La caduta

La caduta Book Cover La caduta
Albert Camus
Bompiani
2001
9788845246548

È un romanzo breve dal sapore di una confessione: è un torrenziale monologo in cui l’alterità è solo simulata, perché mai prende la parola e mai interviene, direttamente, a interrompere la digressione. Camus si serve di uno specchio: l’io narrante si presenta rivolgendosi a un “tu” seduto in un locale, ad Amsterdam, e da allora, per i cinque giorni in cui si svolge la storia, a questo “tu” sembra rivolgersi. L’impressione del lettore, per intenderci, è quella di assistere ad una telefonata: immobili, a pochi passi da un capo del filo, possiamo ascoltare soltanto una voce e dedurre o immaginare quel che viene detto dall’altro.

L’io narrante si serve di uno pseudonimo, per sua diretta ammissione; è Jean-Baptiste Clamence, avvocato parigino, trasferitosi di recente ad Amsterdam. Mentitore di professione: “So quel che pensa: è molto difficile districare il vero dal falso in ciò che racconto. Confesso che ha ragione. Io stesso…Vede, un mio conoscente divideva gli esseri in tre categorie: chi preferisce non aver nulla da nascondere piuttosto che essere costretto a mentire, chi preferisce mentire piuttosto che non aver nulla da nascondere, e quelli a cui piacciono al tempo stesso la menzogna e il segreto. Lascio a lei la scelta della casella che mi si addice” (p. 73).

Elementi sufficienti per poter giudicare non credibile l’io narrante: per poter congetturare che il silenzio del suo compagno implichi la sua non esistenza, per poter dubitare della verità d’ogni sua affermazione. Del resto: “le menzogne finiscono per mettere sulla strada della verità”, e allora possiamo interpretare il monologo di “Clamence” come la febbrile ammissione di una colpa, quella dell’estraneità alla verità e alla felicità, che sembra costituire lo snodo cruciale della produzione narrativa e drammaturgica di Albert Camus.

Vediamo come si presenta questo suo ennesimo alter ego: dipinge una Amsterdam fascinosa e romantica, tratteggiando, in poche battute, lo sfondo delle sue riflessioni e spiegando, con chiarezza, la sua percezione dell’alterità: “Cammino per notti intere, fantasticando, o discorrendo senza fine fra me e me. Come questa sera, proprio, e temo di stancarla un poco, grazie, lei è gentile. Sono troppo pieno, appena apro bocca le frasi sgorgano. D’altro canto, questo paese mi ispira. Amo questa gente che formicola sui marciapiedi, costretta in un piccolo spazio di case ed acqua, assediata da nebbie, da terre fredde e da un mare che fuma come un bucato. Mi piace perché è duplice. Sta qui ed è altrove” (p. 12).

Clamence è l’archetipo dell’egoico: per egocentrismo e per egolatria ha dedicato la sua esistenza alla generosità. Una generosità fine a se stessa, compiaciuta, rassicurante: la cortesia del deus ex machina (p. 20), al di sopra del giudice, che egli a sua volta giudica, e dell’accusato, che costringe ad essergli riconoscente. Si sentiva un “prescelto”, si trovava “un po’ superuomo”: era al di là della legge, in quanto avvocato: al di là degli uomini, in quanto artista della menzogna, Giano bifronte capace di amare per egoismo, per il piacere di vedersi riconosciuti meriti e sacrifici.

L’avvocato ha lasciato Parigi da anni: ha circa quaranta anni, sostiene d’aver rifiutato con discrezione la Legion d’onore, d’esser vissuto per molto tempo con la coscienza in pace, per aver cercato sempre “la parte del giusto”.

È stato ricco, al punto tale da poter assistere gratis, o sottoprezzo, chi non poteva permettersi di rispettare il suo onorario. E ogniqualvolta ciò accadeva, Clamence godeva d’un ulteriore compiacimento, d’una nuova iniezione di soddisfazione per la sua incredibile generosità, per la sua capacità d’esser sorgente di pace e felicità e serenità per chiunque. Perché – questo sembra suggerire – lui e lui solo poteva permettersi un atto del genere.

Lentamente, ci accostiamo al segreto terribile della sua esistenza: alla ragione in virtù della quale ha perduto l’equilibrio, e ha scelto di vivere in un’altra nazione, mai dimentico della sua passata esistenza nonostante abbia assunto una nuova identità. Clamence vive in una residenza prescelta perché memoria degli atroci delitti hitleriani: il ghetto. La sua presenza testimonia qualcosa.

Clamence si confessa perché ha un’ombra che l’accompagna, o perché ha una macchia nel suo passato? Poco a poco, capiamo che quella risata che ha sentito echeggiare in sé, sulla Senna, a pochi giorni dalla morte di una persona, ha un significato terribile e irremovibile. E che non rimane, adesso, che la possibilità di godere della natura e del pentimento: perché la coscienza è segnata da una colpa che non potrà essere lavata, e non basteranno la generosità dell’egoico e il senso di distacco dall’alterità per sopravvivere. E che questa disperata volontà di porsi al di là del bene e del male altro non è che un delirante tentativo di negare la propria identità, per non ammettere che si ha bisogno d’essere giudicati, e condannati. Perché altro rimedio: meglio, altra consolazione alla consapevolezza della dannazione non sembra esistere.

Mi fermo, non abbia paura. D’altronde la lascio, questa è la mia porta. In solitudine, aiutati dalla stanchezza, che vuole, uno si prende facilmente per profeta. In fin dei conti, è proprio questo che sono, rifugiato in un deserto di pietre, di nebbie e d’acqua putrida, profeta vuoto per tempi meschini, Elia senza messia, imbottito di febbre e d’alcool, con la schiena contro questa porta ammuffita, il dito levato verso un cielo basso, coprendo d’imprecazioni uomini senza legge che non possono sopportare nessun giudizio. Perché non possono sopportarlo, mio caro, ed è questo il problema” (“La caduta”, p. 71).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Albert Camus (Mondovi, Algeria, 1913 – Villeneuve-la-Guyard, Francia, 1960), dottore in Filosofia, tragediografo, romanziere, saggista e giornalista francese d’Algeria. Premio Nobel per la Letteratura nel 1957.

Albert Camus, “La caduta”, Garzanti, Milano, 1966.

Traduzione dal francese di Sergio Morando. Il volume comprende i racconti della raccolta “L’esilio e il regno” (1° ed: “L’exil et le royaume”, Gallimard, Paris, 1957)

Prima edizione: “La chute”, Gallimard, Paris, 1956.

Gianfranco Franchi, 18 maggio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.

È un romanzo breve dal sapore di una confessione: è un torrenziale monologo in cui l’alterità è solo simulata…