La casa ispirata

La casa ispirata Book Cover La casa ispirata
Alberto Savinio
Adelphi
1986
9788845906473

A Parigi c'è una via “dicata a San Giacomo”: ha una grande tradizione letteraria, perché ci abitarono Giovanni di Meung e François Villon; ma quando Savinio ci passa si ritrova confuso tra piccole botteghe e osterie. Tutto passa, figuriamoci la memoria delle glorie artistiche. Questa strada si chiama Rue Saint-Jacques. Il narratore – alter ego del giovane artista – sbarca in città e prende alloggio in una pensione: è una “bicocca merlettata e passita”. Sembra vada tutto bene, nelle prime battute, ma in quella casa abita qualcosa di sinistro: una “creatura innominabile”. Lo spirito di qualcosa di smarrito:

La casa era ispirata. Una sottile animazione circolava entro i muri scavati dall'industria dei geni che vi alloggiavano in gran copia. Quanto infingardi e schivi sono gli spiriti usati a vagolare per lande selvatiche e deserte, altrettanto quelli assuefatti al vivere domestico sono miti e laboriosi (…) Un lavoro demoniaco cingeva con la sua rete sonora la vita dell'annosa abitazione” (p. 64)

Come scrive Savinio? Come un letterato che si prende gioco della lingua letteraria, e se ne balocca: e giocandoci stuzzica il lettore a una risata decisamente intellettuale, raramente sguaiata (ma in quel caso: incontenibile). È il principe delle subordinate, dei grecismi e dei leziosismi, il funambolo dell'arte del pleonasmo. L'inutilità di certe descrizioni è vissuta con sfrontatezza e con autentico sprezzo del pericolo, sino al parossismo o al precipizio del ridicolo.

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In quell'istante medesimo la faccia congestionata di Lafont, che durante il benedicite era scomparso sotto la tavola per raccogliervi il tovagliolo opportunamente caduto a terra, emerse di nuovo alla superficie del nappo, a guisa di quei piccoli cucù che tornano ad affacciarsi alla finestrella del barometro, quando il tempo s'è rimesso al bello” (p. 33). Eh già.

Le descrizioni sono, tendenzialmente, caricaturali, diaboliche e corrosive: non hanno quasi mai niente di funzionale. Servono solo a fare a pezzi l'oggetto dello sguardo del narratore. “Era una vecchia, l'avola, moglie di Armando Lemauzy e nonna di Marcello. Costei non era più né donna né altro individuo della specie umana. La vita era presso che spenta in quell'enorme corpo immobile, ove un barlume appena ne guizzava tuttavia, impigliato nel groviglio degli ossi sporgenti e delle risecchite pelli. Intorno al soffio flebile del suo fiato puzzolente, le mosche mormoranti volavano a spirale. Sotto gli archi scuri delle sue fosse nasali onde spuntavano ciuffi foltissimi di anelloso pelo, la bocca quale inutile caverna sbadigliava talvolta sulla lingua livida e crostosa appiccicata nel fondo del palato” (p. 38; seguono altre righe del genere).

Come vive la signora? “Usurpava la vita minuto per minuto. Ciascuno dei suoi giorni, era una truffa commessa ai danni della morte, ch'ella stimava un personaggio da pigliarsi in giro, non gli riconoscendo la più piccola autorità, comportandosi a suo riguardo con la disinvoltura del burlone” (p. 43). Niente male, come cattiveria. Niente male. Una vecchia che usurpa la vita istante dopo istante e se ne frega della morte, trattandola come un pupazzo, ha qualcosa di memorabile. Rimane impressa. È famigliare.

Secondo romanzo di Alberto Savinio, originariamente apparso a puntate sul “Convegno” nel 1920 e in volume presso Carabba, 1925, “La casa ispirata” è un divertissement giovanile e acerbo, penalizzato da qualche tremenda involuzione e da una frammentarietà dal sapore più pittorico (o giornalistico, inevitabilmente: tenete presente la pubblicazione differita dell'opera) che narrativo puro. S'apprezza, nel breve romanzo, l'ossessività e la capacità di ridicolizzare tutto; la società francese passata, la vecchiaia, la raffinata cucina transalpina e la giovinezza incosciente, la morte e l'anima; si fatica, spesso, a tenere il passo di una scrittura che spesso s'arruffa, si contorce, si ripete e si complica, in cerca di un virtuosismo naturalmente niente affatto necessario. Secondo Calasso (quarta di copertina), “Qui si direbbe che abbia sede un culto esoterico del faisandé: i soprammobili, le maniere, le espressioni, i simboli, le divise che si sono affastellati nell’Ottocento piccoloborghese, ormai frollo e vicino a decomporsi, vengono golosamente apprezzati e carezzati dai padroni di casa. Il giovane pensionante li osserva con un certo sgomento e intanto registra, come un clinico, le apparizioni di una serie di personaggi aleggianti. Sono ogni volta ritratti che oscillano fra il macabro e una strepitosa comicità. Orrore e fascinazione non si disgiungono mai: tutto il romanzo è un’iniziazione al Grande Orrido parigino, pimentata da un riso liberatore”.

Lugubre, cupo e ridanciano a un tempo, allora, giullare della narrativa protonovecentesca italiana – mai quel “proto” è stato più sensato – Savinio si presentava sulla scena con questo sberleffo allegorico e goliardico, giocando su una scrittura ricca, bizzarra e incongruente, del tutto irrealistica – come larga parte delle sue annotazioni – e felice d'essere estetica, mai etica. Sembra poco, adesso, ma all'epoca era un atto di ribellione e una forte dichiarazione d'identità e di differenza. Uno schiaffone che aveva senso, e avrebbe fatto bene sulle gonfie e laide guance di tutti i malati di realismo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico (Atene 25 agosto 1891 – Roma 5 maggio 1952), scrittore, pittore, saggista, critico, musicista, compositore italiano.

Alberto Savinio, “La casa ispirata”, Adelphi, Milano 1986. Piccola Biblioteca Adelphi, 187.

Prima edizione: A puntate sul “Convegno”, 1920; in volume presso Carabba, 1925.

Gianfranco Franchi, luglio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.