La battaglia

La battaglia Book Cover La battaglia
John Steinbeck
Bompiani
2015
9788845280276

1936. Un anno dopo “Pian della Tortilla”, un anno prima di “Uomini e topi”, vede la luce “In dubious battle”, (IT: “La battaglia”, traduzione di Eugenio Montale) romanzo di lotte sociali: storia di rivendicazioni violente e radicali (politicamente molto ben riconoscibili) dei lavoratori sfruttati e del loro scontro – fisico, va da sé – con il sistema per vedersi riconosciuti i propri diritti. Il titolo – l'edizione italiana compromette la sfumatura originaria – omaggia un passo del “Paradiso Perduto” di Milton: "Innumerable force of Spirits armed / That durst dislike his reign, and, me preferring, / His utmost power with adverse power opposed / In dubious battle on the plains of Heaven, / And shook His throne." (Milton, “Paradise Lost”).

Steinbeck sembra distante anni luce dal misticismo di “Al Dio sconosciuto”; qui sembra semplicemente voler dare voce a chi non ce l'ha, a quell'umanità povera e sconfitta che già era stata protagonista dei “Pascoli del cielo”, senza che niente di ideologico potesse caratterizzarla. In questo libro, fratello del di poco successivo “Furore”, accade. Tecnicamente l'opera è ben scritta, a dispetto della purtroppo scarsa imprevedibilità della trama; la sensazione di avere di fronte una vicenda iperrealista e simbolica è chiara sin dalle prime battute, che vedono uno dei protagonisti del romanzo, Jim Nolan, mentre esce dalla sua vecchia vita per piombare nella nuova: quella di un uomo che finirà distrutto dai suoi ideali e dalla sua sensibilità sociale; dalla sua ricerca di senso, e dalla sua generosità. Jim si è iscritto a un partito (dei lavoratori: rosso) per vendicare la sua famiglia, distrutta dalla recessione economica, e per onorare la memoria di suo padre, pazzo per i problemi della vita, morto in piazza durante una manifestazione. Alle spalle ha un arresto per “vagabondaggio”: in realtà, è stato arrestato per cause politiche, a quanto è dato di capire. Non beve, non si droga. Non è vecchio, ma si sente finito. Vuole lavorare per qualcosa: vuole essere d'aiuto a qualcuno. In tasca non ha che tre dollari. Viene accolto dal partito e “ingaggiato”. La missione è addestrare e abituare una comunità di lavoratori in difficoltà allo sciopero, perché possano rivendicare un salario più alto e un trattamento più umano. Al suo fianco, vecchi comunisti come Mac, capaci di (quanto autentica?) incredibile retorica e di incrollabile dedizione alla causa; pronti a servirsi di ogni evento luttuoso per esasperare i toni dello scontro.

Nel romanzo non manca niente: strategie (sintetiche) e tattiche dello scontro frontale col padrone e con la polizia, difficoltà nel convincere i lavoratori ad aderire alla protesta e contemporanee minacce e rappresaglie dei crumiri, violenze ai crumiri (è chiaro), epilogo drammatico. Tutto questo, per chi vive nel 2009, è talmente interiorizzato – e da tempo – da essere intossicante o noioso; abbiamo studiato questi fenomeni e queste dinamiche sociali, abbiamo ascoltato, volenti o nolenti, migliaia di rivendicazioni sindacali e di manifesti programmatici consacrati ai lavoratori, ci siamo accorti che spesso nascondevano opportunismo, prepotenza e falsità. Non ci stupisce più niente; non la violenza, né le repressioni, né la disperazione originaria degli attivisti del partito (comunista), fonte prima e inesauribile della loro (irrichiesta) dedizione al prossimo. Prossimo che ben sa come rispondere, a volte:

“Ho lavorato sempre. Voi credete che io sia diverso da voi? Mi considero anch'io un operaio. Tutto quello che ho me lo sono procurato col lavoro. Si sente dire che ci sono tra voi dei radicali. Non voglio crederlo. Non credo che americani, con ideali americani, diano ascolto ai radicali. Siamo tutti nelle stesse condizioni. I tempi sono duri. Dobbiamo tirare avanti e aiutarci gli uni con gli altri” (p. 265). Molto semplice, no? Ma va bene – non ho nessuna intenzione di fare un discorso politico e quindi mi fermo qua. Dal punto di vista letterario, senza dubbio non è questo il mio Steinbeck preferito; in questo frangente ho la sensazione che si sia consegnato, per eccesso di sensibilità, di ideologia o di entusiasmo, a una narrazione che non può reggere un romanzo e un romanzo non domanda. Bastano dei pamphlet. Ne hanno scritti pure troppi. Non stupisce leggere che l'opera si fonda su fatti realmente accaduti, su wikipedia inglese; non dubito che rivendicazioni giuste ma violente come quella narrata nella “Battaglia” fossero all'ordine del giorno negli States feriti dalla recessione. Mi chiedo dove sia la letterarietà – forse nella fittizia lingua del popolo, forse in qualche dialogo, in qualche descrizione alla Steinbeck, carica e piena senza essere stucchevole e ridondante. Non so. Ma non mi infiammo, e non mi viene voglia di domandarne il recupero. Sospetto che questo romanzo verrà a breve e definitivamente considerato “minore”, nella produzione di JS. Sarebbe una saggia decisione.

L'edizione Bompiani del 1962 non è estranea ai refusi. Peccato: sporcano la traduzione di Montale. Sospetto che siano stati corretti nell'arco degli ultimi 47 anni: sempre ammesso che ci sia stato qualcuno, al di là degli attivisti di un certo partito e dei redattori salariati ad hoc, che abbia mai avuto voglia di leggere questo libro parola per parola. È affascinante come uno sconosciuto che ti suona alla porta con un quotidiano sottobraccio, domandando una sottoscrizione.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

John Steinbeck (Salinas, California, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968), narratore e saggista americano, premio Nobel 1962. Fu pescatore e sterratore, giornalista e corrispondente di guerra.

John Steinbeck, “La battaglia”, Bompiani, Milano 1962. Traduzione di Eugenio Montale. Collana “I Delfini”.

Prima edizione: “In dubious battle”, 1936.

Gianfranco Franchi, settembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.