La leggenda di Sleepy Hollow

La leggenda di Sleepy Hollow Book Cover La leggenda di Sleepy Hollow
Washington Irving
Barbes
2008
9788862940252

Può il cinema restituire luce alla letteratura? Soprattutto: può un film non del tutto riuscito indirizzare i lettori all'opera originaria, a distanza di una decina d'anni dalla prima visione? Stando a quanto appena accaduto, pare proprio di sì. Giorni fa, camminando per Trastevere, ho distrattamente notato “La leggenda di Sleepy Hollow” in vetrina: ho pensato subito a Tim Burton e sono entrato in libreria, per scoprire di cosa si trattava. Ho letto il nome dell'autore: Washington Irving. È un artista ammantato da un'aura leggendaria; è uno dei pionieri della Letteratura Americana. Ho pensato: mea culpa, ne so davvero poco e niente. Così, nonostante il dispetto per la terribile grafica dell'edizione Barbès, e per l'illeggibile quarta di copertina – sembra incisa sulla carta da parati – ho acquistato il libro. In questa edizione, oltre al racconto eponimo, ecco “Rip Van Winkle” e “L'arte di fare libri”. I primi due, accreditati al fantomatico Knickerbocker, viaggiatore e gentiluomo alter ego dell'autore, sono – stando alla critica inglese – la massima espressione della creatività di Washington Irving (1783-1859); il terzo, una satira dell'arte di fare i libri, che possiamo tranquillamente trascurare.

Cominciamo da “La leggenda di Sleepy Hollow”, allora. La vicenda è ambientata nella piccola valle addormentata di SH, popolata dai discendenti dei navigatori olandesi; leggende la vogliono incantata. Leggende che sembrano aver attecchito: gli abitanti sono scaramantici e superstiziosi, convinti della normalità di strane apparizioni o di musiche nell'aria. Spettro principe è un cavaliere senza testa; cavalca, decapitato e misterioso, nel cuore della notte, veloce come il vento. Imprendibile.

Ichabod Crane, maestro elementare, soggiornava trent'anni prima da quelle parti. Dimenticate Johnny Depp, per favore. Cancellatelo dalla memoria. Non ha proprio niente a che fare con il nostro nuovo, antico amico. Fatto? Vi presento mister Crane. Una persona molto comune, e nient'affatto eroica: “Era alto e molto magro, con spalle strette e braccia e gambe molto lunghe; le sue mani penzolavano per un miglio fuori dalle maniche, ed i suoi piedi erano buoni come pale: tutta la sua figura sembrava stesse insieme per miracolo. La testa piccola e piatta, i grandi orecchi, i larghi occhi verdi e vitrei e il lungo naso a punta: ricordava una di quelle banderuole a forma di gallo che sul loro perno indicano da che parte soffia il vento” (p. 22): sembrava “uno spaventapasseri scappato da un campo di grano”. Sempre affamato, a dispetto della magrezza (“stomaco da anaconda”), era spesso ospite delle famiglie degli allievi. “Mangiando, il suo spirito si rianimava come succede ad altri uomini col bere” (p. 48).

Non era un maestro d'avanguardia: conosceva la frusta. Sapeva, tuttavia, giocare con i bambini, al termine delle lezione, e trattarli con dolcezza e protettività; al contempo, con generosità ricambiava i pranzi e le cene dei suoi ospiti, prestandosi a piccoli lavori domestici. Manus manum lavat. Era considerato un erudito perché aveva letto diversi libri fino in fondo; era trattato come la seconda autorità del paese, dopo il reverendo. Amava raccontare storie gotiche, e ascoltarne di nuove; peccato soltanto che poi, tornando a casa di notte, aveva paura anche del fruscio dei rami. Era un buon ballerino e un buon cantante. Un buon diavolo, via, che campava alla giornata contentandosi di piccole cose. Ma un giorno, tra le sue allieve, si presenta la figlia di un ricco agricoltore nederlandese: Katrina Van Tassel. Diciottenne, bella e benestante, ingioiellata e sorridente, conquista il cuore di Ichabod – non insensibile, a dirla tutta, al fascino della sua eredità, e della possibilità di aggiudicarsela. Inevitabilmente, Ichabod ha dei rivali: il più temibile è Brom Van Brunt, giovanotto “robusto, gradasso e turbolento”, eroe della zona, leader dei ragazzi del posto. Presto il clima si fa teso: il maestro evita lo scontro fisico, limitandosi ad arginare le infantili rappresaglie del suo antagonista, ma l'equilibrio non può durare a lungo.

