La negligenza

La negligenza Book Cover La negligenza
Enrico Pellegrini
Marsilio
2016
9788831723251

La negligenza” è un romanzo di formazione atipico e doloroso. È la storia dell’assenza di senso e di orientamento in un ambiente di giovani liceali, rampolli della decadente aristocrazia italiota, e della drammatica presa di coscienza della realtà a seguito della prima, tragica epifania del thanatos nelle loro esistenze. D’un tratto, lussi, dissolutezze e disordini s’interrompono: l’apparizione della morte determina il commiato da un’adolescenza che sembravano poter procrastinare a oltranza.

Narratore in prima persona e protagonista della storia è Enrico Celestri, diciottenne “aspirante scrittore” (III, p. 36): il romanzo si snoda in quattro parti (una per ogni stagione), suddivise a loro volta in 3+3+3+ 3(+1) “feste”. Nessun “capitolo”: il ritmo della vita dei personaggi è scandito dalle più etiliche e dissolute occasioni mondane, da Torino a San Francisco, da Praga a New York. Sembrano esistere soltanto nell’edonismo: dedizione a ogni vizio e a ogni lusso, acconcia consuetudine d’ogni raffinatezza. Tuttavia l’intelligenza dell’autore ha provveduto a rimediare a un altrimenti anonimo catalogo dei disordini e dei piaceri della “buona” società italiota tramite l’invenzione d’un autentico romanzo nel romanzo.

C’è una storia che si dipana attraverso la narrazione delle feste, e un’altra scritta tra le righe: capitolo dopo capitolo, incontriamo subito dopo il titolo un paragrafo corsivato, tendenzialmente alieno dal contesto della successiva narrazione se non per non immediata, indiretta e occasionale analogia; quasi a voler suggerire la possibilità di scrivere un libro a due voci – l’incoscienza e il difficoltoso e frammentario cammino del ritorno alla luce, in lentissimo divenire, inaugurano in poche e singhiozzanti battute ogni “festa”; l’antica immaturità e – se vogliamo – la primitiva innocenza del personaggio e la sconclusionata e agiatissima esistenza del suo ambiente nel resto del libro. Fino al momento in cui il doloroso cammino dell’incosciente può convergere con la puntuale trascrizione della memoria del passato: il dodicesimo “capitolo” è l’ultima apparizione del corsivo. Si doveva valicare la linea d’ombra: la vita ha spezzato il ritmo naturale di questa transizione, perché al termine del racconto ad Enrico, convalescente, non rimane che osservare, in poche battute, d’essere – come dire – infestato.

Rimasto solo, si volta attorno e osserva: “Quando escono rimango, per un attimo, a scrutare i regali disseminati sul pavimento. Non vedo alcuna gioia in quei pacchi. Sento solo un’ombra che m’invade. Parla e la sua voce non è né dolce, né rabbiosa. È una voce comune e capisco che ha ragione. Non dice cose importanti ma i suoi modi sono convincenti. Così convincenti da far rabbrividire una bestia. Allora le chiedo di lasciarmi in pace, ma è già troppo fedele”. S’annuncia un’esistenza di dannazione e di rimpianto: dell’amore perduto, della responsabilità d’una morte. Per negligenza.

La negligenza” è la storia di Enrico, diciottenne figlio d’un pittore, liceale che “scribacchia”, integrato nell’ambiente dell’aristocrazia piemontese, e di Franz, il “signore delle feste” (I, 10), il più vecchio del gruppo, già alla guida d’una Bentley: Enrico vede in lui la “sensualità e la severità di un Dio” (III,33) e tende a emularlo. Franz insegna che la melodia più soave è quella delle caviglie di Marinella, la sua ragazza. Enrico se ne accorge non appena la incontra.

Marinella appare, dapprincipio, in una stanza immersa nell’ombra (I, 15): come se fosse stata sempre ad attendere Enrico, non appena scambiano qualche battuta si spoglia – poi precipita in un torpore che pare dettato non tanto da un’alterazione del suo stato, quanto da una cessazione della sua natura simbolica. È creatura d’ombra, appare come spettro, è sensuale e seducente e poi – terminato l’incantesimo – si dissolve. Non ha più i genitori, racconterà Enrico: è “orfana meravigliosa”.

Più avanti, nella sua seconda epifania, investe di luce Enrico: il brillante che pende dal suo collo sembra “una scheggia di ghiaccio, come i suoi occhi”: poco dopo, mentre vaga per un parco, pensando a lei vede la luna luccicare “tra i platani come una camicia damascata”.

È nel linguaggio che Marinella si rivela terrena: mai nella percezione di Enrico, mai nelle sue azioni. Quando lei lascia intendere che non ha più interesse per Franz (III,31) Enrico si trova a fissare “i suoi occhi celesti, umidi, le labbra screpolate e la tiara che luccicava sulla fronte bianca”. Ancora una volta, la sua natura simbolica è evidenziata dalla luce.

