La bambina stanca

La bambina stanca Book Cover La bambina stanca
Renata Adamo
Pendragon
2017
9788865988930

Esordio di Renata Adamo, scrittrice e traduttrice meranese, bolognese d'adozione, ex insegnante, classe 1950, “La bambina stanca” [Pendragon, 2017; pp. 142, euro 14] è una raccolta di otto racconti che sigilla un bel pezzo di vita dedicato alla ricerca e alla sperimentazione, con una certa classe e una singolare personalità. Qualcosa era già uscito, qua e là: ad esempio il primo racconto, “Oltre la soglia”, era stato già pubblicato, nel 2008, sul blog della scrittrice Fiorenza Aste, già apprezzata per il notevole e troppo sottovalutato esordio “Cocci di bottiglia” [2007]; il quarto pezzo, “Regina Maharaba”, si era aggiudicato il premio Andersen per la più bella fiaba inedita, nel 2009. Altrimenti e altrove, nel corso degli ultimi quindici anni, Renata Adamo si era fatta apprezzare per l'incrollabile e simbolica passione per Robert Walser, al quale ha dedicato diversi convegni, di ovvia e prevedibile risonanza internazionale (come “R. W. – Manuscriptwelten”); poi, s'era fatta riconoscere per la collaborazione con una rivista letteraria molto snob e molto elegante, “Zibaldoni”, per qualche ispirata recensione apparsa su internet letterario. Punto.

Nell'indice della “Bambina stanca” non c'è traccia di datazione dei pezzi; non è possibile ricostruirne i rapporti cronologici, e per chi ha qualche inclinazione per la filologia è una piccola frustrazione, per ovvie ragioni. Non c'è neppure una prefazione o una postfazione, come forse la Adamo avrebbe meritato; il suo è stato un cammino autoriale silenzioso e discreto (d'altra parte, una che ama Walser non può che rifiutare il nostro chiasso), e tuttavia “è stato” ed anzi è; io provo qui a darvi qualche altra notizia, prima di entrare nel cuore dell'opera, proprio perché l'edizione Pendragon fa finta che voi sappiate già un sacco di cose. Renata Adamo è nata a Merano, è cresciuta in quella cultura mezza austriaca mezza italiana mezza ladina maturando una particolare sensibilità, e alimentando il suo immaginario mediterraneo di qualcosa di diverso: di boschi e di neve, di ghiaccio e di fate che sembrano streghe, e viceversa; come ha avuto modo di scrivere altrove, commentando il suo amato Walser, e forse parlando un poco anche di sé stessa: “L’amore di Robert Walser per le sue fate tragiche è una fredda passione invernale. Freddo è l’invito che le chiama nel mondo. Freddo il paesaggio che le accoglie. Grossi fiocchi di neve cadono su quel paesaggio, 'e sempre si trattava di buie albe invernali'”.

Tecnicamente, come lettrice, ha sempre mostrato una notevole profondità nello scandagliare i libri; stilisticamente, non è mai stata estranea a un'eleganza e a un'educazione più mitteleuropea che mediterranea, e in questo l'ho trovata tanto famigliare, da sempre. E come scrittrice com'è, la nostra misteriosa Renata Adamo, meranese (di ascendenza italiana, rimarca lei) e poi bolognese, sin dagli anni dell'università? È una scrittrice che parla soprattutto di donne: di bambine, di ragazzine, di adolescenti, di streghe e di fate, di serve e di padrone. Difficilmente parla d'amore: quando parla d'amore è perché c'è qualcosa di travolgente (che poi non descrive, evoca e basta). È una scrittrice che ogni tanto pizzica le corde dell'inconscio, e si diverte a scombinare simbolismi o a scombussolare cliché; è capace di cattiveria – cioè di rappresentare ostinazione, rappresaglia, furore – ed è capace di pietà, una pietà ruvida e piena di calore.

Tra i migliori esiti di questa raccolta, che parte ingiustamente svantaggiata da un marchio editoriale un po' negletto, ci sono racconti come “La vacanza di Donata”: a metà strada tra simbolismo, formazione e onirismo, è la storia di una bambina che non voleva lasciare il suo giardino e non voleva andare in vacanza in colonia, al mare; al mare si ritrova sotto scacco di due gemelline aggressive e prepotenti, e le cose si mettono male, si ritrova in ospedale; riemerge dal pericolo di vita e chiede alla madre di restare là dov'è, come se avesse accettato il male, come se avesse deciso di accettarne la linearità, la possibilità. Poi c'è un pezzo come “L'intrusa”, esistenziale e amarissimo, meditazione d'una madre sulla sua vicinanza e sulla sua somiglianza col figlio, diciottenne, e redde rationem su un bel pezzo di vita trascorsa con l'ex marito e con quel ragazzo, fin quando nella camera del piccolo non appare un'altra donna, la fidanzata. Notevole poi l'ouverture della raccolta, “Oltre la soglia”, che nelle prime battute sembra essere il diario di una professoressa di matematica appena andata in pensione, dopo aver dedicato le sue giornate a insegnare cosa sia essenziale a generazioni di allievi, consapevole di avere finalmente diritto alla stanchezza; e invece diventa una lancinante memoria d'infanzia, di crudeltà indicibili e di sofferenza, di sensi di colpa ingiusti e di rimorsi e rimpianti, di condizionamenti durati tutta la vita; una memoria di una madre matta e ricoverata, più volte, di un padre che tradiva per stanchezza e di una sorellina perduta per sempre, con in mezzo una bambinaia che non era quello che sembrava. Un'altra bambinaia che non si comporta come si conviene, in suprema inversione col pezzo d'apertura, sta nel racconto eponimo, “La bambina stanca”: una storia di povertà, di dissociazione e di distacco dalla realtà, di ingiusto confronto classista, di inevitabili rivalità, che sprofonda in un epilogo nerissimo, distruttivo e autodistruttivo.

C'è spazio per un'incursione nel mondo maschile, col racconto breve, buffo e mattoide “Moka”, storia di uno scrittore che si sta separando dalla moglie, del suo incontro con un cane che va matto per il cappuccino e di come quel cane finisce per liberarlo dall'ansia del primo appuntamento con l'avvocato della moglie, con esemplare naturalezza.

Mi piacerebbe che questo libro fosse il primo di una serie di raccolte di racconti meranesi/bolognesi, fiabeschi e nerissimi: so che Renata Adamo è una di quelle autrici che ha solo bisogno di trovare una casa, un editore sensibile e adelphiano capace di valorizzarla e di confezionarla, e di proporla a un pubblico adeguato; è una scrittrice che potrebbe stare bene in un catalogo come quello della Nottetempo, o della Voland, oppure ovviamente più su; ha tanta classe, ha riconoscibilità e ha una certa complessità. Gioca a rovesciare le fiabe, a modernizzarle e a corroderle un po'; gioca a raccontare l'adolescenza, e l'infanzia, ben sapendo che una parte di sé è rimasta là, a guardare le stelle di ghiaccio sulle finestre, a sentire parlare in tre lingue, ad ascoltare il rumore della propria voce senza nessuna confusione. Nessuna davvero

Gianfranco Franchi, novembre 2017

Esordio di Renata Adamo, scrittrice e traduttrice meranese, bolognese d’adozione, classe 1950…