Una sera si tiene una festa a casa Van Tassel. Ichabod arriva a cavallo d'un ronzino, Brom sul suo selvaggio e indomabile DareDevil. È una festa rigorosamente bianca: sentite come possono parteciparvi i negri, in quei tempi oscuri: il maestro danza, accompagnato dalla sua bella, e... “Era l'ammirazione di tutti i negri della zona, che si erano radunati, di ogni età e corporatura, dalle fattorie vicine e ora formavano piramidi di visi lucenti affacciati alle finestre e alle porte di casa, e guardavano la scena incantati, con gli occhi spalancati, mostrando file di denti bianchi da un orecchio all'altro” (p. 49).

Mi sembra importante evidenziare quali fossero le condizioni di vita degli afroamericani: l'unico che poteva stare tra i bianchi era il vecchio musicista, bianco di capelli, malconcio come i suoi strumenti. Trattato come uno strumento lui stesso. Interessante... Ma torniamo alla trama. Nel corso della serata, i convitati parlano delle storie incredibili di Sleepy Hollow: negli ultimi tempi, in tanti hanno visto galoppare per la campagna il Cavaliere Senza Testa – sino al cimitero della chiesa, in mezzo alle tombe. Brom la spara grossa: da bravo spaccamontagne, giura di averlo vinto in una gara di velocità; infine, racconta che quella volta il Cavaliere è sparito scomparendo in un bagliore. Sarà vero?

Senza bagliore invece lascia la festa Ichabod, dopo uno sfortunato approccio con la sua ereditiera. E così, mogio mogio, va per il bosco, impaurito per tutte le storie che ha sentito raccontare, quasi presagendo quanto sarebbe accaduto: tutto a un tratto, nel folto della foresta, gli s'avvicina un misterioso cavaliere. Mantengono la stessa andatura, Ichabod non riesce a prendere le distanze. Quell'uomo è gigantesco... e non ha la testa, a quanto pare... testa che tiene educatamente poggiata sul pomello della sella. Ichabod cerca di fuggire, invano; quando guadagna un po' di terreno si ritrova poi spiazzato dalle bizze del suo cavallo, e dirottato per un'altra strada. In quel mentre, il cavaliere gli lancia addosso la testa. Ichabod viene scaraventato a terra.  Perde i sensi.

Il cavallo torna a casa il giorno dopo, senza sella e senza il povero maestro. Creduto morto, tutti i suoi beni vengono divisi tra la comunità e le fiamme. A fianco della sella, in terra, si ritrovano soltanto i resti di una zucca. Frantumata. Curioso. Ichabod non sarebbe mai più tornato indietro; secondo alcuni per vergogna, secondo altri per paura. Brom, fresco sposo della bella Katrina, intanto ghignava tutte le volte che sentiva parlare della storia del cavaliere senza testa, e della misteriosa zucca del maestro. Questo è quanto.

Si tratta di una “short story” assolutamente differente dalla sua traduzione cinematografica: è una lettura della piccola provincia americana dell'epoca, del clima culturale delle sue comunità e delle stravaganze di un popolo decisamente ignorante e quindi facile alla creduloneria, facile vittima di boccacceschi gabbi. È uno spaccato di un microcosmo di un'epoca, senza pretese diverse dall'intrattenimento e dal divertimento del lettore. Gotico soltanto nel retrogusto: goliardico, a dirla tutta, e a tutto spiano, sin dalle descrizioni un po' impietose dell'affamato povero maestro del Connecticut.

