. Senza avere più passato. Senza avere più terra.

Per andare in città serve la corriera – si vive come in un villaggio. Quel villaggio è il Campo – c maiuscola – e là i nostri profughi riescono almeno a mangiare regolarmente, un primo un secondo e pane a volontà, e vivono aspettando un impossibile ritorno a casa, già costretti a credere in un adattamento in un ambiente altro. Chissà dove. Chissà quando. Va' pensiero.

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Secondo Giancarlo Vigorelli, questo è “un libro amaro e aspro, che si lega saldamente alla tragica eredità di uno Slataper”. In questo senso è paradigmatica la vicenda dell'altra protagonista del libro, Giustina, da Petrovia: sempre nelle parole di Teresa Buongiorno, Giustina, “testimone del lento esodo dei propri compaesani, viene a scoprire il sesso e l'amore in un momento assai precario della vita della propria comunità; ed è appunto un amore senza speranza che la conduce oltre il confine a mescolare il suo destino con quello degli altri profughi, ad assistere al loro faticoso adattamento, senza comprenderli appieno, a tentare infine di nuovo la fuga verso l'orizzonte noto della propria infanzia, a trovarvi la morte” - morte che viene, simbolicamente, dopo aver ascoltato parole d'una lingua che proprio estranea non è; quelle parole, scrive Tomizza, vengono da una lingua “non sua ma ora ancora più familiare della sua”. Quella di chi adesso domina la terra perduta e abbandonata, al di là del confine.

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Rilevava correttamente Alberto Spaini: «“Non si parla qui del valore letterario dei due libri (“Materada” e “La ragazza di Petrovia”), che è assai alto e deve essere analizzato in profondità; si parla solo della testimonianza che Tomizza porta a questo problema: lo scambio delle popolazioni, questo problema che ci tormentava quarant'anni fa quando ne erano vittime i greci di Smirne e continua a tormentarci oggi che ne vediamo le vittime sparse in tutto il mondo. È una situazione in margine, quella del profugo, come quella del passeggero di una nave che affonda, eppure in lui la vita continua”.

E allora, gli istriani sono come i nostri fratelli Greci di Smirne, dei dintorni della vecchia Mileto, di Alicarnasso: come loro sono finiti a vivere in un mondo che spesso ha dimenticato la loro storia, e frainteso ed equivocato il loro dramma, offendendo, con la sua negligenza, spesso ideologica o almeno opportunistica, famiglie e popoli maestri di umanità, e di pietas. Va detto, a onor del vero, che i numeri del disastro Greco – parlo del genocidio e dell'ingegneria sociale, patita per mano turca – sono ben superiori [wiki per le prime notizie] a quelli degli istriani; e noi italiani, in primis noi che veniamo da sangue istriano, dovremmo studiarlo e analizzarlo e piangerlo e condividerlo con il maggior numero di persone possibile per primi, e prima degli altri. Ma questa è un'altra storia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.

Fulvio Tomizza, “La ragazza di Petrovia”, Bompiani, Milano, 1992. Terza edizione, 2009. Include un'antologia critica. ISBN: 9788845244353.

Prima edizione: Mondadori, 1963.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, aprile 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Nel secondo libro di narrativa Tomizza sembra concentrarsi su due personaggi in particolare, smarrendo ogni tanto quel respiro corale, poetico e contadino che aveva fatto grande il suo esordio…