L’assenza di Marinella è un assedio – e tormenta, e lacera. Enrico gioca ad inventarla, allora, a ricordarla e a trasfigurarla nei suoi scritti. “Mi sedetti a cavalcioni sul davanzale e scrissi due pagine. Mentre il piede penzolava leggere, i caratteri si allineavano piano. Perché non aveva chiamato? Prima di addormentarmi, toccai le lenzuola cercando le sue mani”.

Il primo bacio – quel che Enrico stava perdendo per distrazione, e per confusione erotica (poco prima aveva stretto a sé Elena, che giudicava “animale felice e indifeso” e in suo potere: III, 39) determina una scazzottata tra lui e Franz. Emulare il modello non significa sostituirsi al modello: è la prima rottura dell’equilibrio nell’ambiente. Marinella lascerà Enrico prima delle vacanze.

Enrico viaggerà, nel corso dell’estate, in America: incontrando riflessi di Marinella in ogni donna, amandone qualcuna e insistendo nel tentativo di farla aderire al suo spettro, alla donna apparsa nell’ombra. Il divino simulacro dell’eterno femminino ripudia la realtà: l’accecato vagheggia e agogna, e se possiede non trova senso – la sua natura è l’incompiutezza, la sua condizione è la tensione. Quando avrà Marinella (XI, 121) penserà “La desideravo tanto che non riuscivo a toccarla. Mi sembrava di aver aspettato tutta la vita e un senso di rabbia, di impotenza si mescolava alla gioia”. Impotenza?

Questa parola non costituisce una scelta “pacifica”, per così dire: l’ultimo pensiero dell’amante passionale, a un passo dall’ultima conquista, non è “l’impotenza”: rabbia e gioia sì, ma impotenza – perché mai? L’idea s’incarna e s’offre all’amante del sogno – s’impadronisce della realtà: il ricercatore, a quel punto, non ha più senso, né natura. A un tratto, Enrico sente d’avere la febbre: beve qualcosa, poi porta in giro in macchina Marinella. Sente smarrita la lucidità, percepisce che sta perdendo il controllo: tuttavia continua a guidare.

È negligenza l’incidente che uccide Marinella e trascina in coma Enrico, o è l’incapacità dell’idealista di accettare la felicità? È l’ultima e inconscia rivolta dell’aeternus puer, che vede pregiudicata la sua natura da una trasformazione, oppure l’incapacità di vivere l’amore senza avvertire l’oberante presenza della morte? Sta di fatto che al negligente assassino rimane un’ombra dentro. E Franz, ultima apparizione dell’alterità, piange il compagno e rivale sul suo letto d’ospedale. Ha il “viso stravolto dal male”: ma è rabbia e disperazione e risentimento al contempo. E percezione d’un addio all’innocenza, e lamento di chi vede un amico dannato in eterno. Ora sì – penseremmo all’impotenza. Ora che è apparso ciò che è irreversibile – il più spietato nemico, la morte.

Non ho nominato altri personaggi, pure marginali, come Coso, il buffone del gruppo, cleptomane e ridanciano; Davide, che conta due papi e uno zar tra gli antenati, e sembra gongolare dell’inerzia; Luca, figlio d’un macellaio, che per poter essere parte di quell’ambiente ha venduto il suo corpo tempo prima; ho solo alluso ad Elena, figuretta che pare spesso funzionale alla narrazione come “doppio” terreno e affatto simbolico di Marinella. Ho preferito concentrare l’analisi, in queste brevi pagine, sulle figure portanti del libro: pur riconoscendo a Pellegrini il talento del romanziere burattinaio, capace di tenere tante vite sullo stesso filo e di diversificarle e di animarle, ammetto che il fascino tenebroso della vicenda di Enrico e Marinella schiaccia il resto della narrazione.

Concludo. Dopo aver ultimato la seconda lettura del libro, a distanza di sette anni, ho avvertito la sensazione di allora: il desiderio di poter leggere ogni altra opera d’un autore così intelligente e talentuoso. Pellegrini, che aveva esordito nel 1991 con l’ormai irreperibile “Cuor di panna (e i suoi amici)”, non ha più pubblicato narrativa. Almeno: questo posso concludere dopo numerose ricerche in rete e un'incomprensibile damnatio memoriae sulla stampa nazionale. Non so se lo scrittore abbia avuto difficoltà editoriali o abbia smarrito l’ispirazione: soltanto, sento di poter affermare che “La negligenza” sia uno dei migliori romanzi degli anni Novanta, e che davvero ogni lettore dovrebbe fare carte false per poter leggere un altro libro del genere. Nel decennio macchiato dai conati dei sedicenti cannibali e intossicato dalle imbrattate carte nei più goffi stili liberi, questo romanzo va salutato come un diamante. Difficile non amarlo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Enrico Pellegrini (Torino, 1971), romanziere italiano.

Enrico Pellegrini, “La negligenza”, Marsilio, Venezia, 1997.

Gianfranco Franchi, febbraio 2004

Prima pubblicazione: Lankelot.