La memoria dell’acqua

La memoria dell'acqua Book Cover La memoria dell'acqua
Antonio Messina
Il Foglio Letterario
2010
9788876061332

Il secondo libro di Antonio Messina da Partanna, “La memoria dell’acqua”, è costituito da nove racconti; sa essere elegiaco e apocalittico, nei primi tre – quelli più estesi, e d’argomento o almeno d’ambientazione sinceramente fantascientifica, e postromantico e un po’ manierista nella seconda parte, almeno da “Desiderio d’amore” e “Il violoncello” sino a “Sei qui”. Rispetto all’opera prima, “L’assurdo respiro delle cose tremule” (2003), la lingua s’è fatta meno barocca e più levigata; non mancano preziosismi e sontuose ricercatezze a testimonianza d’una fede nella pura lingua letteraria anche nell’adozione d’un genere – quello fantastico – purtroppo non sempre caratterizzato, nelle letterature occidentali, da adeguato stile. In questo frangente, invece – cerco di ricostruire il dna della scrittura di Messina, avvertendo che potrei naturalmente sbagliare – i campioni sono quelli ai quali l’autore potrebbe essersi ispirato o dei quali almeno potrebbe aver interiorizzato l’opera: reminiscenze del grande Lem (“Solaris”: vaga ma viva ne “La memoria dell’acqua”), del “Pianeta silenzioso” di C.S. Lewis (angeli a guida del mondo, in comunicazione con uno e un solo leader spirituale: “La piuma degli angeli”), de “La nube purpurea” di Shiel e “I am legend” di Matheson (“Polvere nel vento”: solitudine e silenzio su un mondo abitato da creature estranee; nessuna conflittualità, tuttavia, ma predestinazione a essere l’ultimo di una specie). Spiazza un po’, invece, quanto scrive Elisabetta Blasi nell’introduzione, salutando “echi orwelliani” (immagino s’intendesse, genericamente, “distopici”, alludendo a quella ridotta e memorabile parte della produzione dell’artista inglese dedicata alla visione apocalittica del futuro), “leopardiani, finanche danteschi, giù fino a Virgilio e Omero”: onestamente mi sembrano richiami non solo ovviamente eccessivi, ma complessivamente estranei a questo libro; qui non c’è – in primis – nessun verso, al limite prosa lirica, e basti questo a testimoniare che probabilmente s’è andati, per entusiasmo, un pochino fuori strada. Cerchiamo piuttosto di posizionare correttamente la scrittura di un autore che – naturalmente fondato come ogni grande lettore e come ogni autore intelligente su una cultura letteraria e filosofica dalle radici greche e dall’inevitabile eclettismo postmoderno – sinceramente continua a promettere molto.

Messina è alfiere di un sincretismo interessante e decisamente poco comune: filosofia (dai pre-socratici in avanti), fantascienza, lirismo, misticismo. La sua è una scrittura densa e suggestiva, giocata per saliscendi; dialoghi e descrizioni vanno tendenzialmente annunciando una bordata lirica, mozzafiato; sembra quasi che l’autore prepari e annunci uno stato estatico che va poi sintetizzando in sei-dieci righe che raccontano la nuda e solare bellezza d’un’anima che sente e sogna: soffre e dispera. Fin quando non si sconfina nel misticismo puro; nel racconto eponimo, ad esempio, si mostrano subito notevoli frammenti del pensiero-guida del testo, a partire dall’omaggio a Parmenide: “Il pensiero ci attesta l’essere, che l’essere non è, e il non essere non è, se il non essere non è, nemmeno può essere, ma la vera realtà è l’essere, uno, eterno, ingenerato, incorruttibile, immutabile”.

Dormienti sono frammenti d’armonia, istinto allo stato puro – arringano la folla, promettono mondi nuovi forgiati dall’immaginazione. Ci troviamo su Egretus, pianeta al di là del tempo, dimenticato da dei e uomini. Sta bruciando, dentro. Estasio esiste per fronteggiare la minaccia dei Plageo, che vogliono cancellare la memoria dell’acqua. Tuttavia: “Sapevo di aver attraversato la cortina del tempo, e che la distruzione di Egretus era avvenuta millenni prima, ma ne fui dolorosamente colpito come se fosse accaduto in quello stesso istante” – si ritorna al caos. Predestinazione e apocalissi: infine, lirica pura.

Sono racconti concentrati sul conflitto tra sogno e realtà: sono intrisi di solitudine e disperato desiderio d’amore. Ideale incontra il reale, sino al passaggio nell’altra dimensione; oppure, semplicemente, si schianta contro il muro del non è. Leggendo ho evidenziato questo passo, mi è sembrato fondante – è qualcosa che, voglio sbilanciarmi, va a spiegare parte della genesi dell’opera e della scrittura di questo libro; vado a decontestualizzare con disinvoltura, sperando di non aver frainteso: “L’idea di entrare in una nuova dimensione mi allettava. Dimenticare e rinascere, dopo aver vissuto una vita mediocre: era questo il mio desiderio? Ero rimasto a galleggiare negli abissi del tempo, vivendo senza scopi, amando senza speranza, risucchiato nell’ignoto, avvolto da nebbie e sorrisi, ferito dalla crudeltà degli uomini. Il mio desiderio era dunque quello di mettere fine a un disagio che m’aveva reso un uomo senza speranze. Non bastavano l’amore effimero, il desiderio, il sogno; non bastavano lo studio, la filosofia o le scienze a salvare la mia anima. In ogni passo c’era sempre un’ombra, in ogni nuovo messaggio vedevo il futuro sgretolarsi insieme alla mia vita” (Antonio Messina, “La piuma degli angeli, p. 45)

E quindi avanti con la ricerca di Senso, perché di significati sembra se ne sia avuto abbastanza; e con il vagheggiamento dell’Amore, quel “morso del drago” della tradizione antroposofica che deve mutare una volta e per sempre l’esistenza di due persone; avanti con l’architettura d’un universo che si va man mano restituendo al principio unico, all’unico Dio che tutto ha previsto e strutturato; pianeti diversi e altre dimensioni come via di fuga di fronte all’ingiustizia e all’inadempienza del senso nel pianeta e nella dimensione nostra, proprio come in C.S. Lewis.

Avanti con la lirica pura, con il canto dell’io morente: con il canto del dio morente. E così, per squarci improvvisi di luce e inattesa grazia, per metempsicosi e viaggi interplanetari, al di là del tempo e dello spazio, suona una musica diversa e nuova. Prodromica a quel grande libro – modernissimo e capace di solcare il tempo – che magari un giorno Messina scriverà. Testimoniando fantasia, immaginazione, stile e controllo della lingua: testimoniando l’amore che porta – si sente – alla Letteratura; anzi, alle Letterature. Agli esseri umani, a Dio, alle scritture.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Antonio Messina (Partanna, Trapani, 19**), scrittore italiano. Vive a Padova. Ha esordito pubblicando “L’assurdo respiro delle cose tremule” nel 2003.

Antonio Messina, “La memoria dell’acqua”, Il Foglio Letterario, Piombino 2006. Introduzione di Elisabetta Blasi.

Gianfranco Franchi, aprile del 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.