Rip Van Winkle” è la storia di un semplice e onesto contadino vissuto negli anni in cui la nazione era ancora una colonia britannica: un buon marito e un pessimo lavoratore (almeno: nella sua fattoria), discendente di una coraggiosa etnia che aveva lottato a fianco di Peter Stuyvesant, ai tempi di Nuova Amsterdam. Rip era amato dai suoi concittadini: per la gentilezza e per la sua infaticabile attività di cantastorie per i bambini. Era uno che “sarebbe morto di fame per un penny, piuttosto che lavorare per una sterlina” (p. 75); spesso si ritrovava sbattuto fuori casa dalla moglie, ostile alla sua negligenza. Nemmeno tra gli amici poteva trovare riparo: presto lei se ne accorgeva a andava a rimproverarli. Restava soltanto il fedele cagnetto. E così, un giorno, mentre si consola andando assieme a lui a caccia di scoiattoli, nei boschi, incontra un misterioso tizio:

Era un vecchio basso e tozzo, con folti capelli irsuti e la barba grigia. Vestiva come un olandese del tempo antico, con una giacchetta stretta in vita da una cintura di cuoio, pantaloni ampi, il cui lato esterno era ornato da una fila di bottoni, che sbuffavano alle ginocchia. Portava sulla spalla un barilotto che sembrava pieno di liquore, e fece cenno a Rip di avvicinarsi, per aiutarlo a sostenerne il peso” (p. 80).

Assieme, si inerpicano silenziosamente per le montagne; fino ad arrivare a destinazione. A Rip sembra di trovarsi tra le figure di un vecchio quadro fiammingo: osserva una brigata malinconica e silenziosa che gioca a bocce. Bevono il liquore, e tornano al loro gioco. Rip, più tardi, s'addormenta. Al suo risveglio è solo: non ha più con sé né il cane, né la bisaccia; tornando verso casa incontra sconosciuti vestiti in strani abiti. Sconosciuto a tutti sembra proprio il povero Rip, una barba di venti centimetri e un'aria incredibilmente spaurita.

Un gruppo di strani bambini gli corse incontro, ridacchiando di lui e indicando la sua lunga barba grigia. I cani poi, tra i quali non ne riconosceva nessuno, abbaiavano al suo passaggio. Ma il fatto è che anche il paese era diverso: più grande, più popolato. C'erano file di case che non aveva mai visto prima, e quelle che conosceva erano quasi tutte scomparse. Strani nomi erano scritti sulle porte, strane facce alle finestre...” (p. 86).

Rip pensa a un incantesimo. La sua vecchia casa è a pezzi, il soffitto crollato, le porte scardinate: tutto sporco e abbandonato. La taverna è sparita. C'è un albergo, sventola una bandiera sconosciuta: la bandiera americana del generale Washington. Scambiato per un monarchico, Rip lentamente capisce l'accaduto, si confronta con i nuovi concittadini e si spiega tutto; i suoi vecchi compagni sono morti, a lui hanno dedicato una statua, sono passati vent'anni. Potrà riabbracciare la figlia e il nipotino, esultare per essere diventato vedovo, bighellonare a oltranza per il paese.  Qualcuno non gli crede, pensando che Rip è soltanto un vecchio pazzo. Ma per i vecchi olandesi diventa leggenda: tutti sognano, a un tratto, di potersi liberare dalla tirannide delle mogli sparendo in montagna come il vecchio Van Winkle. Bastasse una bisaccia...

Siamo sempre dalle parti della storiella goliardica con retrogusto – diciamo così – fantascientifico: la patina assurda della vicenda tinge una novella altrimenti divertente, e relativamente incolore, di fascino e letterarietà. L'argomento principe, ossia il repentino crollo della monarchia inglese nel Nordamerica, era caro a un artista che si chiamava “Washington” non per caso. Tutto qui: una short story caratteristica ma non proprio esemplare, giocata su un escamotage – quello del “viaggio nel tempo” - non proprio originale : sfogliate questa splendida pagina di wikipedia inglese, http://en.wikipedia.org/wiki/Rip_Van_Winkle, per ribadire, assieme qualcun altro, nihil novi sub sole (eccetto l'America, si intende). Divertissement per appassionati di Letteratura Americana.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Washington Irving (New York, 1783 – Tarrytown, New York, 1859), saggista e scrittore americano, di sangue inglese e scozzese. È stato sepolto nel cimitero dell'antica chiesa olandese di Sleepy Hollow.

Washington Irving, “La leggenda di Sleepy Hollow”, Barbès Editore, Firenze 2008. A cura di Riccardo Goretti. L'edizione include un numero fastidioso di refusi. Sarebbe bene mostrare più rispetto nei confronti del pubblico.

Prima edizione: “The Legend of Sleepy Hollow” e “Rip Van Winkle”, 1819, nella raccolta di racconti “The Sketch-Book”.

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.